La Stampa, 3 marzo 2023
La catena di errori che ha portata al naufragio di Cutro
«Al momento in mare non abbiamo nulla». Alle 3.48 della notte tra sabato e domenica scorsi, la Guardia Costiera di Reggio Calabria rispondeva alla sala operativa della Guardia di Finanza che chiedeva testualmente: «Voi non avete nulla nel caso in cui dovessero esserci situazioni critiche?». Le motovedette 300 che avrebbero potuto facilmente raggiungere il barcone sono rimaste agli attracchi «a Taranto, Reggio, Vibo e Crotone».
Il dato rileva eccome sulla ricostruzione della tragedia di Steccato di Cutro, la seconda più grave della storia (dopo quella di Lampedusa del 2013) costata la vita finora a 68 persone, migranti (57 sono dispersi). Rileva e rileverà sull’inchiesta – al momento senza indagati e senza ipotesi di reato, aperta sul fronte soccorsi dalla procura di Crotone e affidata ai carabinieri – se si considera che la segnalazione di Frontex inviata alle 22.25 a 26 indirizzi tra cui l’Mccr, il Centro nazionale di soccorso marittimo della Guardia costiera, era lineare. Segnalava una «imbarcazione sospetta di trasportare migranti a circa 40 miglia a Sud/Est di Isola Capo Rizzuto (KR)».
L’obbligo delle ricerche
La qualifica come «senza segnalatori». Parla di navigazione regolare: «Non si vedono persone in mare». Ma dice anche che «a bordo c’è un telefono cellulare turco» (compatibile con la nota "rotta turca") il che avrebbe dovuto dirla lunga sulla presenza di scafisti. Aggiunge che c’è «una sola persona fuori coperta» ma che la fotografia termica rileva che il ventre dell’imbarcazione è caldo: «Possibili altri passeggeri sotto coperta» si legge agli atti. E poi il meteo era in peggioramento.
Per il portavoce della guardia Costiera Cosimo Nicastro «è stata una tragedia non prevedibile» non foss’altro perché «le informazioni di cui disponevamo non facevano presagire una situazione di pericolo». Eppure un documento che regola i soccorsi in mare redatto nel 2020 dalla Capitaneria di porto-Guardia Costiera, entrato in vigore nel 2021 e voluto dalla ministra Paola De Micheli con delega alle Infrastrutture, proprio per superare criticità e ambiguità delle precedenti misure in materia decise da Matteo Salvini (soprattutto con la direttiva del 2019 che fa prevalere la difesa dei confini in assenza di acclarata emergenza sul dovere di soccorso) c’è. Esiste. Recita che le missioni di salvataggio devono partire a ogni minima segnalazione: «Quando si presume che sussista una reale situazione di pericolo per le persone, si deve adottare un criterio non restrittivo, nel senso che una notizia con un minimo di attendibilità deve essere considerata veritiera a tutti gli effetti. Alla ricezione della segnalazione l’U.C.G. deve intervenire immediatamente». È ragionevole ipotizzare che nulla di tutto questo è stato considerato quando l’Imrcc di Roma, centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, informato già dalle 22.25 di un’imbarcazione chiaramente ad altissimo rischio di trasporto migranti e con mare forza 4, ha deciso di non aprire una Sar, cioè una missione di soccorso.
Col passare delle ore i fatti si fanno sempre più chiari e un report dei brogliacci delle comunicazioni intervenute tra Finanza e Guardia Costiera, con tanto di scheda riepilogativa delle attività svolte dalle Fiamme Gialle quella notte, sono «già a disposizione dell’autorità giudiziaria competente» si apprende da fonti della Finanza.
Il riscontro negativo
Specificano che quando le due motovedette – la V5006 da Crotone e la "Barbarese" da Taranto – partite alle 2.20 per attendere che l’imbarcazione entrasse nelle 24 (12+12) miglia nautiche per azionare un intervento di polizia marittima, decidono di rientrare alle 3.30. «Il mare è Forza 7 non forza 4» raccontano fonti interne ai militari. Informano la loro sala operativa. Le onde le hanno spinte verso la costa, rimettono i motori al massimo e puntano le onde per tornare in porto. «Target indicato da Frontex Eagle One non raggiunto». Per capirci: «I gruppi ottici delle vedette non riscontrano obiettivo».
La risposta della Guardia Costiera è che non hanno alcun mezzo in mare in quel momento. Pur di fronte a quella che per la Finanza è una richiesta «di intervento di loro unità navali per raggiungere il target» perviene da Reggio «riscontro negativo».
E suonano come un movente politico le parole di fonti della Guardia Costiera sentite da La Stampa, ma con garanzia di anonimato: «Un tempo – raccontano – noi eravamo gli eroi e mai qualcuno ci avrebbe criticato. I nostri mezzi partivano per il mare aperto a ogni minimo segnale, anche solo in via precauzionale. Poi i tempi sono cambiati. È cambiato il nostro assetto. E ora ci muoviamo solo quando ci sono tutti i crismi di una operazione Sar». E quando dice così, la fonte lascia intendere che è cambiato soprattutto il giudizio della politica nei confronti del loro ruolo, e che al momento attuale è pagante un’operazione di polizia che faccia arrestare qualche scafista e non un’azione umanitaria.
Il quarto scafista
Nel caso di Crotone, poi, come ormai è noto, la segnalazione giunta da Frontex non parlava di imbarcazione in «distress» (pericolo, ndr): nessuno era sul ponte e la barca sembrava tenere bene il mare. Ciò ha fermato la Guardia Costiera e fatto scattare la Guardia di Finanza rientrata al porto dopo un’ora di navigazione molto problematica. È un fatto acclarato che neanche a quel punto è scattata una operazione di salvataggio della Guardia Costiera. Forse sarebbe stato troppo tardi. Di certo c’è che al distaccamento di Crotone dell’autorità marittima non è mai arrivato alcun segnale. Tutto è passato sulla loro testa. Del naufragio hanno saputo solo quando i cadaveri sono arrivati in spiaggia, eppure un’imbarcazione era lì, nel porto mentre il caicco faceva "crash" cosi come recita l’ultimo allarme schiantandosi nella secca di Steccato di Cutro: 68 morti, 57 dispersi.
La Finanza intanto sta cercando un quarto scafista ancora non rintracciato: si sarebbe confuso tra i sopravvissuti al naufragio ma le testimonianze degli uomini e delle donne interrogati nelle scorse ore hanno permesso ai finanzieri di individuarlo tra i responsabili del viaggio: è un pakistano che ha le ore contate e che presto potrebbe raggiungere in carcere i tre fin qui già arrestati, ma questa costola dell’inchiesta – per il capo dei pm di Crotone Giuseppe Capoccio e per i suoi sostituti – rischia di diventare presto la meno complessa, pur importante, di questa storia.