la Repubblica, 2 marzo 2023
Intervista a Pierre Kalulu
Pierre Kalulu, ci dà le percentuali della stagione della sua formidabile famiglia di 4 calciatori professionisti?
«Per Aldo, il mio fratello maggiore, attaccante, promozione in Ligue 1 col Sochaux al 75%. Per Gédéon, difensore come me, le coppe col Lorient al 50%. Il più piccolo, Joseph, intanto è in quarta divisione col Saint-Priest. Una sportiva è anche nostra sorella Claudette: ha 20 anni, è un’ottima nuotatrice».
E per il terzogenito Pierre?
«Qualificazione alla prossima Champions col Milan al 98%».
E in questa Champions?
«Sarà difficile in casa del Tottenham, ma è un torneo che appartiene all’identità del Milan».
Siete una squadra dal gioco europeo anche con la difesa a 3?
«Io non sono cresciuto in Italia, parlerei di gioco moderno, offensivo, di molta corsa, di intensità nei duelli: 20’ di Champions sono più intensi».
La Serie A passa per il torneo più tattico del mondo.
«Dipende da chi affronti, però è vero che gli allenatori fanno più attenzione all’aspetto difensivo. In Francia si difende più in blocco, qui più individualmente, uno contro uno, il che a volte è più rischioso».
La differenza con la Premier è di uomini o di risorse?
«Quando affronti le inglesi, ti senti allo stesso livello ma il ritmo deve essere più alto, è tutto più veloce, cambia il tempo effettivo e sul campo lo senti. Quanto ai soldi, aiutano, ma non è il prezzo che fa il talento».
Se Milan, Napoli e Interpassassero ai quarti, potrebbe essere l’anno della svolta.
«Non sarebbe una sorpresa: quelle contro Napoli e Inter sono sempre le partite più europee».
Lei, titolare nel Milan dello scudetto, non è stato convocato al Mondiale.
«Le scelte del ct vanno rispettate. La delusione è naturale: il Mondiale è la cosa più importante e farò di tutto per essere al prossimo. Sono francese e sono stato il primo tifoso della Francia, peccato che sia finita ai rigori con l’Argentina».
Suo fratello Gédéon ha scelto di giocare per il Congo, terra d’origine dei vostri genitori.
«Io sono stato chiamato fin da piccolo dalla Francia e anche se non ho debuttato in nazionale maggiore il problema non si è posto. Di Gédéon sono contento: in famiglia tifiamo tutti per lui».
Da Revaison, quartiere di Saint-Priest, periferia di Lione, vi muovevate tutti insieme per gli allenamenti alla Plaine de jeux de Gerland.
«E ora che sono adulto, vedo che questo ha fatto la differenza: essere seguito da papà e mamma, quanti sacrifici hanno fatto per noi. Li vedevo sugli spalti, era una spinta in più: volevo fossero fieri di me».
Suo padre era allenatore di squadre scolastiche.
«E professore di storia. La sua frase classica, “chi osa vince”, l’abbiamo subito imparata a memoria. Io andavo bene a scuola, ho preso la maturità economico-sociale un anno prima. Preferivo le materie sociali e la storia, amo molto leggere. Quando guardo la quantità di libri che ho letto, mi chiedo come ho fatto».
I preferiti?
«I gialli di Agatha Christie, mi piace l’ispettore Poirot. E poi la storia.
Appena torno a casa, guardo i video di “Nota bene”, su personaggi e avvenimenti».
L’attualità è la strage dei migranti in mare, sui barconi.
«Anche se hai avuto la fortuna di non vivere certe situazioni, queste notizie sono un colpo al cuore. Chi è disposto a rischiare la vita evidentemente non ha scelta,perché l’istinto umano è di vivere. Io penso che si debba aiutare chi ha più bisogno, sono cresciuto così. Non si può fare una classifica della sofferenza: bisogna provare ad aiutare sempre».
Di lei il suo primo allenatore, Roger Martinez, apprezzava l’intelligenza tattica al servizio della squadra.
«Se lo dice lui, gli anziani dicono la verità. Scherzi a parte, da bambino ero già difensore o mezzala, e forse avevo già la dote di pensare in anticipo le giocate. L’altra era l’orgoglio. Ricordo il mio primo gol in A, col Genoa: conosco il mio livello, le mie qualità. Avevo fatto un errore non da me, dovevo dimostrare di più».
E l’eleganza in campo?
«Colpa della mamma, mi ha insegnato a presentarmi bene. Mi piacciono la moda, lo stile, essere originale».
Può raccontare il suo approdo al Milan, lei conteso tra Tony Parker, idolo francese dell’Nba, e Paolo Maldini?
«Ero in seconda squadra al Lione.
Maldini e Massara, in videochiamata, mi dissero cose entusiastiche sul mio modo di giocare: poteva dirmele solo chi mi aveva osservato a lungo. Questo mi ha lusingato. Per quanto facessi finta di niente, era molto bello: mi dissero che il Milan mi avrebbe aspettato 2 mesi, 6 mesi, 1 anno, 1 anno e mezzo».
E Parker, che la voleva al Lione?
«Arriva una chiamata da un numero Usa, non rispondo, pensavo a un errore. Poi una videochiamata, penso di avere le allucinazioni. Alla terza c’è il colloquio, tre quarti d’ora.
Lui mi dice: conosco il tuo talento, la scelta è tua. Avere il suo numero in agenda non è da tutti».
Nemmeno passare al Milan per soli 480 mila euro.
«La cifra non mi ha mai condizionato, quei soldi non sono finiti nelle mie tasche e non sta a me dire se qualcuno ha fatto un colpo e qualcun altro un errore. Però sono orgoglioso di essermi dimostrato più forte di quanto la gente pensasse».
La Francia ha talenti clamorosi, l’Italia fatica a trovare i convocati.
«La cosa più strana è che voi italiani siete forse il popolo che ama il calcio di più, eppure questo non si riflette sui bambini. I ragazzi francesi giocano ovunque, non c’è paura di lanciare i giovani e loro non hanno paura di andare via. Kolo Muani in Ligue 1 giocava per salvarsi ed è andato in Germania. Poi certo unocome Mbappé è un grande traino, una luce».
Lei vive a Varese e non a Milano per sfuggire alle tentazioni della metropoli?
«Per dormire di più e recuperare meglio: è più vicina a Milanello».
La sua generazione usa tanto i social: troppo, forse?
«Sono esagerati, nel bene e nel male. Il male è che spesso lo si fa senza preoccuparsene. Ma è il mondo, dei social non si può fare a meno: danno alla gente la percezione di noi».
Che cosa pensa del nuovo stadio a Milano?
«A Lione si è passati dal vecchio Gerland a uno stadio futuristico. San Siro è diverso, ma se il club decide di abbandonarlo, vuol dire che ne abbiamo bisogno. Se ce ne sarà uno nuovo, spero di vederlo prima di lasciare Milano».
Mbappé dice che in Italia andrebbe solo al Milan.
«E chi non lo vorrebbe?».
Lei è tra i “gones” di Lione, i monelli calcistici della città di Fekir, Gonalons, Lacazette, Caqueret, Cherki e naturalmente Benzema: il segreto?
«Il talento, ce n’è davvero un sacco.
Abbiamo già un Pallone d’Oro: poche città possono dire lo stesso».