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 2023  febbraio 27 Lunedì calendario

Colloquio con Carlo De Benedetti - su "Radicalità. Il cambiamento che serve all’Italia" (Solferino)

«Anche se alla mia età si dovrebbe cercare la quiete, io sono convinto che questo sia il momento della tempesta».

Carlo De Benedetti ha 88 anni. «Da ragazzino, figlio della lupa, partecipavo alle adunate fasciste. Poi sono arrivate le leggi razziali, la guerra nei cieli d’Italia, i bombardamenti alleati che nel novembre del 1942 distrussero la casa della mia famiglia a Torino. Posso dire di essere vivo per miracolo: nella notte in cui fuggimmo in Svizzera avevamo appena passato l’ultima recinzione, infilandoci in un buco nella rete di confine, quando sopraggiunse una ronda tedesca dall’altra parte. La differenza tra la vita e la morte fu questione di minuti, un tiro di dadi del destino. Dopo questa fuga rocambolesca, ho vissuto con mio padre, mia madre e mio fratello in una pensione di Lucerna, dove campavamo vendendo i brillanti che mia madre prima di partire aveva cucito nel busto. Li centellinavamo, poco alla volta, perché non sapevamo quando sarebbe arrivata la pace; non tornammo in Italia fino all’agosto del 1945. Ricordo però in quei lunghi mesi la fiducia incrollabile di mio padre: “Quanto durerà la guerra non lo so, ma vinceranno gli americani”. “E noi cosa faremo?”. “Se i comunisti si fermano a Trieste noi torneremo a Torino, se i comunisti arriveranno a Torino noi andremo in America”. I comunisti non sono arrivati a Torino ed è lì che ho vissuto la ricostruzione e il miracolo italiano».

Per capire Carlo De Benedetti bisogna partire dal dato autobiografico, che riaffiora sempre nei suoi libri. La sua conversazione, come la sua scrittura, ha quel tratto franco ai limiti della spavalderia che lo rende amato e odiato ma mai irrilevante, e non si comprende senza l’infanzia drammatica, la consapevolezza di essere vivo per miracolo, la voglia di prendersi l’unico lusso che i miliardari italiani quasi sempre si negano: dire quello che davvero pensano.

Quel che pensa del nostro Paese Cdb lo condensa in 140 pagine, in uscita da Solferino. Titolo: Radicalità. Il cambiamento che serve all’Italia. Partenza: l’Italia è in declino. «Si trova in una stagnazione che prelude alla decadenza». Non mancano né i cervelli, né l’università per formarli: quella di Bologna che è la più antica del mondo, la Bocconi, i Politecnici di Milano e Torino. Manca il «venture capital», gli investitori disposti a finanziare non il debito pubblico, non un capannone, ma un’idea; come lo stesso De Benedetti confessa di non essere stato in grado di fare, quando in un garage di Cupertino uno Steve Jobs ventenne e capellone gli propose l’affare della vita, 600 mila dollari per comprare il 20% dell’azienda che sarebbe diventata Apple.

Ma all’Italia manca soprattutto la politica. Che l’autore non apprezzi Berlusconi, Salvini, Meloni non rappresenta una notizia. E il Pd? «Una compagine che dopo decenni di politica conservatrice è difficile considerare ancora come progressista, da cui la generale disaffezione dei suoi elettori. Non diversamente da me, ritengo si sentano come coniugi traditi, che hanno stretto un patto e non lo hanno visto rispettato». E ancora: il Pd è «un partito che considero irriformabile, dilaniato e avvitato nei propri psicodrammi interni anziché proiettato nella soluzione di problemi reali. L’equivalente di una seduta psicoanalitica sul ponte della nave che affonda, senza neanche l’orchestrina».

L’unica soluzione per l’autore è la radicalità. In senso etimologico: cambiamento alla radice. Un «nuovo socialismo» che affronti i due grandi temi della modernità: le crescenti disuguaglianze e il disastro ambientale.

Il capitalismo non funziona più. «Ha tradito la sua promessa fondamentale: il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone possibile. Oggi produce invece enormi ricchezze destinate a pochi, a spese non solo della larga maggioranza, ma del pianeta stesso». Da una parte, le disuguaglianze mostruose: mentre l’umanità soffriva al tempo del Covid, i dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato il loro patrimonio, che ora ammonta a sei volte quello del 40% più povero. È un dato tanto impressionante che si fatica a capirlo: tre miliardi di esseri umani non arrivano alla metà della ricchezza dei dieci uomini più ricchi. Nel frattempo si è riaccesa l’inflazione, che colpisce soprattutto i poveri e il ceto medio, e sono ripartiti i tassi, che fanno aumentare sia i costi per lo Stato sia quelli dei mutui per le famiglie. De Benedetti chiede al riguardo una patrimoniale per tutti, precisando di averla pagata per decenni, sia pure in Svizzera (ecco un altro passo del libro che farà discutere). Dall’altra parte, siccità, scioglimento dei ghiacciai, alluvioni mettono a rischio il futuro dell’umanità, senza che la politica se ne occupi. Anzi, proprio quando servirebbe un governo globale, sul mondo torna lo spettro della guerra.

Alcune tra le pagine più impressionanti di Radicalità sono dedicate al conflitto prossimo venturo tra America e Cina, che l’autore considera inevitabile. «Ce lo dice la storia. Quando una potenza dominante vede emergere uno sfidante, la contrapposizione prima o poi sfocia in aperto conflitto. È successo con Atene e Sparta, succederà con Stati Uniti e Cina. Le avvisaglie si vedono già: il rimpatrio delle tecnologie; la dislocazione delle sedi orientali delle grandi multinazionali Usa in altri Paesi, come nel caso della Apple che sposta una parte significativa della sua produzione in Vietnam; la “guerra dei chip”, con l’America che blocca la vendita di semiconduttori alla Cina. In una nota privata del generale dell’aeronautica Mike Minihan si legge: “Spero di sbagliarmi. Ma l’istinto mi dice che combatteremo nel 2025”».

Il lettore a questo punto si domanderà: dov’è la speranza? Cosa può fare l’Italia in tutto questo? In campo geopolitico, molto poco, risponde De Benedetti. Eppure il capitolo conclusivo è dedicato a un possibile «Rinascimento europeo». Il primato dell’Europa, sostiene l’autore, deve essere ecologico. «Siamo ricchi, siamo vecchi, siamo belli. Dalla Valle della Loira alla Valle dei Templi e dalla Valle del Reno alla Valle del Jerte, dai fiordi allo Stretto di Messina, l’Europa è stupenda. Questa bellezza, che significa anche stili di vita e valori, possiamo coltivarla, valorizzarla e anche esportarla». L’Italia può fare la sua parte: puntando sull’ambiente, le energie rinnovabili, la formazione dei giovani, le nuove tecnologie, e anche una nuova finanza capace di investire sulle idee. E una nuova sinistra, ancora tutta da costruire.