Il Messaggero, 2 marzo 2023
Intervista a Giulio Maira
«Non posso che dire l’amore. L’amore è la porta per la felicità. L’amore dà senso alla vita. L’amore è dedizione, e per un medico non può che essere molto importante».
Il concetto più importante che ha consegnato ai suoi discepoli?
«Studiare tanto, impegnarsi nella ricerca, ma soprattutto tener presente che il nostro è un lavoro che porta a contatto con la gente, di tutti i tipi, di tutti i livelli sociali, e sempre con la sofferenza; ed è un lavoro che bisogna fare con il cuore, con umanità».
Qual è la parola più bella che le viene in mente?
«Passione, perché è lei che ci muove verso grandi realizzazioni e dà emozioni alla nostra vita».
Quando guarda il cielo stellato che cosa le viene in mente?
«Rimango stupito davanti alla grandiosità dell’universo, come parte di questa straordinaria avventura che l’umanità vive giorno dopo giorno. Rifletto sulla straordinarietà del nostro cervello, capace, come dice Emily Dickinson, di essere più grande del cielo».
Che cos’è per lei l’istinto?
«Ci guida nel valutare le cose e le situazioni, nel capire le vere intenzioni degli altri, e sapere come reagire. Per utilizzarlo ci serviamo di tante cose, i neuroni specchio, il ricordo delle tante situazioni vissute prima; è un misto di emozioni e intelligenza».
Il ricordo più bello e quello più brutto della sua vita?
«Il più bello, l’incontro con mia moglie Carla. Fu una rivelazione, una felicità che da allora non è mai passata. Il più brutto, ogni volta che non riesco a dare una risposta ad un malato, quello in cui mi rendo conto che la scienza deve arrendersi».
L’idea della morte. Che cosa le viene in mente quando ci pensa?
«In Neurochirurgia il confronto con la morte fa parte di un’esperienza quasi quotidiana. Per la scienza la morte è la fine della vita, la conclusione di un’esistenza. Per noi uomini, in ogni persona che muore c’è la scomparsa di un mondo di affetti, di emozioni, di sogni, di sapere, che non tornerà mai più».
Che cos’è la bellezza? Ci serve per vivere meglio?
«Bellezza è armonia. Tutto il nostro mondo ne è pieno. La bellezza ha anche una sua valenza morale, perché c’è bellezza tutte le volte in cui facciamo qualcosa che aiuta il prossimo. Bene e bellezza sono, in sostanza, legati l’uno all’altra, per farci vivere meglio».
Che cosa è l’odio per lei?
«L’odio è la risposta istintiva e primordiale ad un torto. Dobbiamo trasformarlo in occasione di crescita, esercitare il primato della ragione. Personalmente non ho mai provato odio. Ma rabbia sì. Rabbia e dispiacere per avere dedicato anni della mia vita a delle persone per le quali contavano solo gli aspetti economici, senza un briciolo di amore o di comprensione. Ma ciò che continuo a non capire è perché vicende private diventino materia di gossip giornalistico. È una patologia mediatica che andrebbe curata o eliminata perché spesso distorce la verità».
Che rapporto ha con il denaro?
«Il denaro è importante per vivere bene, ma non bisogna farne il fine della vita. La ricchezza l’ho raggiunta con il sacrificio del mio lavoro, ma non ho esitato a rinunciare a tutto per la scelta di stare con la donna che amo e con cui ho costruito una vera famiglia; e non me ne pento. L’avarizia e l’avidità fanno vivere male e cancellano uno dei sentimenti più belli, la generosità».
Qual è il suo rapporto con la musica?
«La adoro, tutta. Non ascolto musica mentre opero, perché è troppo importante per ridurla a un sottofondo, e poi perché la sala operatoria ha il fascino di una musica tutta sua, altrettanto importante: il rumore delle tante apparecchiature che debbo usare perché l’operazione riesca. Dimenticavo: se non avessi fatto il neurochirurgo avrei fatto il direttore d’orchestra».
La fede in Dio. Quale posto occupa Dio?
«Da uomo di scienza le dico: è l’unica spiegazione che so dare alla perfezione e alla complessità della realtà in cui viviamo. Da credente quale sono, Dio per me è una fede che rende bello e dolce il pensiero della morte».
Come e da chi le piacerebbe di essere ricordato?
«Dalle persone a cui ho voluto bene, e dai pazienti ai quali ho dedicato tutte le mie capacità e talvolta anche i miei dolori».
Lei come vive la sua età?
«Con serenità, e sono soddisfatto. Ho la grande fortuna di poter continuare a fare il mio lavoro, di avere una mente e delle mani che funzionano ancora bene. Amo la vita e ho capito che ogni età è in grado di dare emozioni e bellezza».
Amicizia e amore: che rapporti ha con questi sentimenti?
«L’amore, dopo averlo atteso a lungo, adesso è con me, per sempre. Gli amici veri sono pochi, ma quando si trovano lo sono per sempre».
La riconoscenza è la promessa della vigilia o un debito che va pagato?
«È un debito che andrebbe pagato, ma pochi sono quelli che lo fanno. Ed è un peccato, perché la riconoscenza può stabilire un forte legame, anche di affetto, tra due persone».
Esiste un personaggio al quale si è ispirato?
«Mio padre. A lui devo il senso della correttezza, l’eleganza del gesto chirurgico e la dedizione verso chi soffre. Mi ha insegnato anche due cose fondamentali, l’umiltà e la semplicità».
A un ragazzo di 14 anni che le chiedesse di dargli il consiglio più prezioso che cosa gli direbbe?
«Fai tutto con passione. Le scelte che farai con passione ti accompagneranno per tutta la vita. La passione ti permetterà di superare le difficoltà e ti farà amare il tuo lavoro».
La sua ultima lettera a chi la indirizzerebbe?
«A Carla, mia moglie. Le direi che per me è stata tutto e la ringrazierei per l’affetto e l’amore con cui mi ha regalato i suoi anni più belli, rendendo bellissimi i miei. Le direi che mi sono innamorato della persona speciale che è, del suo animo gentile e generoso, della sua caparbietà nel lavoro, della sua capacità di dedicarsi agli altri senza limiti. E infine, che la guardo ancora con gli occhi della prima volta, innamorati e stupiti per la dolcezza e l’amore che vedo nei suoi».
Oltre al suo impegno di medico lei si spende molto nel sociale, come?
«Nel mio lavoro tante volte mi sono trovato impotente di fronte a malati gravi. Per questo, per promuovere la ricerca nel campo delle neuroscienze, nel 2001 ho costituito la Fondazione Atena Onlus, grazie anche alla collaborazione con Rita Levi Montalcini».
Che cosa fate esattamente?
«Andiamo nelle scuole per spiegare ai ragazzi i danni che alcol e droghe provocano al cervello; facciamo attività di prevenzione verso le donne più fragili. Ma l’interesse principale è verso la ricerca sui tumori cerebrali maligni; sono felice che, grazie a Intesa Sanpaolo “main sponsor”, proprio in queste settimane, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e con il Policlinico Gemelli, la fondazione Atena avvierà uno studio per tentare una cura contro questi tumori. Anche i proventi dei miei libri vanno tutti a questo fine».
Che prospettive di successo avete?
«Sono tumori che colpiscono 8 persone ogni 100.000 abitanti, di tutte le età, con sopravvivenza media di 14 mesi. La nostra ricerca si basa su una immunoterapia innovativa che, sulla base delle conoscenze attuali, ha grandi probabilità di migliorare sostanzialmente la prognosi di questi malati».
Quando verrà il giorno in cui capiremo tutto “della macchina più meravigliosa dell’universo”?
«Questi ultimi anni sono stati straordinari per il progresso delle conoscenze sul cervello. Il futuro ci svelerà cose ancora più stupefacenti, ma difficilmente arriveremo a sapere tutto».
Ultima domanda. In cinque parole: chi è davvero il professor Giulio Maira?
«Un sognatore che ha anche sbagliato, ma che ha cercato sempre di affrontare la vita con onestà, coerenza e amore per il prossimo».