La Stampa, 2 marzo 2023
Enzo Bianchi si sente uno sconfitto. Intervista
«Mi sento uno sconfitto, ma rifarei tutto». Domani festeggia 80 anni con una conferenza al Circolo dei lettori di Torino. Di lui parleranno Umberto Galimberti e Carlo Petrini (appuntamento alle 18). Oggi fratel Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose da cui è stato drammaticamente allontanato, si racconta a La Stampa.
Lei e i suoi amici negli anni ‘60 volevate cambiare il mondo, anche da Bose: ce l’avete fatta?
«(Sorride, ndr) Io dico sempre: allora volevamo cambiare il mondo e la Chiesa, adesso che sono vecchio la mia grande lotta è contro l’eventualità che il mondo e la Chiesa mi cambino. Credevamo nella società: del ’68 mi sono rimaste impresse tutte le speranze che avevamo in un futuro migliore, che alimentavamo insieme a tanti attivisti negli anni precedenti a Torino, personaggi che poi sarebbero diventati leader nazionali della contestazione. Erano miei amici, frequentavano casa mia in via Piave. E a Bose avevamo fiducia nella Chiesa del post Concilio Vaticano II. Gli anni sono passati, e ci rendiamo conto di non essere riusciti a cambiare nulla».
Dunque è severo con l’istituzione Chiesa…
«Mi incute tristezza perché non è molto cambiata come invece avrebbe dovuto. Si contiene solo perché i poteri laici non le permettono più di essere spadroneggiante come un tempo. Ma ne avrebbe tutte le tentazioni. C’è Papa Francesco che tenta di cambiare questa Chiesa, ma fatica tanto. Temo che la Chiesa sia incapace di riformare se stessa».
In quel tempo lei hai avuto anche avversari. O sbaglio?
«Non sbaglia».
Che ruolo hanno avuto?
«Non mi hanno ferito. Sono cresciuto con due certezze: la prima è che la libertà non la si deve mai mendicare, la si esercita e basta. Bisogna sempre tenere la schiena diritta anche nelle tempeste che possono travolgerti. Ho sentito tante calunnie su di me, sono cadute tutte. Guerreggiare contro quelli che ti calunniano, spesso per invidia, significa spendere energie inutili, dando eccessiva importanza ai calunniatori. "Anch’io ho molti nemici", mi disse una volta con molta simpatia Papa Benedetto XVI. Allora perché prendersela se costoro ogni tanto vengono all’attacco? Io penso sempre alla calunnia di un personaggio di un certo rilievo che anni fa ha detto in giro che avevo un figlio: che cosa dovevo fare? A un certo punto a coloro che mi interrogavano rispondevo: fatemi vedere la donna con cui l’avrei concepito. Sono passati dieci anni e il presunto figlio non è emerso. Certo, sopporto poco coloro che ti esprimono complimenti, ti stringono la mano, e appena te la lasciano dopo averti detto "bravo" continuano il loro cammino insinuando qualcosa contro di te. E questo è uno dei vizi ecclesiastici più esercitati. Difficilmente l’ipocrisia è un peccato perdonabile».
L’addio forzato da Bose: oggi come lo descrive?
«Un momento di grande dolore. Perché mi sono sentito tradito da alcuni confratelli. E perché non ho avuto spiegazioni, mai ho saputo esattamente le imputazioni, se non molto generali. E poi, soffro per il provvedimento che ha colpito gli altri tre confratelli mandati via - Goffredo Boselli, Lino Breda e Antonella Casiraghi - perché capisco che io come fondatore presente potevo dare dei problemi, ma loro tre secondo me sono vittime di un’ingiustizia vergognosa. È stato un accanimento».
Ma ha qualche rimpianto o rimorso?
«No. Ci ho riflettuto tanto. Non riesco a imputarmi errori o peccati così gravi da giustificare il trattamento che ho subito. Se non quegli sbagli che tutti possono commettere in qualsiasi situazione, e che io posso avere commesso nell’arco così ampio della vita».
E ora come si sente?
«Sono riuscito a ripartire, con una certa serenità. Ho visto tutto l’affetto degli amici, degli ospiti, confermato e addirittura raddoppiato. E quindi poco per volta ho ripreso speranza. La gente viene a trovarmi tutti i giorni, non mi sento solo. Ho ripreso le conferenze come prima, o forse più di prima: mi invita anche chi desidera la testimonianza di una persona che sa pagare di persona».
Com’è il suo rapporto con Papa Francesco?
«Ottimo. Non solo il Pontefice è aggiornato sulle mie condizioni, mi conosce, ha capito tutta la situazione. Mi ha scritto una bellissima lettera, si interessa di me, mi manda spesso i saluti. Sono sempre molto colpito dal suo affetto nei miei confronti».
E adesso sta per inaugurare una nuova comunità?
«Non sarà una nuova Bose. Con altri che vogliono continuare a condurre una quotidianità comune, abbiamo cercato e trovato una cascina:"Casa della madia", ad Albiano d’Ivrea. Gli amici, a cominciare da Valentino Castellani, hanno fondato un comitato e abbiamo raccolto i soldi per acquistarla. Sarà finita a giugno credo, e lì andremo, un gruppetto, cinque o sei».
A fare che cosa?
«Sarà un luogo di ospitalità, di scambio e incontro, di studi. Niente più vita religiosa-monastica. Anche perché non voglio assolutamente una concorrenza con Bose. Certamente, ci sarà l’orto che coltiverò. È la passione della mia esistenza».
Chi è Dio per lei?
«La parola "Dio" l’ho sempre percepita come ambigua, insufficiente. Io sento un grosso rapporto con Gesù Cristo. Penso che andrò a Dio, lo conoscerò, attraverso Gesù Cristo, ma non so chi è Dio, non sappiamo nulla, nessuno l’ha mai visto, parliamo troppo di Lui senza conoscerlo. Secondo me è uno degli errori più grandi continuare a parlare di Dio quando Dio resta inconoscibile, "Il mistero". Per me basta Gesù Cristo che mi porterà a Lui. Gesù Cristo per me è il riferimento, è lui la spiegazione e la narrazione di Dio. Oltre non vado. Non spendo tempo a questionare su Dio o ad annunciare Dio».
Come sta vivendo la guerra nell’Est Europa?
«Malissimo, perché conosco la Russia, l’Ucraina, Kirill, i capi ortodossi dell’Ucraina, il capo della Chiesa bizantina cattolica. E quindi vederli impegnati in un conflitto, in cui si finisce per benedire le armi, augurarsi la disfatta del nemico e chiedere a Dio la vittoria, è qualcosa che destabilizza la mia fede cristiana. E non solo».
Che cos’altro?
«Tutto questo per me significa la fine di un ecumenismo tessuto per 50 anni direttamente con quelle persone, andando in Ucraina, a Mosca, ospitando loro a Bose, partecipando ai loro convegni, alle accademie teologiche. Adesso non so per quanti decenni non ci sarà più pace, perché quando subentra la miscela tra nazionalismo e religione l’odio si fa profondo, radicale, e non è facile estirparlo. Che tristezza vedere l’ortodossia in frantumi. Sento una sconfitta. Una mia duplice sconfitta».
Che cosa intende?
«Mi sento sconfitto nei due sogni della mia vita: a livello di vita comunitaria, perché i sentimenti a Bose sono stati snaturati; e nell’ecumenismo. Davvero. Però rifarei tutto, perché sono convinto che quella è la strada, cristiana e umana».