Corriere della Sera, 26 febbraio 2023
Letizia Moratti non vuole andare in pensione
Aveva detto: perdere non è previsto. Invece ha perso. Non è più in Regione. Non sta con la destra di governo. Non sta con l’opposizione di sinistra. Dove va Letizia Moratti? Lascia o rilancia sul piatto della politica?
«Il mio percorso politico è appena avviato: riparte da 320 mila elettori. L’astensionismo dimostra che c’è spazio per un movimento moderato, popolare, riformista e liberale che si metta al centro degli equilibri nazionali».
È un’area vasta che oggi fatica a trovare consenso elettorale…
«I fuochi d’artificio della politica prima o poi si ridimensionano. C’è stato Grillo, poi Renzi e Salvini, adesso c’è Giorgia Meloni. Io guardo a una mediazione tra gli estremismi della destra sovranista e della sinistra populista, sintesi di una maggioranza silenziosa che non trova espressione e che oggi diserta i seggi».
Di lei hanno scritto: è stata coraggiosa, ha rischiato rinunciando alle offerte del centrodestra per non candidarsi contro Fontana. Di lei si maligna: è stata ingrata con l’area politica che l’ha sempre sostenuta, il suo voltafaccia è solo una ripicca, ha perso credibilità…
«La verità è che mi sono messa davvero in gioco, rifiutando allettanti e comode poltrone. Ho scelto la via più difficile che per me era la piu coerente e leale. Non mi sono fatta comprare e non ho mercanteggiato».
Da tecnico e civil servant, non le conveniva puntare su un incarico istituzionale?
«Gli incarichi che ho rivestito in passato sono sempre stati caratterizzati da un impegno assunto come tecnico, chiamato a risolvere situazioni complesse. Da presidente della Rai ho risanato un bilancio in deficit e rilanciato la tv pubblica. Come ministro dell’Istruzione realizzato una riforma che attendeva da 80 anni…».
Con qualche contestazione…
«I cambiamenti scontentano sempre qualcuno. Ma in Rai ho difeso Biagi e Santoro, puntando su Annunziata, Minoli e Vespa in prima serata. Ho sempre chiesto professionalità, non appartenenza…».
Da sindaco di Milano ha assunto Beppe Sala come city manager, oggi riferimento del centrosinistra…
«È stata anche quella una scelta professionale. Ma prima avevo conquistato l’Expo, per rilanciare il ruolo internazionale di Milano. E credo sia stata un’operazione riuscita».
Allora però Letizia Moratti stava con il centrodestra.
«Sono stata eletta come civico… supportata dal centrodestra».
Anche in Regione Lombardia nel gennaio 2021 è stata chiamata dal centrodestra, da Salvini e Fontana.
«Ho accettato una sfida. C’era da salvare la Lombardia dal naufragio: in quei giorni la Regione era nel caos per la campagna vaccinale, se lo ricorda?».
Ricordo il disastro delle prenotazioni, il ritardo della medicina territoriale, la confusione nella linea di comando…
Lo spazio politico
«L’astensionismo dimostra che c’è spazio per un movimento
popolare e riformista»
«In pochi mesi è cambiato tutto. La Lombardia è diventata la testa di serie delle vaccinazioni ed è stata avviata una riforma legislativa sulla sanità pubblica territoriale. La bozza del decreto legge sulla quale ho lavorato col governo Draghi sui medici di famiglia è ferma al ministero della Salute».
Da ex assessore al Welfare che cosa bisognerebbe fare e invece non si fa nella sanità lombarda?
«Per migliorare la sanità lombarda ora occorre riequilibrare il servizio sul territorio e per le liste d’attesa intervenire sull’esercizio della libera professione “intra moenia” nelle strutture pubbliche. Non è possibile dover attendere mesi per una prestazione erogata dal servizio sanitario pubblico o dover scegliere di pagare per averla il giorno dopo con lo stesso medico e nella medesima struttura».
Perché non è stata così chiara anche in campagna elettorale?
«Non ne ho avuto la possibilità. Fontana ha rifiutato ogni confronto. E forse ho toccato gli interessi di una Regione al palo nella crescita e nella competitività, mentre le altre aree equivalenti in Europa crescono dal 6 al 14 per cento».
Elenchiamoli questi interessi…
«Cominciamo dal disastro di Trenord, duemila treni cancellati e altri duemila in ritardo ogni mese. La gestione va messa a gara come in Veneto. Poi l’Aler: la gestione delle case è uno scandalo. Lombardia Film commission: per ritardi e incapacità abbiamo perso la location dell’ultimo film di Guadagnino. Finlombarda, altro carrozzone che non funziona…».
È favorevole alla bozza Calderoli sull’autonomia differenziata?
«È solo un bluff. Fumo negli occhi venduto dalla Lega per la campagna elettorale. Il decreto è una scatola vuota».
Contava davvero sull’appoggio del Pd quando è scesa in campo con Calenda e Renzi?
«Avevo proposto un metodo di lavoro basato su programmi e competenze, sul modello “agenda Draghi”. Ne avevo parlato con diversi leader di vari schieramenti riscuotendo interesse e favore. Il Pd ha scelto la via massimalista e il populismo a 5 Stelle. Zona confort assicurata per altri cinque anni. Vedremo ora se con il congresso cambierà qualcosa».
Resta convinta che bisognava candidarsi in Lombardia per determinare un passaggio politico contro un centrodestra che a suo avviso ha perso le sue caratteristiche riformiste?
«Non ci si impegna in politica contro qualcosa o qualcuno, ma per costruire. C’è un vuoto enorme al centro della politica italiana. Non è vero che ormai il sistema è rigidamente bipolare destra-sinistra. Il nostro Paese non è questo. Come si fa a tollerare che il 60 per centro dei cittadini non vada a votare? Abbiamo governanti che salgono al potere con il consenso effettivo del 20 per cento dell’elettorato».
Ripartirà con un manifesto popolare riformista e liberale?
«Mi preparo a costruire un pensiero e una squadra, valorizzando il civismo. I temi sono l’assetto costituzionale, il welfare, il lavoro e ovviamente l’ambiente. Senza ideologie ma con competenza».
Dopo il voto non ha pensato di lasciare la politica?
«No. In poche settimane è stato fatto un miracolo. La campagna è stata accelerata per mettermi fuori gioco. Sono e resto una civil servant e ogni scelta è un bagaglio di esperienze per il futuro. Il tempo sarà galantuomo».