la Repubblica, 28 febbraio 2023
Cosa pensa Prodi di Elly Schlein
Il Professor Romano Prodi si dice «sbalordito». Ma non dalla vittoria di Elly Schlein. «No, quella al massimo può essere considerata sorprendente, e forse neppure troppo. Sbalordito dalla partecipazione alle Primarie. Oltre un milione di persone, che se paragonate a quanti sono stati i votanti del Pd alle ultime Politiche, sono un dato eccezionale. A riconferma del fatto che il Pd è rimasto l’unico vero partito in Italia.
Nessuno degli altri sarebbe mai in grado di mobilitare così tante persone. Neppure online».
A giudicare dalle reazioni del giorno dopo, la maggioranza degli osservatori invece è rimasta sbalordita dall’imprevisto successo di Elly Schlein. Lei no?
«Ma no, non sbalordito. Ci poteva stare, si è capito, a ridosso del voto, che qualcosa si stava muovendo.
Forse il desiderio di cambiamento era più profondo di quel che sembrava, ma ci sarà tempo per fare analisi, ora bisogna guardare alla realtà e al mandato che Schlein ha ricevuto».
Ecco, in molti temono che ora il Pd possa ulteriormente disgregarsi.
«C’è chi lo teme e soprattutto c’è chi lo spera... Ho letto che Maria Elena Boschi ha parlato di nuovi scenari molto interessanti per il Terzo Polo.
Spera di prendere pezzi del Pd, ma non credo sia una speranza fondata».
E come sarà il Pd targato Schlein?
«Avrà lo stesso problema che avrebbe avuto se avesse vinto Bonaccini: aprirsi ai riformismi. Direi meglio, riformare i riformismi. Lo so che ora tutti guardano alle alleanze, ma è una lettura poco interessante, al momento. Ora per il Pd si tratta invece di coinvolgere tutte le intelligenze che corrono per il Paese, dall’associazionismo alle Ong, dai diversi sindacati alle imprese, per coinvolgerli in un progetto di rilancio. C’è tanta gente che non si sente più rappresentata e nemmeno lontanamente ascoltata. Questa è la sfida che il Pd ha davanti, indipendentemente dal segretario che si è scelto».
Poi un giorno però il problema delle alleanze bisognerà porselo...
«Certamente, ma solo quando avrai capito bene chi sei potrai decidere a chi chiedere di condividere un progetto. Anche l’Ulivo, esperienza da tempo conclusa, nacque così. Non andando a chiedere ai partiti, ma andando a risvegliare il riformismo che c’era, anche allora inascoltato, nel Paese. Poi i partiti furono quasi costretti a venirci dietro. Avevamo infinitamente meno mezzi dell’avversario di allora, eppure vincemmo. Se si vuole vincere, la strada è ancora questa».
Però si potrebbe osservare che nel sottovalutare il problema dell’alleanze, Letta si è giocato le ultime elezioni.
«Per ballare il tango bisogna essere in due. In quei giorni seguii la vicendada vicino, e ancora oggi non ho capito cosa sia passato per la testa di Calenda nell’ultima ora prima della chiusura delle liste. E non solo Calenda creò problemi. Credo perciò sia stato profondamente ingiusto il modo in cui si è giudicato l’esito del voto. I mass media si divisero in due metà: la prima a lodare Giorgia Meloni e la seconda a maledire Letta.
La genuflessione al potente e la ricerca del capro espiatorio sono caratteristiche della nostra tradizione».
Quali condizioni invece hanno creato la vittoria di Schlein alle Primarie?
«Direi le stesse che hanno portato al grande successo di Meloni. Voglia di cambiamento, di volti nuovi, di nuove avventure. Qualcuno alla vigilia aveva descritto Bonaccini come usato sicuro, e io penso fosse un complimento. So chi è, mi fido di lui, so cosa potrà fare. Schlein invece era il nuovo rischioso, perché il nuovo, insieme alle speranze, porta sempre qualche rischio».
Lei rischi non ne vede, rispetto alla tenuta del Pd?
«Il problema del Pd non è la tenuta, come sento spesso ripetere: ma la sua capacità di allargarsi. Torno al tema del coinvolgimento dei riformismi che già esistono nel Paese, perché è una via obbligata.
Questo è il destino del Pd e questo sarà il compito che spetta a Elly Schlein, se saprà interpretare al meglio il suo ruolo».
Bonaccini si è detto disponibile, pur nella delusione di una sconfitta
inaspettata.
«Oltre a grande generosità umana, ha dimostrato una lucida disponibilità politica di cui non si potrà non tener conto. Perché se l’unico orizzonte del Pd è quello di allargarsi, includere, coinvolgere, lo potrà fare solo partendo dalle risorse che già esistono e che guardano al Pd con speranza».
La stella di Elly Schlein iniziò a brillare anche con l’iniziativa “siamo più di 101”, cioè a sostegno di Prodi dopo il caso dei franchi tiratori.
Che rapporto avete?
«Posso dire di averla vista nascere e di essermi confrontato spesso con lei, anche con qualche ramanzina da vecchio professore quale sono. Però tengo a precisare che prima di questo voto io ho avuto contatti in egual modo con tutti e quattro i candidati».
Se le chiedesse di dare una mano?
«A un antico professore quale sono, non si chiede di tenere un corso di laurea. Al massimo qualche seminario. Magari di economia».
Oltre al riformismo e oltre le alleanze, si tratta anche di fare opposizione al governo in carica.
Bonaccini ad esempio è stato criticato per aver riconosciuto le capacità di Giorgia Meloni.
Secondo lei è stato un errore?
«Ma chi potrebbe definire Meloni un’incapace? Il problema della premier è un altro, cioè riuscire a governare. E questo problema è già evidente. Ho sentito il ministro Piantedosi dire che l’unica soluzione sui migranti è che restino a casa loro.
Mi ha ricordato chi, durante il Covid, diceva che ne morivano tanti in ospedale e quindi era meglio lasciarli a casa... Fare opposizione a questo governo non sarà poi così difficile».
Su quali questioni pensa che Elly Schlein inizierà mandare segnali del suo nuovo corso?
«Il grande tema è quello della giustizia sociale. Che però va perseguita senza interrompere la crescita. La priorità è la redistribuzione del reddito, che ha dentro anche il tema del salario minimo. Poi dovrà rinnovare e non rottamare. Cioè non escludere ma includere nuove intelligenze e capacità. Non è un compito facile, ma ha avuto una fiducia piena e ha tutto il tempo. Le Europee sono tra un anno e mezzo, le Politiche molto più in là».
Un consiglio però può darglielo.
«Con un linguaggio un po’ cattolico le direi che nei suoi confronti c’è stato un grande atto di fede, ora sta a lei scrivere e predicare il credo. E dovrà essere un credo riformista, altrimenti l’atto di fede svanirà com’è successo a molti dei recenti fenomeni italiani, che i politologi americani chiamano f ireworks ,fuochi d’artificio. Fiammate improvvise che si ridimensionano subito, alludendo a Renzi, ai 5 Stelle e a Salvini. A lei spetta dimostrare capacità di dare seguito all’investitura, cercando di coniugare coesione e innovazione».
Un’ultima domanda, ancora sulle alleanze. Se si vuole vincere, come diceva prima, cosa si deve fare?
«Parlare con tutti gli interlocutori possibili. Questo è necessario, ma sapendo bene cosa si vuole e cosa si è. Cioè avendo definito bene il perimetro del Pd che verrà e la società mobile che saprà portarsi dietro. Senza alleanze non si va da nessuna parte, ma sono l’ultimo tassello. Prima vengono i contenuti.
È di questi che c’è bisogno».