La Stampa, 1 marzo 2023
Come funziona la riforma del divorzio breve
In anticipo rispetto ai primi annunci, la riforma del diritto di famiglia voluta dall’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia entra in vigore a partire da oggi. Una «rivoluzione», che ha l’obiettivo di ridurre i tempi delle cause. Ma che «rischia di trasformare i processi in giudizi sommari». In cui, termini ristretti «a ritroso», e la necessità di indicare tutte le prove e gli argomenti nel primo atto (il ricorso o la risposta al ricorso), nelle preoccupazioni degli stessi avvocati, potrebbe «compromettere il diritto alla difesa».
La prima differenza rispetto al passato riguarda la fine dei matrimoni. I dati più recenti forniti dall’Istat, che tra qualche giorno saranno aggiornati, parlano di 79.917 separazioni e 66.662 divorzi in Italia nel 2020. Da oggi si potrà presentare contestualmente domanda di separazione e di divorzio. «Una novità che facilita il nostro lavoro – spiega Anna Cattaneo, presidente della sezione famiglia del Tribunale di Milano –, perché garantisce un risparmio di tempo ed evita al giudice di ripetere due volte la stessa istruttoria».
Di fatto però, anche ora, prima di passare al divorzio sarà necessaria una sentenza di separazione. «Un istituto tutto italiano che - osserva l’avvocata Laura Cossar, specializzata in diritto di famiglia - non esiste in nessun altro Paese europeo. Cancellarlo e passare direttamente al divorzio sarebbe stato più coraggioso, conforme al diritto comunitario e avrebbe realmente accorciato i tempi». Ma, certamente, avrebbe significato scontrarsi con molte resistenze, anche in seno all’avvocatura.
Di positivo c’è che la riforma «unifica il rito», nel senso che «ogni procedimento da oggi si aprirà con un ricorso e sarà regolato dalle stesse norme, semplificando così il lavoro dei giudici ma soprattutto degli avvocati e facilitando l’accesso alla giustizia. Cioè con le stesse modalità verranno celebrati processi per divorzio, per separazione, e quelli dei figli delle coppie non sposate» sottolinea la presidente Cattaneo. Peraltro la riforma chiarisce e mette per la prima volta per iscritto in una norma, quali sono i «poteri inquisitori» attribuiti al giudice. Fuori fuoco appaiono invece le critiche al fatto che sarà obbligatorio l’ascolto dei minori, quando hanno più di 12 anni e sono «capaci di discernimento». Un obbligo già previsto da una serie di convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, soprattutto nei casi di maggiore conflittualità tra i genitori, o quando ci sono in ballo questioni delicate, come il trasferimento in una nuova città con la madre o con il padre, che potrebbero stravolgere completamente la vita del ragazzino o della ragazzina. Ora l’ascolto dovrà essere videoregistrato: una novità sicuramente positiva per la presidente Cattaneo, «perché consente di conoscere anche il linguaggio non verbale con cui il minorenne si esprime». Permette di capire, per esempio, se il minore è nervoso, se si mette a piangere o balla sulla sedia nel corso del colloquio, e quindi di comprendere quel che a voce non è riuscito o non ha voluto comunicare. Nessun tribunale, però, almeno per il momento, è stato dotato di videocamere e strumenti necessari per poter adempiere a questo nuovo obbligo normativo.
La verità è che le più grandi difficoltà che potrebbero nascere col nuovo rito - specialmente nei tribunali più piccoli, di provincia, dove c’è un unico giudice, magari di prima nomina, che si occupa di condominio, proprietà e anche di famiglia - sono legate ai termini processuali ristretti, che si dimezzano nei casi più delicati, quelli di violenza domestica.
Per fissare la prima udienza, la riforma prevede un’attesa massima di 90 giorni. E in quella sede, in teoria, la causa si potrebbe anche concludere. Significa che ogni giudice, in quei 90 giorni e per ogni processo, deve smaltire un carico prima distribuito su cinque o sei mesi di lavoro. Ma il numero dei giudici (e delle loro ore di lavoro) non è contestualmente aumentato a seguito dell’entrata in vigore della riforma.
Il tema preoccupa pure i difensori, costretti a presentare nel primo atto prove, testimonianze e argomenti che prima potevano trattare in tempi più lunghi. Con l’aggravante che, «anche nella giustizia civile, che a differenza di quella minorile è dotata del processo telematico, il limite del fascicolo informatico è il suo funzionamento. Legato, in ogni caso, alla presenza del personale amministrativo. E, peraltro, non sempre puntuale nella notifica degli atti. Per noi avvocati – conclude Laura Cossar – questo rischia di tradursi in tempi ancora più ridotti di quelli già striminziti introdotti dalla riforma».