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 2023  febbraio 28 Martedì calendario

Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina

Al momento del disfacimento del Patto di Varsavia (1990), l’assicurazione, non formalizzata in accordo scritto (formulata dal Segretario di Stato degli Stati Uniti James Baker a Gorbaciov), da parte statunitense e a nome della Nato, era stata che la Nato non avrebbe cercato di estendersi verso Est. E invece nel volgere di pochi anni tutti gli Stati euro-orientali confinanti con la Russia (i Baltici) o con la Bielorussia (la Polonia) o con l’Ucraina (la Romania) – a tacere della fomentata crisi caucasica – divennero membri della Nato. Eppure non erano mancati appelli alla saggezza come, ad esempio, la lettera di George Kennan e Robert McNamara (giugno 1997) a Bill Clinton, che additava il rischio insito nell’espansione a Est della Nato. Era un nuovo, pericoloso caso di gestione miope della vittoria: ovvero della vittoria della Nato, cioè di fatto degli Stati Uniti e dei loro più o meno docili satelliti, nella lunga Guerra fredda (1947-1991). È in genere l’impulso a “stravincere” che innesca nuove guerre. La lezione del dopo Versailles (1919-1939), così efficacemente posta in luce da A.J.P. Taylor (Le origini della Seconda guerra mondiale), non era servita a nulla. Ultimo tassello per completare “l’accerchiamento” rimaneva l’Ucraina, ormai unico Stato-cuscinetto tra la Nato e la Federazione Russa. L’Ucraina era anche, e lo è tuttora, un Paese diviso tra gruppi di popolazioni in lotta (la minoranza è russofona e guarda alla Federazione Russa come a una potenza protettrice). Ed è perciò spiegabile che la Federazione Russa abbia fatto leva su questa minoranza per cercare di evitare che anche l’Ucraina avviasse la procedura di inserimento nell’Ue e nella Nato, che avrebbe completato l’accerchiamento della Russia e dell’alleata Bielorussia. Come ebbe a dichiarare l’attuale pontefice, quando la guerra in Ucraina era ormai in atto: “La Nato abbaiava ai confini della Russia”. Soprattutto, dopo il colpo di Stato che cacciò il presidente ucraino in carica, Janukovich, e portò al potere Poroschenko, la Russia pensò di cautelarsi con i due accordi di Minsk (5 settembre 2014 e 12 febbraio 2015). Tali accordi, che prendevano il via dalla guerra in Donbass ormai in atto e sempre più aspra, comportavano la promessa, sancita per iscritto, di “a u t o go v e r n o” delle regioni russofone. E potevano anche far intravedere un temporaneo congelamento dell’aspirazione dei nuovi governanti ucraini ad avviare trattative per un’adesione a Ue e Nato. Tuttavia, un’accelerazione in tal senso cominciò a manifestarsi con la presidenza Zelensky (2019), uomo molto legato alla famiglia Biden. L’anno dopo, Biden fu eletto presidente e fu chiaro che l’accelerazione diventava inarrestabile. La situazione era ormai giunta al punto di rottura. Nell’ormai lontano 2015, intervistato dall’editore Teti, Lucio Caracciolo, direttore di Limes, aveva osservato: “Immaginare che l’Ucraina di Kiev possa diventare uno Stato totalmente occidentalizzato significherebbe fare la guerra alla Russia”. Al di là della retorica intimidatoria da cui ormai i paesi semibelligeranti (come l’Italia) vengono inondati, questo è, nella sostanza, l’antefatto che ha portato all’attuale guerra. L’errore di Putin è stato duplice: fidarsi di promesse malfide pur dopo che già erano state calpestate quelle formulate nel 1990 a proposito dei confini Nato da non spingere fin sotto la frontiera russa; e non capire la trappola in cui andava a cacciarsi aprendo la guerra guerreggiata per bloccare la guerra “i nv isi bi le” (nei media occidentali) del nuovo regime ucraino contro la minoranza russofona in violazione degli accordi di Minsk. La trappola tesa dalla Nato era perfetta, perché offriva (su di un piatto d’argento) alla macchina mediatica occidentale una carta propagandistica efficace (la denuncia dell’ “aggressore”), e perché rendeva possibile agli Usa in primis (e ai paesi Nato più proni, con l’eccezione della Turchia) di far guerra senza dichiarare guerra: armando a volontà l’Ucraina non solo con armi modernissime ma anche con appoggio logistico e di intelligence. Ma ora il problema è: come uscire da questa guerra prima che divenga un conflitto generalizzato? Una guerra per procura tra Usa-Nato e Russia, qual è ormai la guerra in corso, è difficile da disinnescare: più passa il tempo tra avanzate e ritirate (talora frutto di consapevole falsità), più la soluzione si allontana. Il belligerante Usa-Nato ha constatato che la Russia non solo non è stata in grado di vincere, ma ha anche subito rovesci e addirittura attacchi sul proprio territorio; a questo punto la fazione che vorrebbe la sconfitta della Russia, la caduta dell’att u a l e presidente e (forse) la disintegrazione dell’ex superpotenza ha preso fiato e manifesta apertamente tali propositi: intende mettere a frutto fino in fondo la trappola in cui ha attirato Putin. A fine maggio 2022, intervenendo al Forum di Davos, l’ex Segretario di Stato degli Stati Uniti, Henry Kissinger, ha lanciato una proposta che si può sintetizzare così: impegno dell’Ucraina alla neutralità, a fronte di un ritorno dei confini prebellici (e dunque nessun tentativo, da parte ucraina, di riprendersi la Crimea). Kissinger si rivolgeva direttamente al governo degli Stati Uniti (e perciò anche alla devota Nato). Accantonava la finzione propagandistica secondo cui sarebbe in corso una guerra tra Russia e Ucraina, e con logica sanamente e lucidamente realistica spiegava: “L’Occidente non cerchi la sconfitta della Russia, che salderebbe l’alleanza tra Russia e Cina”. Kissinger additava in tal modo il baratro verso cui la scelta di puntare alla vittoria della Nato sulla Russia porterebbe i precari equilibri mondiali. Intervistato dal Corriere della Sera il 7 maggio 2022, Carlo De Benedetti aveva messo in guardia con la consueta chiarezza: “L’Europa non ha interesse a fare la guerra a Putin, non deve seguire Biden”. E precisava, commentando il “pacchetto di aiuti” appena varato dal Congresso americano: “33 miliardi di dollari, di cui 20 in armi: una cifra enorme che indica che gli Usa si preparano a una guerra lunga. Per noi sarebbe un disastro”. E Macron pochi giorni dopo (10 maggio) aveva ammonito: “Mosca non va umiliata”. E fu prontamente redarguito dagli zelatori. Il 30 aprile, l’economista della Columbia University, Jeffrey Sachs, intervistato per il Corriere della Sera da Federico Fubini, osservò: “Il grande errore è credere che la Nato sconfiggerà la Russia: tipica arroganza e miopia americana. Difficile capire cosa significhi ‘sconfiggere la Ru s s i a ’ dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio Paese. I leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della ‘sconfitta di Putin’”. E poco oltre notava che “Usa e Ucraina non hanno mai dichiarato i loro termini per trattare”. E ne indicava la ragione: “Gli Stati Uniti vogliono un’Ucraina nel campo euro-atlantico, in termini militari, politici ed economici. Qui è la ragione principale di questa guerra”. E additava un dato di fatto rigorosamente rimosso (ma segnalato puntualmente dal Corriere della Sera il 18 marzo): “L’interoperabilità militare dell’Ucraina con la Nato, in modo che a un certo punto l’allargamento sarebbe diventato sostanzialmente un fatto compiuto”. L’auspicio con cui Sachs concludeva questa rilevante conversazione con Fubini (“L’Ue dovrebbe muoversi in modo più deciso per favorire un accordo di pace”) è tuttora la sola via d’uscita, ma sempre più difficile mentre l’illusione della vittoria “per procura” si consolida nella sotterranea partita che si sta giocando tra Casa Bianca e Pentagono. La materia di cui si tratta in queste pagine (Benjanin Abelow Cone l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina Fazi ) è diventata talvolta oggetto di rissa mediatica e di sbuffi di intolleranza. Ben vengano dunque studi fondati essenzialmente su documenti, come è il caso di questo notevole saggio di Abelow, salutare per “snebbiare” i lettori italiani interessati alla storia politica.