La Stampa, 28 febbraio 2023
L’Ue ha un problema con le terre rare e le materie prime
Il tallone d’Achille della transizione energetica ha un nome: materie prime critiche. Si tratta dei minerali necessari all’economia green e digitale ad alto rischio di fornitura. A metà marzo, prima del Consiglio europeo, la Ue renderà nota la sua strategia per orientare gli Stati membri nella difficile partita di recuperare terreno nella competizione mondiale con la Cina su estrazione e lavorazione delle materie prime critiche. Qualche anticipazione intanto inizia già a circolare.
Al momento l’Europa importa l’80% di materie prime e quasi il 100% di quelle critiche. L’obiettivo Ue è evitare di passare dalla dipendenza dalla Russia per le fonti di energia fossile, come petrolio e gas, alla dipendenza dalla Cina di minerali vitali per settori chiave dell’economia: digitale, hi-tech, rinnovabili, aerospazio, mobilità. Da fonti della Commissione Ue si apprende che nel documento in via di stesura si vuole arrivare al 15% di produzione interna Ue di materie critiche entro il 2030. Un’ambizione enorme, ma molto ridotta rispetto a quanto prospettava lo scorso settembre il Commissario per il mercato interno Thierry Breton, secondo il quale «almeno il 30% della domanda di litio raffinato dell’Ue dovrebbe provenire dall’Ue entro il 2030». Per la percentuale eccedente il 15% la parola chiave sarà diversificare le fonti di approvvigionamento attraverso la cooperazione con partner affidabili come Canada, Usa, Australia, Sud America e Asia centrale, anche con iniziative bilaterali, continuano le fonti.
Ottenere un minimo di autonomia nella produzione di materie prime critiche è necessario per due ragioni: avvicina gli obiettivi Ue sottoscritti da tutti i Paesi europei per rispettare gli accordi di Parigi – che fissano la neutralità climatica al 2050.
Ma come raggiungere quel 15% di produzione interna europea? In Italia si lavora per lanciare progetti estrattivi al livello nazionale, riferiscono fonti di governo. Per farlo si sta aggiornando la carta geologica nazionale, in modo da capire su quale siti operare. «Un secolo fa l’Europa era un grande produttore di materie prime, ora non più. E alla diminuzione dell’attività estrattiva è corrisposta una diminuzione della ricerca e quindi della conoscenza dei nuovi materiali», spiega il professore del Politecnico di Torino Andrea Blengini, coordinatore dello Studio sulla lista Ue delle materie prime critiche del 2020. I nuovi materiali – come il gallio o il silicio per i semiconduttori; la grafite, il cobalto, il nichel e il manganese per le batterie, le terre rare o il litio per i motori elettrici, l’indio per gli schermi e per i pannelli solari – non sono mai stati cercati attivamente in Paesi come Italia o Germania, mentre in Svezia e Finlandia non si è mai abbandonata l’attività estrattiva, ragione per cui in quei Paesi si continua a trovare nuovi giacimenti. L’ultimo è stato annunciato dalla società mineraria statale svedese Lkab il 12 gennaio e si tratterebbe del più grande deposito di terre rare in Europa per oltre 1 milione di tonnellate di massa estraibile.L’attività estrattiva e di lavorazione di questi materiali non regge la competizione con la Cina ed è essenzialmente in perdita. Ma trattandosi di investimenti in settori strategici è impossibile tirarsi indietro, continuano fonti di governo. Agli Stati membri spetterà il ruolo di finanziare insieme ai privati l’attività di ricerca, estrazione e prima lavorazione. Dalla nuova strategia europea ci si aspetta un via libera alla semplificazione delle procedure autorizzative per la ricerca e l’estrazione.