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 2023  marzo 02 Giovedì calendario

Intervista a Victor Osimhen

Castel Volturno Oltre la maschera ci sono due occhi grandi. C’è lo sguardo furbo del giovane Victor, 24 anni e capocannoniere della serie A. Victor è Osimhen, il centravanti nigeriano del Napoli. Forza e cuore della squadra che domina il campionato di serie A, anche per il numero dei suoi gol. Occhi che sorridono, nonostante tutto e tutti («quante ne ho passate» dice senza piangersi addosso). Che si riflettono in altri occhi. «Meno grandi ma meravigliosi. E lei è bellissima, la guardo e mi commuovo. L’accarezzo e mi vengono i brividi». Osimhen è un bomber, certo. Ma oltre il campo fa il papà: Hailey True è nata a Napoli sette mesi fa. «E mi ha cambiato la vita».
Osimhen, dedicherà a lei lo scudetto del Napoli?
«Lei è la mia bimba, un’emozione unica. È la luce della mia vita, la piccola donna alla quale insegnare il valore dell’amore, il rispetto per gli altri, ricchi o poveri che siano, bianchi o neri. Hailey gioirà con me e con tutti i tifosi, lei come noi merita di vedere il Napoli tagliare il traguardo».
Che potrebbe essere anche doppio: scudetto e Champions. Ci pensate tra di voi?
«Siamo a marzo e c’è ancora tempo davanti. Ma, sì, voglio tutto, vogliamo tutto. Stiamo dando la nostra vita per raggiungere questo successo. Lo meritiamo, stiamo sacrificando ogni cosa per raggiungerlo. Ci siamo quasi, ma guai a distrarci proprio adesso. La nostra mentalità è sempre la stessa, in Italia e in Europa: imporci e vincere».
Il vostro segreto? Tutto sommato siete una squadra giovane e rivoluzionata l’estate scorsa.
«Ci curiamo l’uno dell’altro, in ogni momento. Ciascuno dà la carica all’altro, e se qualcuno è in difficoltà siamo pronti a dargli una mano. C’è solidarietà, difficile spiegarla a chi non la vive. La convinzione di ognuno serve per la collettività. E quando ci credi ti senti forte, quando sei forte vinci. Poi c’è il mister che rappresenta il cervello della squadra. Sa una cosa a cui penso? Se un giorno dovessi fare l’allenatore mi piacerebbe essere come lui».
Com’è lui?
«Fuori dal campo un papà: pronto ad ascoltare e a consigliare su qualsiasi cosa. In allenamento Spalletti è molto severo, rigoroso. Si arrabbia anche. Soprattutto con chi non dà il 100 per cento».
E con lei succede?
(Gli scappa una risata) «Certo. È successo in passato e probabilmente accadrà ancora. C’è una cosa che lo fa uscire pazzo: quando vede che uno non rende per quello che può. Il primo a dare il massimo è lui, pretende da noi la stessa cosa».
Lei si sente forte?
«Certo la testa è dura! Se non l’avessi avuta così e non fossi stato convinto avrei smesso. Qualcuno in passato diceva che non avrei mai fatto fortuna nel calcio. E, invece, eccomi qui a dimostrare con i fatti che si può. Se si vuole si può. Nessuno ha mai scelto per me, anche a Napoli sono venuto perché io ho deciso così».
E all’inizio non è andata proprio bene: infortuni, il Covid, le polemiche per alcuni post sui social. Le feste in Nigeria.
«Sì effettivamente me ne sono capitate un po’, ma non mi sono curato troppo delle persone e di quello che hanno detto anche prima che arrivassi. Forse ogni cosa negativa è servita come stimolo in più. Sono credente e Dio mi ha messo alla prova. Nei momenti di difficoltà, il club mi ha sempre supportato. Oggi sono felice ma non soddisfatto. Si può fare di più. Per Napoli e la sua gente».
Qual è stato il momento in cui vi siete detti: lo scudetto è possibile?
«Prima ancora che cominciassimo a vincere. E c’è una foto conservata che testimonia il momento. Era estate e dopo un allenamento abbastanza duro parlavo con Anguissa. Gli dissi: Frank, sai che la nostra squadra è forte e possiamo provare a vincerlo veramente lo scudetto? Lui era scettico e io lo convincevo. Si avvicina Spalletti e ci chiede di cosa parliamo. Glielo dico, lui mi guarda e dice: se i tuoi compagni si convincono, come lo sei tu, sì che possiamo provarci. È nata così la nostra bellissima storia, fatta di partite, di allenamenti, di uomini che non si risparmiano. Fatta di leader».
Cosa intende?
«Siamo tutti un po’ leader, poi c’è chi parla di più alla squadra e chi meno. Ma ognuno si assume la sua parte di responsabilità».
L’avversario più forte in Italia?
«Rispettiamo tutti, ma ci siamo convinti di essere i più forti. E se succede... vedrete».
Cosa?
«Una sorpresa, non dico altro».
Ci dice invece se la Premier League la tenta?
«Credo sia un’ambizione di tutti i giocatori. E chissà, un giorno... In questo momento, le assicuro, non mi sfiora neanche il pensiero. Mi distrarrebbe da una stagione bellissima. Solo Napoli. Punto».
I suoi gol a volte sono sorprendenti, non convenzionali. Istinto, testa, fortuna o solo tecnica?
«Testa. In campo io guardo tutto. Corro e guardo. Devi decidere in un secondo se non vuoi dare il tempo al difensore. Diciamo che sono veloce di pensiero!».
Con Kvara intesa perfetta.
«Perché c’è stata empatia dal primo momento. Lui è fortissimo, ma anche un ragazzo d’oro. Questo per me conta».
E se non avesse fatto il calciatore?
«Avrei fatto il medico, come voleva mio padre».
Più studio e meno soldi!
«I soldi sono serviti per la mia famiglia: vivevamo in sette in una stanza! Con i primi soldi ho comprato casa».
Il suo idolo?
«Drogba».
Chi è Osimhen nel privato?
«Un ragazzo qualsiasi, che fa quello che sente, si prende le critiche e i complimenti. Uscirei di più con la mia bimba, ma tra autografi e foto le toglierei tempo. Lei viene prima di me. Prima di tutto».