Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  marzo 03 Venerdì calendario

Intervista a Tiziano Ferro

Lo sguardo che ride, l’entusiasmo di chi è pronto a riabbracciare il pubblico: Tiziano Ferro, in collegamento da Los Angeles, racconta la felicità, a 43 anni, di veder crescere con il marito Victor Allen i figli Margherita e Andres e l’emozione di tornare in tour in Italia dal 7 giugno (parte da Lignano Sabbiadoro). Vent’anni di carriera. Oggi esce il singolo Addio mio amore, brano dance dedicato alla depressione, contenuto nell’ultimo album, già disco d’oro, Il mondo è nostro .
Che periodo sta vivendo?
«Un periodo inaspettato, non preparavo un tour da 6 anni. C’è stato il Covid, sto iniziando a pensare alla scaletta. Per il resto si va avanti, i bambini crescono, che è una cosa bella, scrivo canzoni nuove. Provo l’entusiasmo che avevo da ragazzino».
Il tour sarà diverso da come lo aveva pensato nel 2020?
«Impossibile rifarlo come lo avevo pensato: per me questo riavvicinamento al pubblico ha una sorta di qualità religiosa, ho visto la fede nelle persone che non hanno restituito i biglietti. Mi hanno insegnato che avere fiducia è un potere superiore. Mi piace l’idea di creare un momento che parlerà da sé.Accetto miracoli , ad esempio, non l’ho mai cantata dal vivo. E poi è mancata Raffaella Carrà».
Eravate molto legati?
«La sua morte è stato uno dei dolori più grandi, era come una persona di famiglia. Abbiamo passato tanto tempo insieme a Madrid. Stava iniziando a registrare la seconda stagione diA raccontare comincia tue doveva venire a Los Angeles per intervistarmi, vincendo la paura del volo. La aspettavo, non mi ha mai detto nulla della malattia. Quando le ho fatto ascoltare Raffaella è mia ,a metà inciso era saltata sul tavolino.
Temeva fosse una lagna, voleva vedere lo stadio che salta».
E così sarà. Invece “Addio mio amore” è sulla depressione. Perché questo titolo?
«Mi sono pentito di aver detto di cosa parli, volevo lasciare l’ambiguità.
A volte parla di depressione chi non la conosce. Ho immaginato questa donna affascinante con una capacità di manipolazione. Colpisce i geni e anche gli stupidi, è democratica. Il dolore alla fine diventa la tua zona di conforto, lo conosci al centimetro. La depressione cronica va curata con la chimica, come si cura il diabete, e con un percorso psichiatrico. Il problema è la stigma: depresso, quindi pazzo».
Ne ha sofferto, ma cosa ha capito di più a Los Angeles?
«Quando mi sono trasferito qui, ho sentito persone che raccontavano della depressione come di unacondizione che può essere ereditaria. Ho iniziato a documentarmi. Ricordo che da bambino, mentre gli altri a scuola giocavano, io guardavo il cielo e tutto mi dava angoscia. Pensavo: “Sono fatto così”. In realtà, oltre alla terapia psicologica va riequilibrata la serotonina. L’analisi la fai bene se guardi e ascolti con gli occhi e le orecchie di chi non è sottoterra».
Si ha quasi pudore di dire: “Mi sento giù, non ce la faccio”.
«Mia nonna, che soffriva di depressione e di ansia, era completamente sedata. Io voglio vivere bene, quelle terapie sono obsolete. Siamo ancora eredi del senso di colpa italiano; siamo figli della guerra, della povertà, chi soffre è una persona molto più dignitosa.
Per cambiare le abitudini di un popolo serve tempo. Ho capito quanto sia difficile essere un uomo di colore negli Usa e la schiavitù è finita 150 anni fa».
Parlare è liberatorio?
«Ho trovato ispirazione nel blog di Lady Gaga con Oprah Winfrey in cui racconta secondo per secondo quello che ha fatto. Devi dare i dettagli se no la gente non capisce. Diventi una versione di te stesso che non esiste.
Devi vincere il senso del pudore».
È difficile?
«Tante cose vengono sconfitte nella rappresentazione nei media, pensi a quando non c’era un cantante gay o un personaggio gay. Lo sei e ti convinci di essere difettato, invece se c’è un altro ti confronti».
Com’è con i suoi figli?
«Con loro mi diverto, ieri ho mandato diversi video a Romina Power».
Siete amici?
«L’ho incontrata per caso. Ero stato a Palm Springs, mi sono infilato in un negozietto e c’era lei, l’ho chiamata: “Romina!”. Ci siamo scambiati i numeri, e mi sono permesso di mandarle un video dei bambini: lei balla e canta, lui è un po’ più uomo delle caverne. C’è tutto quello che ascoltano e vedono adesso: Raffaella, Mina, Battisti eIl ballo del qua qua».
Vizia i bambini?
«La disciplina è la forma d’amore più grande che puoi dare ai figli. Ma non puoi farli vivere in un mondo silenzioso. Alle 19.30 vanno a dormire vicino alla sala dove riceviamo gli amici. Sono abituati. La loro vita gira intorno alla nostra, in California c’è la teoria allucinante per cui i bambini possono fare quello che vogliono. Le tate ai colloqui erano terrorizzate: “Si può dire no?”. Ma devi dire no mille volte. Victor ha genitori ispanici cubani. Con mio padre a tavola — se sbagliavo un verbo o una pronuncia — non potevo continuare a mangiare finché non mi correggevo. Era un comune geometra, e lo ringrazio infinitamente».
Li porterà in tour a giugno?
«Certo, ci tengo che vedano cosa fa il papà».
Non ha mai pensato di tornare a
vivere in Italia?
«Ho conosciuto Victor e con lui cose che non ho mai provato, la vita qui non l’ho scelta, si è evoluta in questo senso. È un discorso che ho fatto anche con mia madre, che è molto triste perché sono lontano. La questione dei diritti la affronto a posteriori. Prima di venire inglobato da questo posto senza sceglierlo avevo comprato una casa a Milano, che poi ho venduto. Volevo fare questa esperienza, diventare padre a prescindere: l’avrei potuta fare?».
Sui diritti civili siamo indietro?
«Siamo indietro su tutto, chi vuole adottare ci mette dieci anni, non è questione di gay o non gay. Fratelli di miei amici vanno in Spagna per darsi un’occasione, non penso solo agli omosessuali, ma anche agli eterosessuali. Si rende complessa la vita di persone che comunque faranno quello che vogliono. Gli italiani non li fermi. Ognuno ha diritto alla propria felicità».
Ha fiducia in chi ci governa?
«Ho pubblicato l’ultimo disco subito dopo le elezioni e mi chiedevano tutti: “Sei preoccupato?”. Ma perché? Gli altri governi cosa hanno fatto?
Pensi allo Ius soli: figli di immigrati nati in Italia non possono ancora avere la cittadinanza italiana. Non credo che chi comanda voglia creare altri danni, sono fiducioso. Voglio vederli all’opera. Non facciamo questo gioco preconcetto: la destra è cattiva. Il problema non è la destra o la sinistra, è la testa. Penso alle unioni civili: “Attenti a non chiamarle matrimonio”. Proprio uguale non è, anzi è offensivo. Sui diritti siamo indietro. Punto e basta. Li ho visti mancare con tutti i governi».
Ha visto? Gli elettori alle primarie del Pd hanno scelto Elly Schlein.
«Le gente esiste a prescindere da quello che le classi politiche decidono di raccontare. La mia carriera doveva finire col coming out, no? Un suicidio. Non mi pare che sia andata così. Mi fido delle generazioni che hanno cominciato a votare».
Cosa pensa dei social?
«Non capisco perché, nel 2023, dopo episodi di persone che si sono uccise, non ci si debba registrare con i documenti: l’omicidio virtuale esiste. Bisogna regolamentare i social network, sono per la tolleranza zero».
C’è stato da ospite, tornerebbe al Festival di Sanremo in gara?
«Questo Sanremo l’ho guardato perché ero in Italia: mi sono piaciute tantissime canzoni. Però è troppo lungo, inizio ad avere un’età, se fossi il presentatore proverei a finire prima. Quando si accende una telecamera rendo, non dico al 50%, ma al 70%, mentre sul palco in concerto do il massimo. La tv mi castra, l’idea di far ascoltare una canzone la prima volta a Sanremo mi crea un’ansia che non riuscirei ad affrontare. Però mi piacerebbe».