il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2023
Kaliningrad, l’enclave russa che viveva all’europea
Un vento gelido soffia nelle strade della città portuale di Baltijsk, a 1.200 chilometri da Mosca. Sulla banchina del porto, Rouslan, un ex marinaio di una sessantina di anni, osserva le gigantesche navi militari della flotta russa. Baltijsk, 30 mila abitanti, affacciata sul mar Baltico, è la città più occidentale della Russia. Si trova nell’enclave russa di Kaliningrad, tra Polonia e Lituania, diventata particolarmente strategica per la Russia da quando è in guerra con l’Ucraina. Negli ultimi anni, il Cremlino ha trasformato la regione in base ultra militarizzata dispiegando missili e sistemi di difesa antiaerea. Vi sarebbero inoltre dislocati tra 9 mila e 20 venti mila uomini. La capitale, Kaliningrad, dista una quarantina di chilometri a est.
Nel suo porto commerciale attraccano le navi che, in arrivo da San Pietroburgo, riforniscono la regione di ogni tipo di merce. Da quando sono scattate le sanzioni occidentali, l’enclave, che conta un milione di abitanti, incontra molte difficoltà di approvvigionamento. Soprattutto nel giugno 2022, quando la Lituania ha rifiutato il transito sul proprio territorio dei prodotti sanzionati dall’Unione Europea, tra cui carbone, cemento, legno e prodotti tecnologici. Secondo il governatore di Kaliningrad, Anton Alikhanov, le restrizioni riguardavano tra il 40% e il 50% delle merci in transito tra l’enclave e il resto della Russia. Un mese dopo, tra le proteste e le minacce di Mosca, Vilnius aveva finito con autorizzare di nuovo il transito delle merci su rotaia. Il trasporto resta tuttavia più laborioso e costoso di prima. “Per via della nostra posizione geografica, le aziende locali lavoravano molto con i Paesi limitrofi, Lituania, Polonia, ma anche Olanda e Germania. Ora tutto è crollato come un castello di carte”, osserva Igor Plechkov, direttore della Tomas Beton, che ha sede a Kaliningrad. Nel suo ufficio, al dodicesimo piano di un grattacielo, l’imprenditore, che dà lavoro a 300 dipendenti, si preoccupa per il futuro della sua azienda, rilevata venti anni fa ad un gruppo tedesco. “In questo contesto di incertezza – spiega –, nessuno vuole avviare nuovi progetti. Cerchiamo di minimizzare il più possibile le perdite”. Essendo in una zona economica a statuto speciale, Kaliningrad ha attratto sempre molti investitori stranieri, in particolare nel settore automobilistico, ora pesantemente colpito dalle sanzioni. Fondata nel 1994, la gigantesca fabbrica Avtotor è stata la prima in Russia a produrre automobili straniere. Fino allo scorso anno impiegava più di 2.500 persone e produceva modelli dei marchi BMW, Kia e Hyundai. Dopo la guerra, BMW si è ritirato dal mercato russo, mentre le produzioni di Kia e Hyundai, che incontrano problemi con la fornitura di componenti, sono ferme. Per compensare il calo degli stipendi legato al calo dell’attività, l’azienda ha proposto agli operai dei terreni da coltivare. Oltre ad avere problemi economici, gli abitanti di Kaliningrad non possono più muoversi liberamente nei Paesi vicini. Qui il 70% della popolazione, contro il 17% nel resto della Russia, ha un passaporto per l’estero. Prima della guerra viaggiare in Europa era semplice: Vilnius dista 300 chilometri, Varsavia 400. Gli abitanti di Kaliningrad potevano partire in automobile per il fine settimana e andare a fare acquisti in Polonia. Ma diversi valichi verso la Polonia e la Lituania, chiusi nel marzo 2020 per la pandemia di Covid-19, non sono mai stati riaperti. E, da settembre 2022, i turisti russi con visto Schengen, rilasciato da un qualsiasi Paese europeo, non hanno più il diritto di entrare nei Paesi baltici o in Polonia. Alexandre, tassista, si è trasferito nella regione con la sua famiglia undici anni fa per essere più vicino ai parenti che vivono in Germania: “Quando i confini erano aperti, era fantastico – racconta –. Andavamo spesso a trovare la famiglia a Berlino o ci ritrovavamo tutti per le vacanze in Croazia”.
Come molti abitanti di Kaliningrad, per Alexandre la guerra in l’Ucraina è una tragedia: “Quanto dolore, quante madri che hanno perso i figli sul fronte – dice –. Ma a cosa serve questa guerra?”. “Purtroppo, se vogliamo restare qui, non possiamo dire apertamente il nostro pensiero”, spiega un imprenditore locale che preferisce restare anonimo. A 40 anni, parla diverse lingue e lascerebbe volentieri il Paese, ma non vuole abbandonare i suoi cinquanta dipendenti e le loro famiglie. “Nella vita non puoi sempre agire come vorresti – aggiunge –, devi anche prenderti le tue responsabilità. Non posso lasciare la mia famiglia, rinunciare a tutto, in questi tempi difficili”. In questo territorio annesso da Stalin alla fine della seconda guerra mondiale, gli abitanti si sono sempre sentiti separati dalla “Grande Russia”. “Qui siamo più europeisti -, spiega un abitante di Kaliningrad -. Vediamo come vivono le persone in Europa, come educano i loro figli. Ci influenza molto”. Un’altra particolarità di questa regione è l’eterogeneità della sua popolazione, arrivata da diverse regioni dell’ex Unione Sovietica. La storia dell’enclave spiega in gran parte la sua unicità. Fondata nel 1255 con il nome di Königsberg dall’ordine dei Cavalieri Teutonici, la città divenne capitale della provincia tedesca della Prussia orientale. Bombardata dagli inglesi nell’agosto del 1944, fu recuperata un anno dopo come trofeo di guerra dai sovietici, che cacciarono i tedeschi ancora presenti e cercarono di cancellare ogni traccia del ricco passato prussiano. La città prese il nome di Kaliningrad nel 1946. La Casa dei Soviet, un blocco di cemento di 21 piani, mai completato, fu eretta negli anni 60 sul sito del castello distrutto di Königsberg. Malgrado le costruzioni sovietiche, il carattere germanico della città persiste. Sull’isola di Kant, la cattedrale gotica, che ospita la tomba del filosofo Emmanuel Kant, originario del posto, è stata riabilitata negli anni 90. Il quartiere di Amalienau, miracolosamente risparmiato dai bombardamenti, conserva splendide case di inizio 900. A Kaliningrad, la sociologa urbana Anna Alimpieva lotta per riabilitare la “cintura verde” che circondava l’antica Königsberg cento anni fa, una rete di parchi e giardini che collegava il secondo anello di bastioni della città fortificata. Per Anna Alimpieva le autorità locali non si interessano del recupero del patrimonio storico della città.
Il ponte a due piani sul fiume Pregel, costruito dai tedeschi negli anni 20 per il traffico stradale e ferroviario, distrutto e poi ricostruito dai sovietici, è destinato alla demolizione: “Eppure questo ponte è un’opera d’arte e, unendo il nostro passato tedesco e sovietico, è il simbolo della nostra storia – sottolinea la sociologa -. Di fronte all’indifferenza delle autorità, i soli progetti di salvaguardia del patrimonio culturale della città sono il risultato di iniziative private”. In via Krasnaya, il negozio della Max Preuss Manufaktur è pieno di oggetti antichi. Vi si trovano per esempio dei vecchi cartelli stradali in tedesco. Diverse porte delle antiche mura della città sono state riabilitate da abitanti appassionati di storia e trasformate in musei o ristoranti. La porta di Sackheim e le sue due torri ospitano una sala di esposizione e un piccolo caffè, gestito dall’Unione dei fotografi di Kaliningrad. L’artista Olga Dmitrieva, 62 anni, frequenta regolarmente questo luogo atipico. Da vent’anni crea libri grafici sulla storia dell’enclave. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, ha iniziato a realizzare opere per denunciare la guerra e lavora malgrado la repressione e i rischi che corre. Una parte della sua famiglia vive in Ucraina: “Mio nonno è fuggito dai carri armati tedeschi a Izjum nel 1941, ora – dice – la mia famiglia deve fuggire dai carri armati russi”. Come molti abitanti di Kaliningrad, anche Olga rimpiange le amicizie e le collaborazioni culturali che prima della guerra si potevano stringere con i Paesi vicini. A Kaliningrad si respira un sentimento di vicinanza all’Europa che non ha nulla a che vedere con l’immagine veicolata dalla propaganda del Cremlino, che dipinge l’Occidente come un pericoloso nemico della Russia.
(Traduzione di Luana De Micco)