il Giornale, 27 febbraio 2023
Ritratto al vetriolo di Lucia Annunziata
Domanda. Il ruolo di conduttrice in una trasmissione del servizio pubblico televisivo, è compatibile con quello di portavoce di Gianfranco Fini? «Io sono stata bresidende della Rai, e garandisgo ghe si può. E comunque gui si fa gome digo io...».
Dicono che faccia sempre quello che dice lei. Autoritaria, incomprensibile, intrattabile, incazzosa. Quando stava per prendersi la striscia di informazione fra il Tg1 e il prime time poi andò male – risuonò stentoreo nei corridoi Rai: «Je spacco er culo a Lilli!».
Sangue caldo meridionale e vocetta perennemente raffreddata, partita primula rossa e arrivata a resuscitare mediaticamente l’ex leader di An l’irrilevanza dei fondatori e l’ostinazione delle inamovibili – Lucia Annunziata, cronista di razza campana e pasionaria di ascendenze comuniste, flirta da sempre col giornalismo e con la politica. Convinta che il primo serva a rafforzare la seconda, la seconda a proteggere il primo.
Primadonna, e non solo in ordine alfabetico, delle Nostre Signore dei Talk Show Annunziata, Berlinguer, Gruber, Palombelli che castrando la mascolinità catodica ed esagerando con le quote rosa tracciano la rotta della telepolitica italiana, Lucia la sciantosa (ragazza carinissima, ai tempi del Manifesto faceva girare tutti i colleghi, da cui il soprannome «la svolta di Salerno») è da trent’anni in Rai e da quasi venti, minuto più minuto meno, accompagna la controra domenicale degli italiani, in una mezz’ora annunziatesca che ormai si dilunga oltre l’ora, le opere, i giorni, le settimane, le stagioni, gli anni...
La Santissima Annunziata. Chi buttiamo giù dalla torre Annunziata? Nuntio vobis... Santa Lucia protettrice degli occhi e della vista. Lucky Lucia. Renzi e Lucia. Lucy in the Sky with Rai...
Cronaca di una cronista Annunziata. Figlia di un ferroviere comunista e partorita dall’Agro Nocerino Sarnese, terra di Osci, di Sanniti e di baroni, narra la leggenda – che è un racconto solo un po’ meno affidabile del giornalismo che da piccolissima, già scampata a un fulmine che le lesionò un occhio, il papà la portasse tutte le mattine all’asilo, in treno, affidandola a un collega in quel di Avellino Scalo. Un giorno nevicava. E per non farle bagnare le scarpine, Lucia fu deposta su un giornale. E la sera si scoprì che sapeva leggere: aveva imparato da sola. Tanti anni dopo, rievocando quelle antiche storie di folgori e miracoli, Enzo Siciliano, prefigurazione della presidenza Rai, la chiamò «la maga di Sarno».
Poi il mito diventa Storia. Da Salerno ai grandi reportage nel mondo, dopo la laurea in Filosofia e un esilio da insegnante in Sardegna, fra Gramsci e li beltj, li boi e li peguri, Lucia Annunziata, cresciuta nel ventre ideologico romano e militante scatenata nel ’68, comincia a collaborare col Manifesto, pezzi lunghi e gonne corte, e poi con Repubblica, corrispondente dagli Stati Uniti, quando le malelingue dicono che le riscrivessero i pezzi perché scritti in un italiano stentato... La rivoluzione in Nicaragua in sandali e Sandinisti, la guerra civile salvadoregna, l’invasione di Grenada... Poi corrispondente dal Medioriente, con base a Gerusalemme, già molto filo-israeliana. Poi il Corriere della sera e di nuovo negli Usa, Paese cui Lucia l’Amerikana resterà sempre legata per motivi professionali e sentimentali (il marito è un giornalista del Washington Post), dalla sinistra operaista e radicale al mainstream globalista e transnazionale Aspen Institute, Eni, Fondazione Italianieuropei... – e quindi negli anni ’90 il ritorno in Italia, da papà e da Mamma Rai. Scarpe rasoterra e autostima altissima, cuore rosso e tailleur total black, Lucia Annunziata – citizen journalism, servizio pubblico e battaglie private conduce Linea tre, poi dirige il Tg3, quindi l’agenzia di stampa APBiscom e infine, nel 2003, Governo Berlusconi, quando la Rai veniva spacchettata tra maggioranza (che esprimeva il direttore generale, all’epoca Flavio Cattaneo) e opposizione (cui spettava la Presidenza), Lucia Annunziata diventa la seconda donna presidente della Rai, dopo Letizia Moratti. Con l’auspicio di tutti che «Peggio di quell’altra non potrà fare».
In sella al Cavallo di viale Mazzini Lucia, l’amazzone – «Femmina alfa» che si veste e pensa da uomo dura il tempo direttamente proporzionale al suo potere decisionale: pochissimo. Lo spazio di una raffica di crudeli parodie di Sabina Guzzanti, che la Presidente non digerisce, e se ne va sbattendo la Porta a Porta (l’Annunziata e Bruno Vespa non si possono vedere, ndr).
Si cambia poltrona ma non Azienda: lascia quella di Presidente di garanzia e si garantisce quella di conduttrice di un nuovo programma, In mezz’ora, che va in onda in prime afternoon della domenica, ed è fatto apposta per chi odia la televisione. Era il 2005. Ed è ancora in onda. Il format è elementare: 1) Lucia Annunziata fa una domanda all’ospite; 2) l’ospite inizia a rispondere; 3) Lucia Annunziata lo interrompe. Ma il programma, al netto degli incontenibili monologhi spacciati per domande, retaggio della cultura assembleare della sinistra extraparlamentare, va benissimo. Lei, e lo scriviamo seriamente, è brava. Dalla trasmissione esce sempre un titolo per i giornali del lunedì. E la cosa durerà anni. Purtroppo.
Settantatré anni, due matrimoni, una vita sacrificata alla carriera e al potere, in ordine inverso; lucida, ruvida, tagliente, sorta di Repubblica autonoma dentro la Sinistra, personale editore di riferimento: Massimo D’Alema, un’amicizia con la Berlinguer, la zarina rossa e la zarina Bianca, ottime capacità relazionali è amica di tutti e frequenta i potenti, anche quelli che da giovane si dovevano evitare Lucia Annunziata, passata indenne dalle mareggiate dell’Ulivo, berlusconiane, leghiste, di Draghi e dei sovranismi, galleggia ancora benissimo. «Ponciorno». Ci rivediamo domenica prossima.
Sempre convintamente a favore della preminenza della politica sullo spettacolo, se Lucia fosse una show girl sarebbe Concita De Gregorio. Se fosse uomo, Mara Venier.
Comunque, ce la ricorderemo. E non solo per la faziosità.
Cose da ricordare (ma anche no) di Lucia Annunziata. L’ossessiva rivalità con il conterraneo Michele Santoro, stessa etnia ma molto più popolare di lei. La ricerca a tutti i costi della ribalta, come quando – marzo 2006 – attaccò stizzita il premier Silvio Berlusconi, spingendolo ad abbandonare lo studio, ed entrambi sapevano che sarebbe finita così. Quando, anno di scarsa grazia 1977, nelle manifestazioni di piazza tirava i sampietrini a Luciano Lama (non è vero: è pura mitizzazione). Quando voleva «prendere per il collo» quelli che rifiutavano il vaccino, e qualcuno le diede pure ragione. La volta che, prima di partire per il weekend nella sua bella casa di Anacapri, mentre Enrico Letta esprimeva la «solidarietà alla comunità ucraina in Italia fatta di centinaia di migliaia di persone», lei commentò «di cameriere e badanti» (e amanti, no?)
Ah. Il nuovo libro di Lucia Annunziata s’intitola L’inquilino (sottinteso: di Palazzo Chigi). Una storia della perversa inclinazione degli italiani per i potenti, partendo dalla constatazione che negli ultimi 11 anni si sono succeduti sette governi e sei premier. Uno scandalo rispetto alla stabilità di un’azienda pubblica come la Rai, in cui per vent’anni una giornalista può tenersi la stessa trasmissione. Senza neanche una tornata elettorale. Titolo: L’occupazione. A sinistra, più che un bestseller, è un classico.