Corriere della Sera, 28 febbraio 2023
Intervista a Margaret Atwood
Se guarda alla sua lunga carriera di scrittrice, che bilancio farebbe? «Mmm... che dire? È stato divertente ma non mi volto indietro molto spesso: di solito sono impegnata a scrivere un nuovo libro...». Elegante, piena di verve e di ironia (anche su sé stessa), Margaret Atwood, 83 anni, parla con il «Corriere» in video dalla sua casa di Toronto. Non vuole dire neppure qual è il libro a cui è più legata. «Non posso, gli altri se la prenderebbero. Mi direbbero: ma come abbiamo passato così tanto tempo insieme e non siamo i tuoi preferiti? È come chiedere quale dei tuoi figli ami di più».
Il «Corriere» inizia la pubblicazione dei suoi libri dal romanzo più famoso, «Il racconto dell’ancella», una distopia che immagina le donne come semplici macchine da riproduzione. Sono passati quasi quarant’anni da quando l’ha scritto. Eppure in alcuni Paesi la condizione femminile sembra peggiorata...
«Non è un’impressione, lo è veramente: i fatti lo dimostrano. È peggiorata sopratutto in Afghanistan. In Iran si sta combattendo, non sappiamo quali saranno gli esiti, ma sembra che la gente non abbia intenzione di smettere di protestare e di pretendere maggiore libertà per le donne. Una delle cose positive dell’Iran è che ha permesso a molte ragazze di accedere all’istruzione, anche se sotto regole religiose strette. Così ora ci sono molte donne istruite che si sentono ingiustamente oppresse. In Afghanistan è diverso: stanno negando completamente l’istruzione alle studentesse. Negli Stati Uniti abbiamo visto che cosa sta succedendo... uno dei grandi problemi sono gli attacchi online alle giornaliste, in particolare quelle più giovani, e questa è una forma simbolica di possesso maschile. Io al massimo vengo attaccata per essere una vecchia befana o cose dal genere ma non ci faccio caso, anche perché non ho un lavoro e non posso essere licenziata. Oltretutto questi attacchi provengono da tutti i settori politici non soltanto da una parte. Evidentemente un certo numero di uomini pensa che le donne occupino posti che invece spetterebbero a loro. Un atteggiamento da primati».
Nei suoi libri lei ha spesso anticipato temi cruciali. Per questo viene considerata una sorta di profetessa, cosa che forse non le piace particolarmente...
«Esatto, sappiamo cosa succede ai profeti... Soprattutto donne. No, grazie…». (Ride)
Comunque è un fatto che abbia affrontato molti temi importanti prima di altri, e anche prima della politica. Come i cambiamenti climatici. Pensa che la letteratura possa avere un ruolo nel sensibilizzare le persone su grandi questioni?
«Certo potrebbe, ma dipende da che cosa legge la gente. Le serie tv raggiungono più persone. I lettori del Racconto dell’ancella, per esempio, sono aumentati quando la serie ha iniziato a essere trasmessa, nel 2017, in coincidenza con la presidenza di Donald Trump. Se Hillary Clinton avesse vinto le elezioni forse la serie sarebbe stata popolare, ma non così tanto. Magari la gente avrebbe pensato: beh, sì, bello spettacolo, ma questa situazione di sottomissione delle donne non succederà, scampato pericolo. Con Trump e tutto il dibattito su ciò che gli Stati Uniti volevano essere – se una democrazia, un’autocrazia o una dittatura – invece il tema ha avuto un peso diverso. Il mio agente di Hollywood mi ha detto: “Odio ammetterlo ma lei è l’unica persona che ha tratto vantaggio dall’elezione di Trump”».
Che cosa significa la parola impegno per lei?
«Tutti cercano sempre di spiegare agli scrittori quale dovrebbe essere il loro ruolo. Io dico: lasciateli scrivere, poi leggerete e deciderete. Non si dovrebbe farli sentire in colpa, non si dovrebbe pensare che chi fa l’arte per l’arte sia un’orribile persona che non sta contribuendo in alcun modo alla società. Chi decide cos’è un contributo? Far divertire le persone non lo è? Fare della buona arte non lo è? Io credo di sì».
La guerra in Ucraina, nel cuore dell’Europa, sembra essere un tragico ritorno al XX secolo, a qualcosa che pensavamo fosse finito per sempre...
«Per una persona della mia età, lo è davvero. Voglio dire, mi sento come se ci fossimo già passati. C’è un libro intitolato Bloodlands. Europe between Hitler and Stalin di Timothy Snyder che parla di quella parte del mondo, l’Europa centrale, in cui c’è stato il maggior numero di morti durante la Seconda guerra mondiale, a causa di due forze opposte. E uno dei motivi per cui la Polonia è così fortemente a favore dell’Ucraina è che è stato uno dei Paesi invasi in questo modo, da una parte e dall’altra, con molte vittime. Oggi non vogliono che questo accada di nuovo. Se le persone avessero preso una posizione più forte al momento della prima invasione forse il conflitto non ci sarebbe stato, si sarebbe tracciata una linea di demarcazione e il costo di oltrepassarla sarebbe stato considerato troppo alto. Perché succedono queste cose? Ci sono molte ragioni, ma io credo ce ne sia una molto semplice. Si pensa di poter vincere e, se si vince, si ottiene la “roba” degli altri».
L’anno scorso una copia speciale ignifuga del «Racconto dell’ancella» è stata venduta da Sotheby’s per 130 mila dollari, a favore del Pen Club America, che difende la libertà di espressione. Pensa che sia più a rischio oggi che in passato?
«Sì. L’uccisione di giornalisti è aumentata in tutto il mondo, così la loro incarcerazione. Ci sono Paesi che non hanno giornalisti imprigionati perché li hanno uccisi tutti o sono in esilio. Quindi sulla carta sembra tutto a posto. È molto preoccupante. Ieri sera sono andata a un incontro dell’organizzazione Canadian Journalists for Free Expression e hanno mostrato questo genere di statistiche. C’erano anche quelle degli attacchi online contro le giornaliste, che in Canada sono numerosi. Ma la domanda da porsi è anche: perché questo numero è così alto da noi? Perché in Canada ci sono più giornaliste donne. L’altro punto caldo in questo momento riguardo alla censura è il divieto di molti titoli nelle biblioteche scolastiche degli Stati Uniti. La ragione apparente è un ritorno al puritanesimo, visto che sono per lo più libri che contengono sesso. Il che è ridicolo: non è bandita la Bibbia, che è piena di sesso e violenza. Cosa che spiega in parte il suo fascino duraturo».
Sembra che lei stia sempre lavorando. Cosa fa quando non scrive?
«Il bucato, gioco a golf, giardinaggio, cucino. Quando Graeme (il marito Graeme Gibson, morto nel 2019, ndr) era ancora con noi, se avevamo una cena, io mi occupavo dell’inizio, lui del centro e ancora io della fine. Quindi lui si occupava del piatto principale e io dell’apparecchiare e del dessert».
Che cosa sta scrivendo ora?
«Mmm, pare che non possa dire niente. Posso dire però che scrivo sul mio Substack (piattaforma per newsletter, ndr). Perché ho iniziato? Beh, come tutti gli altri: sto osservando Twitter per vedere quanto è grave la situazione o se scompare in una nuvola di fumo. La persona che ora lo gestisce, di cui non voglio fare il nome (Elon Musk, ndr) ha fatto in modo che i suoi ingegneri aggiustassero l’algoritmo in modo da ottenere più visibilità del presidente Joe Biden. Dopo tutto questo parlare di apertura e correttezza, tutto questo bla, bla, bla, bla...».
Ogni anno i bookmaker la danno tra i candidati al Nobel per la letteratura...
«Shhh...Prima prendi il Nobel, poi muori (ride). Uno dei miei premi preferiti è stato quello per l’umorismo svedese. I miei editori sono andati a prenderlo per me. La cerimonia si teneva in un anfiteatro aperto e pioveva a dirotto, quindi si sono bagnati molto. Era una grande coppa di cristallo incisa e qualcuno l’ha rubata, quindi non ho neppure quello».
Che cosa le fa più paura oggi?
«Non mi spavento facilmente essendo stata educata in Canada, ma orsi e temporali fanno davvero paura. La crisi climatica è la cosa di cui tutti dobbiamo preoccuparci di più. E la potenziale morte degli oceani a causa dell’immissione di sostanze tossiche, tra cui molta plastica. In poche parole, se uccidiamo gli oceani, smetteremo di respirare. Perché sono gli oceani a produrre dal 60 all’80% dell’ossigeno che respiriamo. E probabilmente non ce la caveremmo molto bene con il 20-40%».
Ci sarà un terza puntata dell’«Ancella»?
«La domanda è: ne abbiamo davvero bisogno?».