il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2023
L’ecologia mentale dei nuovi luddisti
Si è costituito a New York un gruppo di ragazzi giovanissimi, più o meno adolescenti, 17 anni o poco più. Che cosa vogliono? Lo si ricava dal nome che si sono dati, Luddite Club. Si ispirano, con modalità e intenti però diversi, al luddismo classico, il movimento operaio nato in Inghilterra ai primi dell’Ottocento, cioè pochi decenni dopo il take off industriale che già proiettava la sua sinistra ombra sul mondo del lavoro e non solo. I luddisti sabotavano i nuovi macchinari e spesso li distruggevano. Naturalmente il movimento, appena prese un po’ di corpo, fu soffocato nel sangue. La borghesia industriale e l’ineluttabile Progresso avanzavano i loro diritti.
I ragazzi del Luddite Club non distruggono macchine, fanno una cosa più intelligente: non comprano o comunque non utilizzano gli smartphone e si tengono alla larga dai social. Per loro è una questione di ecologia mentale. Sono quindi più avanti dell’ecologismo alla Greta Thunberg (chiamata sprezzantemente “gretina” dai cretini, in genere di destra). Il disfacimento ecologico lo vedono tutti, anche se poi in concreto non si fa nulla per fermarlo se non con le truffe del “bio” e del “green”, moltissime imprese sono diventate improvvisamente “bio” e “green” nonostante si sappia bene che con la globalizzazione la “filiera corta” è impossibile, come è impossibile tornare all’“economia di sussistenza” vale a dire autoproduzione e autoconsumo.
Questi ragazzi si sono resi conto che la devastazione mentale portata dal digitale è più insidiosa di quella materiale. Incontrati per strada, come dovrebbe fare ogni buon cronista, in questo caso Viviana Mazza del Corriere, alla domanda di cosa mai stessero facendo, hanno risposto: “Passiamo semplicemente il tempo”. Che non è il famigerato “tempo libero” che è ancora un tempo di consumo, ma il tempo “liberato” come l’ha chiamato, sia pur esprimendosi nel consueto modo un po’ confuso, il mio amico Beppe Grillo che può essere considerato, sia pur a distanza d’oceano, l’ispiratore di questo moderno luddismo. Naturalmente ci vuole una bella forza per imboccare questa strada, perché vuol dire essere tagliati fuori, “tf” nel linguaggio dei ragazzi, da un contesto sociale come l’attuale. Ma forse è meglio avere quattro o cinque amici in carne e ossa che rapporti con migliaia di fantasmi sparsi per il mondo.
Il pensiero del Luddite Club si lega ad altri fenomeni collaterali presenti anche in Italia: il grande aumento delle dimissioni volontarie, il rifiuto di fare anche un solo minuto in più di straordinario (niente email a casa o sullo smartphone, non rompetemi i coglioni quando sto per i fatti miei). C’è insomma nei giovani una forte esigenza di avere più tempo dedicato a se stessi, alle proprie predilezioni esistenziali, e meno al lavoro. Il Tempo è il grande valore della vita tanto più che, parlando in termini cosmici, ne abbiamo così poco. “Il tempo è denaro” poteva dirlo solo un soggetto psichiatricamente disturbato come Benjamin Franklin. E in epoche più sagge San Paolo definiva il lavoro “uno spiacevole sudore della fronte”. E anche se adesso non sudiamo materialmente più (Paolo si riferiva al mondo contadino) il concetto è lo stesso. In molti Paesi, Germania, Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svizzera, si è cercato di assecondare questa montante esigenza con la “settimana corta”, si lavora cioè fino al giovedì.
Quel che è certo è che noi abbiamo utilizzato malissimo la tecnologia. Potevamo usare la tecno perché lavorasse, almeno in parte, al posto nostro. In fondo è il vecchio “lavorare meno, lavorare tutti”. Invece abbiamo usato la tecnologia digitale per sbattere fuori la gente dal mondo del lavoro e metterla sulla strada. Faccio un esempio proprio minimale: ai caselli autostradali non ci sono quasi più degli umani, ma degli automatismi che sbrigano la faccenda (se poi saltano ci sono code di ore). E quelli che stavano ai caselli? Devono industriarsi a cercare un lavoro anche peggiore.
Il problema è sempre il solito: ribaltare questo modello di sviluppo che ho chiamato “paranoico”. Il Covid, o per meglio dire il lockdown, poteva essere un’ottima occasione. Chiusi in casa potevamo capire – qualcuno l’ha capito – che di certe cose, di certi bisogni eterodiretti potevamo fare tranquillamente a meno. Che di certi bisogni non avevamo alcun bisogno. Invece vedo che continua a prevalere la pazzesca legge di Say: l’offerta crea la domanda. È il macchiavello, insieme all’invidia, su cui si regge tutto il sistema. Purtroppo l’uomo è l’animale più tragico, perché è lucidamente consapevole della propria fine, ma anche il più stupido del Creato: “Resisto a tutto fuorché a una tentazione” diceva ironicamente Oscar Wilde.