La Stampa, 2 marzo 2023
Il ritorno di Mario Vattani, il console fascio-rock
Katanga è tornato. Vestito con la migliore grisaglia da diplomatico, riabilitato e ripulito, dopo due anni a capo dell’ambasciata d’Italia a Singapore, ora Mario Vattani, per tutti il console fascio-rock, punta più in alto. Punta a Pechino, la capitale d’Oriente, crocevia dei futuri assetti economici globali, forte della rete degli amici di un tempo, che nel frattempo hanno scalato il potere e sono arrivati al governo. Per capire la portata dell’incarico in Cina: chi sarà il nuovo ambasciatore affiancherà il governo nella probabile decisione di liberarsi o di ridimensionare gli accordi sulla Nuova Via della Seta di Xi Jinping.
Infausto destino se il tuo nome sarà legato per sempre a un concerto, a un video su YouTube, a un sottogenere musicale molto amato dai camerati romani. Per chi se lo è dimenticato: quasi undici anni fa Vattani, allora console a Osaka, fu richiamato in Italia. L’Unità scoprì un filmato di un anno prima: il diplomatico era su un palco, e cantava con la sua band, dall’inequivocabile nome SottoFasciaSemplice, alla festa del partito di estrema destra CasaPound. In quella fiera dell’orgoglio vintage, corredata dal solito groviglio di saluti romani e simboli del Ventennio, tutti conoscevano Katanga. È il nome d’arte con cui Vattani firmava le sue canzoni. Una carriera nella musica dell’underground neofascista capitolino iniziata più di venti anni prima, e che forse sarebbe proseguita se papà Umberto, autorevole e stimato diplomatico, non avesse persuaso il figlio a seguire le sue orme.
La doppia vita di Vattani-Katanga viene allo scoperto. Per anni vive in un purgatorio dentro la Farnesina, passa per vari incarichi, si candida senza successo con la Destra di Francesco Storace e scrive romanzi quasi tutti ambientati nell’Estremo Oriente, e una guida sentimentale sul Giappone. È lì il suo grande amore, l’approdo di una vita, dove ha trovato moglie, la patria di Yukio Mishima, lo scrittore della milizia nazionalista che fece seppuku con la propria katana come atto di ribellione contro la scelta del pacifismo e l’occidentalizzazione del Giappone (per Vattani un eroe mitologico che celebra ripetutamente). Quasi due anni fa, nel maggio del 2021, il fascio-rock fu definitivamente restituito alla vita diplomatica. Governo Draghi, ministro degli Esteri Luigi Di Maio: Vattani fece richiesta per una sede in Oriente e la ottenne, Singapore. Diventa ambasciatore tra le proteste del Pd e dell’Associazione dei partigiani.
Nell’ottobre del 2022 cambia tutto. Sono giorni importanti per lui. Giorgia Meloni diventa presidente del Consiglio. Molti irriducibili dei giorni lieti della giovinezza vanno al governo. Si aprono opportunità di carriera. E Vattani prova a sfruttarle. A Pechino la sede è vacante. Lo scorso novembre l’ambasciatore Luca Ferrari ha lasciato la Cina, ed entro la fine dell’anno dovrebbe prendere il posto di Francesco Maria Talò come consigliere diplomatico della presidente del Consiglio. Un ruolo di fiducia che si è conquistato sul campo, da sherpa del G20 a Bali, una delle prime uscite internazionali di Meloni, e che accoppierà all’incarico di rappresentante del governo per il G7 che l’Italia ospiterà il prossimo anno. Alla Farnesina raccontano di una pressione fortissima che proviene da esponenti politici di primo piano della maggioranza, tutti impegnati a tentare di accontentare Vattani e fargli ottenere Pechino, destinazione ambitissima per la carriera delle feluche. Al ministero citano tra i suoi sponsor il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli (FdI), la sottosegretaria di Forza Italia Maria Tripodi. Ma anche Lamberto Dini e Giulio Terzi di Sant’Agata, oggi senatore di FdI, che da ministro lo richiamò in Italia. Si sta muovendo anche il padre, Umberto, ex segretario generale del ministero, ideatore della Collezione d’arte della Farnesina che è da tre settimane itinerante in Asia. Prima tappa? Singapore.
Non è detto che Vattani ce la faccia. Al ministero in pochi ci credono, anche perché gli altri candidati hanno molti più punti di carriera. Ma nel giro di valzer degli ambasciatori tutto può ancora succedere. Giuseppe Buccino, oggi in Libia, è stato sondato prima per Teheran e poi per Pechino, ma non si esclude che dopo i turbolenti anni di Tripoli possa decidere di restare più vicino a casa, a Madrid, al posto di Riccardo Guariglia, diventato consigliere diplomatico del ministro Antonio Tajani. Se Pechino dovesse sfumare, Vattani potrebbe comunque continuare a coccolare il sogno di andare in Giappone forse già l’anno prossimo, perché si libererebbe la sede. È il piano B di chi lo sostiene e in queste ore gli ha proposto, nel frattempo, di tornare a Osaka come commissario per l’Italia a Expo 2025.