Corriere della Sera, 1 marzo 2023
DeSantis lancia la sua autobiografia
Si intitola The courage to be free, «Il coraggio di essere liberi»: è uscito ieri il libro del governatore della Florida Ron DeSantis, visto come il preludio alla sua discesa in campo nelle elezioni presidenziali del 2024. Dopo una incursione in territorio trumpiano a Staten Island e comizi a Philadelphia e Chicago nell’ultima settimana, nonché un incontro nel weekend con donatori e pezzi grossi del partito a due passi da Mar-a-Lago, l’uscita dell’autobiografia apre la porta a nuovi eventi di raccolta fondi in Texas, California, Alabama (ma non alla Cpac, la Conservative Political Action Conference dove vanno i rivali Trump e Nikki Haley), anche se ufficialmente DeSantis non si è ancora candidato alla nomination per la Casa Bianca e non ha ancora fatto tappa nei primi Stati a votare nelle primarie (Iowa, New Hampshire e South Carolina).
Il memoir sfrutta gli ottimi rapporti del governatore con l’impero mediatico di Rupert Murdoch. È stato pubblicato da HarperCollins (proprietà di Murdoch News Corp), il primo estratto era uscito sul New York Post (titolo: «Come il modello della Florida può funzionare per tutti gli Stati Uniti»), altre due anticipazioni autorizzate (sul rapporto con Trump e su una telefonata privata con l’ad di Disney) sul sito di Fox News. Mentre il New York Times lo definisce «un libro coraggiosamente libero da ogni carisma o ogni senso dell’umorismo... sembra il memoir di un politico sfornato da ChatGPT», DeSantis ha iniziato il suo «book tour» con un’intervista a Mark Levin di Fox News, da cui emergono alcuni punti della sua strategia per il 2024.
Innanzitutto, DeSantis si presenta come un uomo del Midwest più che un uomo della Florida: «Mio padre era della Pennsylvania occidentale, mia madre del nordest dell’Ohio. Terra dell’acciaio, di operai che sono il sale della terra. E come sai, Mark, la Florida è molto eclettica, c’è gente di ogni origine. Abbiamo una cultura, sono cresciuto in quella cultura, ma a formarmi sono stati i valori della Rust Belt», spiega DeSantis, citando la «cintura della ruggine», la regione compresa tra gli Appalachi settentrionali e i Grandi Laghi, un tempo cuore dell’industria pesante statunitense, dove deve vincere per arrivare alla Casa Bianca.
DeSantis non parla delle origini italiane (i suoi bisnonni secondo una ricerca genealogica nacquero in Italia, tra Abruzzo, Molise e Campania, e un’antenata arrivò pochi mesi prima di una legge che nel 1917 avrebbe vietato l’ingresso a chi non sapeva leggere e scrivere). Si descrive come cattolico. La parola «italiano» compare un’unica volta nel memoir: «Mia madre era la più grande di cinque figli, cresciuti in una famiglia così cattolica che produsse, tra di loro, una suora e un prete. Allora ogni comunità aveva la sua parrocchia cattolica – irlandese, italiana, ungherese eccetera – che rappresentava il fulcro della comunità».
DeSantis spiega che il trucco è essere sempre all’attacco, per disorientare i critici nei media. Risponde anche a chi nella destra libertaria si oppone ai suoi interventi nelle scuole: «C’è chi dice che i politici eletti non hanno il diritto di intervenire nelle istituzioni pubbliche, anche se la sinistra lo fa. Vinciamo alle elezioni e perdiamo su questo fronte? È insostenibile». Ma se Trump lo ha attaccato, definendolo un «globalista Rino» (cioè repubblicano solo di nome), un traditore che non sarebbe mai stato eletto senza il suo endorsement, DeSantis elogia l’ex presidente, parlando di un «buon rapporto» nato dalla condivisione delle idee politiche. Gli riconosce il «potere della celebrità», ammette che l’endorsement gli diede visibilità, ma alla fine sottolinea che il proprio successo è legato ai risultati. «Alcuni commentatori di Washington sostengono che la nomination di Trump rappresentò una presa in ostaggio del partito repubblicano, ma è vero il contrario – continua DeSantis —. Da quando Reagan tornò in California il 20 gennaio 1989, la base repubblicana ha desiderato qualcuno che rifiutasse il vecchio modo di fare le cose e parlasse delle preoccupazioni e aspirazioni della gente. Trump ha appoggiato politiche che parlavano alla base in un modo in cui i leader del partito repubblicano nella palude di DC non avevano saputo o voluto fare». La strategia di DeSantis è di presentarsi come il naturale successore di Trump, meglio dell’originale. «Make America Florida».