La Stampa, 3 marzo 2023
A che punto siamo con la parità uomo-donna?
Brusca frenata nel 2022 sul cammino delle riforme e delle leggi approvate dai singoli Stati per accorciare il divario sul piano dei diritti fra uomini e donne nel mondo del lavoro. È quanto rileva il report Women, Business and Law della Banca Mondiale. Nel 2022 a livello globale sono state approvate appena 34 leggi in 18 nazioni (per lo più in Africa), un numero mai così basso dal 2001 e lontano dal record del decennio d’oro sulle tematiche di genere, quello 2001-2009 con oltre 600 leggi introdotte. Soprattutto il dato del 2022 è in controtendenza rispetto al percorso di crescita dal 1970 al 2021: in 50 anni sono state infatti 2151 le norme varate che hanno migliorato la condizione delle donne e le loro possibilità nel mondo del lavoro. Secondo le stime degli esperti, però, servirebbero ancora 1549 norme per azzerare del tutto il gap – salariale, di mobilità, pensionistico, e altre tutele – che ancora tiene le donne distanti dalla galassia maschile.
In una nota Indermit Gill, capo economista di World Bank Group, ha evidenziato che in un momento in cui l’economia globale rallenta «i governi non possono permettersi di mettere in disparte metà della loro popolazione». Secondo l’economista, la negazione di uguali diritti per le donne non è solo una questione di ingiustizia, «ma è una barriera per la capacità dei Paesi di promuovere uno sviluppo resiliente, verde e inclusivo».
Il report prende in considerazione otto aree legate al partecipazione delle donne alla vita economica e, misurando l’efficacia delle leggi nel cammino verso la parità di genere in questi otto ambiti, attribuisce ai Paesi un punteggio o score, il WBLS. Le aree prese in considerazione sono: mobilità, condizioni del posto di lavoro, salario, il matrimonio, la cura dei figli, la pensione, la possibilità di svolgere attività imprenditoriali e gli asset, ovvero la disponibilità di beni ereditati. Il miglioramento negli ultimi 50 anni è evidente: dal 1970 il WBLS è cresciuto di due terzi, dai 45,8 punti a 77,1. Ma fra il 2021 e lo scorso anno lo “score” è aumentato di appena mezzo punto. Conflitti e situazioni di crisi hanno avuto un ruolo chiave nel frenare i miglioramenti. In alcuni casi – ad esempio in Afghanistan – la situazione è ancora più complessa poiché c’è stato un passo indietro con la cancellazione di diritti acquisiti negli ultimi anni.
Sono 14 le Nazioni, tutte ad alto reddito europee o dell’emisfero occidentale, che hanno leggi che garantiscono a uomini e donne gli stessi diritti e quindi hanno uno “score” di 100. L’Italia è un gradino appena sotto, al pari di Finlandia e Regno Unito, con un punteggio di 97,5 contro i cento punti del “club delle 14 Nazioni” che annovera fra quelle del G7 Germania, Francia e Canada. Gli Stati Uniti sono più staccati, ma è il Giappone il fanalino di coda fra i G7, incasellato nello stesso gruppo di Congo, Filippine e Tajikistan, di pochi decimali sopra la media di 77,1.
A livello mondiale sono 2,4 miliardi le donne in età di lavoro che non hanno gli stessi diritti degli uomini. Una frattura, marcatissima in realtà come Medio Oriente ed Africa, e meno evidente nei Paesi più sviluppati, che ha dei costi a livello di Pil. Il Prodotto Interno lordo aumenterebbe del 20% mediamente se i Paesi dove il divario è più evidente varasse leggi a tutela delle donne; secondo una proiezione degli economisti, se le donne entrassero nel business e potessero lavorare e creare impresa allo stesso ritmo degli uomini, l’economia globale avrebbe un balzo attorno ai 5 mila miliardi di dollari.