La Stampa, 2 marzo 2023
Intervista a Margherita Cassano
E così un altro tetto di cristallo viene giù con Margherita Cassano, prima donna a presiedere la Corte di Cassazione nella storia d’Italia. Donna che ha dedicato tutta sé stessa alla magistratura, allieva di due grandi pm come Piero Luigi Vigna e Gabriele Chelazzi, ma con esperienza di tanti anni alla Cassazione, le trema la voce. Risuonano ancora nell’aria i complimenti del Presidente della Repubblica e la sottolineatura dei suoi meriti. «Di fronte ad attese così elevate, non potrò che impegnarmi ancora di più», si schermisce. Il suo impegno si chiama dialogo e umanità.
Presidente Cassano, il Capo dello Stato ha tenuto a ricordare che lei sarà la prima magistrata d’Italia e non per riconoscimento di genere. «Non ha influito, desidero sottolinearlo», ha scandito Sergio Mattarella al plenum del Csm che ieri mattina l’ha scelta all’unanimità.
«Non posso che registrare quelle parole con enorme orgoglio».
Le donne della politica e delle istituzioni esultano a questo suo successo. Un’altra donna che ce la fa. E c’è chi ha evidenziato come in questo momento siano presidenze al femminile alla Corte costituzionale, all’Avvocatura dello Stato, al Consiglio nazionale forense. Il diritto è donna. Per non parlare della politica.
«Guardi, io questa presidenza non la vivo come un traguardo individuale, ma collettivo. Sono state tante le donne e tanti gli uomini che hanno lavorato nel tempo per una effettiva parità tra i sessi in tutti i campi».
Ci sarà uno specifico approccio femminile nel presiedere la Suprema corte?
«Posso solo dire che il mio impegno sarà ispirato alla più ampia collegialità verso tutti i protagonisti della giustizia. Con i colleghi magistrati, ovviamente, ma anche con gli avvocati, protagonisti ineliminabili, con i quali, quand’ero procuratore generale a Firenze, ho collaborato benissimo. Non dimentico il personale amministrativo. E poi il mondo dell’università, che è un costante stimolo a fare meglio. Da tutti mi aspetto un contributo propositivo di idee».
Trova una Cassazione che è consapevole di non riuscire a garantire uniformità di orientamenti, con sentenze che spesso contraddicono le precedenti. Che ne è della certezza del diritto?
«Il problema della prevedibilità e stabilità del diritto interroga naturalmente la Cassazione, ma anche i giudici di merito. Ciò implica forme di dialogo e di collaborazione, innanzitutto tra i magistrati di merito, i quali di fronte a casi identici o quantomeno analoghi hanno la responsabilità di un dialogo interno alle sezioni. Il che non vuol dire, naturalmente, che ogni giudice non sia libero e responsabile nelle sue scelte. Ma verificare quali siano gli orientamenti dell’ufficio, si può. Alla Corte di Cassazione spetta compiere una sintesi "coerenziatrice", cioè dare coerenza agli orientamenti, in costante dialogo con i magistrati di merito».
Intende dire che sarebbe sbagliato immaginare un verticismo che discende dall’alto?
«Non c’è un potere "autoritarivo". La stabilità del diritto scaturisce dal costante confronto con la giurisprudenza di merito, là dove nascono nuove esigenze di giustizia in un contesto sociale in continuo divenire. Perché poi comunque le nostre decisioni di Cassazione tornano al giudice di merito e devono "tenere"».
E infatti qualche giorno fa, in un convegno della fondazione Occorsio, lei parlava di come ogni norma regolatrice in momenti di emergenze debba essere condivisa e non imposta, pena la sua inutilità.
«È un principio generale: la tenuta delle regole dipende dal percorso della loro formazione».
A proposito di sentenze contraddittorie, hanno fatto discutere alcune vostre recenti sulla violenza sessuale. In Cassazione si è oscillato tra severità e giustificazionismo. C’è come l’impressione che alcune certezze dell’opinione pubblica non siano poi così consolidate dalla giurisprudenza.
«Si tratta di distinguere tra diversi profili. Un conto sono i singoli casi e la valutazione della prova. Un altro è l’interpretazione del diritto, cioè quali norme applicare. Sono livelli diversi che giustificano risposte anche molto diverse. A mio avviso dobbiamo arrivare a una prevedibilità e stabilità del diritto che è innanzitutto rispetto del diritto di difesa, perché un legale deve sapere se scegliere la via di un ricorso oppure no. E c’è il diritto all’uguaglianza. Entrambi diritti costituzionali».
La Costituzione: è il suo «faro» ha detto anche ieri mattina.
«Sì, in un’epoca in cui le nostre relazioni umane si stanno sfilacciando ed esiste una frattura tra collettività e istituzioni, la Costituzione deve essere il nostro faro e il nostro punto di riferimento. I valori che la nostra Carta afferma, dal rispetto di pari dignità delle persone, in quanto singolo e nelle relazioni con gli altri con gli altri, al principio di uguaglianza formale e sostanziale non dobbiamo darli per scontati. Quanto al giudice, deve avere non solo le conoscenze tecniche, ma umanità, rispetto profondo degli altri, capacità di ascolto e di comprendere le tragedie umane che si nascondono dietro i singoli casi».
E torniamo al dialogo come metodo di una presidente, la prima dal 1875 quando nacque la Cassazione. Ma lei ci crede davvero, presidente Cassano, al successo del dialogo in quest’Italia così disunita, che sembra inerme a fronte di tante forze centrifughe?
«Io la condivisione l’ho vissuta concretamente, nella mia esperienza, qui in Cassazione e a Firenze. Certo, ci vuole un atteggiamento razionale, umiltà, disponibilità ad ascoltare le ragioni dell’altro e anche a rivedere le proprie argomentazioni. Ci vuole disponibilità umana. E poi, naturalmente, ci sono i dissensi. Ma questo è il sale della democrazia».