Corriere della Sera, 26 febbraio 2023
Biografia di Elly Schlein
«Sono una donna, amo un’altra donna e non sono una madre, ma non per questo sono meno donna. Non siamo uteri viventi, ma persone con i loro diritti». Quando Elly Schlein alla chiusura della campagna elettorale del Pd pronunciò queste parole più di un dirigente dem sul palco capì che la neodeputata studiava già da leader. Ed è proprio l’immagine dell’anti-Meloni quella su cui punta adesso la candidata segretaria per vincere la sua corsa alla guida del Partito democratico, con l’obiettivo di coinvolgere sulla sua persona le speranze degli elettori del centrosinistra che chiedono una netta cesura con il passato e una leadership in grado di contrastare quella della premier.
Nata in Svizzera nel 1985 da padre americano e madre italiana (entrambi professori universitari), nonno materno antifascista e senatore socialista dal 1972 al 1979, Schlein ha un «pedigree» di quelli che nella vita possono servire. A 5 anni suona il pianoforte, a 15 si compra di nascosto una chitarra elettrica, a 26, nel 2011, con un po’ di ritardo sui tempi, si laurea in Giurisprudenza all’università di Bologna.
Sempre nello stesso periodo fonda Progrè, un’associazione che si occupa di migranti e carceri. Ma prima, nel 2008, si offre come volontaria della campagna elettorale di Barack Obama. Dunque, il pallino per la politica Elly lo ha sempre avuto. Nel 2013, dopo che 101 franchi tiratori – sempre che in realtà non fossero ancora di più – impallinano Romano Prodi sbarrandogli l’accesso al Quirinale, lei fonda «Occupy Pd» e insieme ad altri giovani occupa le sedi dem per protestare contro quell’agguato parlamentare e contro la politica delle larghe intese avviata dal Partito democratico dopo la «non vittoria» di Pier Luigi Bersani alle elezioni.
Nello stesso anno, però, decide di entrarci in quel partito, e sostiene la corsa di Pippo Civati alla segreteria. Il suo candidato perde ma lei un anno dopo vola a Strasburgo ottenendo ben 53 mila preferenze nella circoscrizione del Nordest. Un ottimo risultato. Un anno dopo lascia il Pd: «Da troppo tempo non mi riconosco più in nulla di quello che fa questo governo. Vale la pena di lottare all’interno del partito finché c’è il partito, ma temo che questo non esista più», scrive sulla sua pagina Facebook. Ce l’ha con Matteo Renzi con cui tuttora continua ad avercela.
Finita la sua esperienza a Strasburgo, nel corso della quale si è occupata con grande impegno delle problematiche della migrazione, si butta in una nuova avventura politica, sostenendo Stefano Bonaccini che si candida per la seconda volta alla presidenza della giunta regionale dell’Emilia-Romagna, di cui, una volta vinte le elezioni, va a fare la vice.
Nel pieno di quella campagna elettorale diventa l’idolo della sinistra più radicale quando, venendo a sapere che Matteo Salvini è a cena in paesino dell’Emilia-Romagna, lo aspetta fuori del ristorante, come una semplice militante, e lo apostrofa così: «Perché a Bruxelles non siete mai venuti a nessuna delle 22 riunioni del negoziato sulla riforma migratoria più importante per l’Italia?».
Il riferimento è alla ridiscussione dei trattati di Dublino che l’avevano vista protagonista in prima persona nei suoi anni al Parlamento europeo. Il leader della Lega le volta le spalle e se ne va borbottando un: «Le riunioni che importavano io le seguivo». E lei gli urla dietro: «Le norme si cambiano ai tavoli perché è facile fare i tweet».
In politica Schlein è insieme radicale e cauta, declinando il «ma anche» di veltroniana memoria in chiave contemporanea, come dimostra la sua posizione sull’Ucraina con un tiepido sostegno all’invio degli aiuti militari a Kiev.
Appassionata di cinema, musica e videogiochi (il suo preferito è Monkey Island, un’avvincente storia di pirati), non troppo tempo fa Schlein ha subito un attacco antisemita (il padre è ebreo) che metteva nel mirino anche il suo naso, come nei copioni più triti e ritriti. Lei ha dato una risposta a quell’aggressione che non è piaciuta a molti: «Il mio è un naso etrusco». Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, non ha gradito e le ha replicato per le rime: «Se per rispondere a un deprecabile attacco antisemita sul tuo naso confermi lo stereotipo su cui si fonda non sei di grande aiuto contro l’antisemitismo».