Corriere della Sera, 28 febbraio 2023
Dagli studenti all’insalata, così la Brexit pesa ancora
La Brexit avrebbe permesso al Regno Unito di «riscoprire muscoli non utilizzati da una vita», aveva promesso Boris Johnson alla vigilia dell’uscita dall’Ue. Nel linguaggio della politica, il divorzio dall’Europa avrebbe spianato la strada verso la soluzione di tanti problemi, dall’immigrazione alla sanità pubblica. Misurata nella normale quotidianità dei cittadini, la realtà è risultata diversa. Se oggi nei supermercati mancano pomodori, lattuga e cetrioli la colpa è del maltempo, ma anche del difficoltoso rapporto commerciale del Regno Unito con i suoi vicini. Le file alla dogana e i controlli aggiuntivi rendono attraversare la Manica molto più complicato, tanto che scarseggiano i camionisti disposti a intraprendere il viaggio. A fine gennaio ne mancavano 50 mila. Tra le promesse più eclatanti – e poco veritiere – c’era quella dei 350 milioni di sterline a settimana che il Regno Unito avrebbe risparmiato lasciando l’Ue, fondi che, aveva suggerito la campagna capeggiata da Johnson, sarebbero stati utilizzati per la sanità pubblica. Post pandemia, il National Health Service naviga in acque agitate. Ancora ieri il filoconserva-tore (e pro Brexit) Daily Telegraph sottolineava che in lista d’attesa per inter-venti e procedure ci sono, nel Regno Unito, 7 milioni di persone. Nelle strutture manca il personale (circa centomila tra specialisti e operatori, stando a dati ufficiali): con la Brexit 4.285 medici e 58 mila infermieri europei hanno deciso di lavorare altrove. Per quanto riguarda l’immigrazione, sono scesi il numero di studenti che dall’Ue vengono in Gran Bretagna a frequentare l’università – un calo del 53% – e in generale il totale di cittadini europei che hanno ottenuto il visto per il Regno Unito (43 mila nel 2022 rispetto ai 430 mila l’anno prima della Brexit), ma ci sono oggi più emigrati, così come è cresciuto il numero di profughi che ha attraversato la Manica in imbarcazioni poco sicure.