la Repubblica, 26 febbraio 2023
Censurato, anzi no l’affaire Roald Dahl
«Se mai dovessero cambiare una sola virgola delle mie opere, giuro che non pubblicheranno mai più una riga a mia firma». Roald Dahl è una furia. Francis Bacon, il leggendario artista inglese sul divano con lui, lo ascolta inquieto. Ricorda lo scrittore sbattere i pugni sul tavolo, durante un iracondo sermone casalingo. Dahl fa tremare i bicchieri, le anticaglie. Fino alla minaccia finale, come un deja-vu: «Se modificano i miei romanzi senza permesso, farò divorare i responsabili dal mio Enorme Coccodrillo», uno dei protagonisti dei suoi capolavori per bambini.
Great Missenden, contea dell’inglese Buckinghamshire, 1982. Una conversazione straordinaria tra due colossi della cultura inglese, oggi più che mai attuale. Roald Dahl muore 8 anni dopo, 74enne, dopo una vita oscura e irripetibile. Ma già allora il grande romanziere temeva cosa sarebbe potuto accadere ai suoi libri: censura, modifiche non autorizzate e lessico sanitised , “disinfettato” della sua controversa e misteriosa verve letteraria.
Anche per questo l’editore anglosassone Puffin una settimana fa ha plasmato l’incubo dell’autore deLa fabbrica di cioccolato e tanti altri capolavori: tutte le opere aggiornate agli attuali parametri di politicamente corretto. Ciccione? No, «enorme». Matto? No, «hai qualche problema». Nano? No, «particolarmente basso» Eccetera. E chi se ne importa della minaccia dell’enorme coccodrillo di Dahl. Del resto, pure Shakespeare (Otello , Il mercante di Venezia ), Huckleberry Finn di Mark Twain e persino Margaret Atwood sono stati censurati o aggiornati nel frattempo da quello che i critici chiamano “il nuovo maccartismo”.
Invece, la maledizione di Dahl era lì, dietro l’angolo, e ha colpito. Apriti cielo delle polemiche. Tabloid e giornali conservatori come ilTelegraph scandalizzati «dall’ennesimo editto della dittatura woke », ossia quel movimento intellettuale segnato da un controproducente e ipersensibile politicamente corretto, secondo i critici. Il primo ministro britannico Rishi Sunak invoca: «Preserviamo Dahl!». Salman Rushdie, uno che rischia la vita ogni giorno per la libertà di espressione, parla di «censura assurda » di Dahl. Fino alla regina consorte Camilla: l’altro giorno la moglie di re Carlo III, grande amante dei libri, consiglia a un gruppo di giovani autori incontrati a Londra: «Non fatevi mai sopraffare da chi vuole limitare la vostra libertà di espressione».
Secondo ilDaily Express , il discreto ma pesantissimo affondo di Camilla è stato decisivo nel clamoroso dietrofront della casa editrice Puffin, parte del colosso Penguin, che ieri annuncia: «Abbiamo ascoltato il dibattito pubblico e le critiche che ci hanno messo a disagio», ammette ora l’editore inglese. Ecco il compromesso: la casa editrice pubblicherà entrambe le versioni delle opere di Dahl, sia quella tradizionale senza censure politicamente corrette — sotto il marchio storico Penguin — sia quella “ripulita” — sotto la divisione di Puffin. «Così ognuno avrà la libertà di scelta», aggiunge l’editore, che vuole chiudere così la spinosa faccenda.
I tabloid e i giornali conservatori in Inghilterra esultano: «La libertà di espressione ha vinto!». Mica tanto. Certo, la sonora retromarcia di Puffin/Penguin è notevole. Poi però ieri ilTimes scopre l’ennesimo inghippo, riguardo agli ebook. Non solo le opere elettroniche di Dahl avranno solo la versione censurata, ma gli ebook comprati dagli utenti anni prima di questa diatriba sono già stati automaticamente — e silenziosamente — aggiornati secondo il nuovo canone
politically correct .
C’è poi un altro mistero. Quanto ha contato Netflix nella decisione degli eredi di Dahl, insieme a quella della casa editrice, di ripulire l’opera del rigoroso capostipite? Secondo ilDaily Mail ,il colosso americano on demand, che due anni fa si è aggiudicato la trasposizione cinematografica delle opere di Dahl a partire da Matilda in cambio di 400 milioni di euro, avrebbe costretto i discendenti a depurarle per evitare cause e battaglie legali in una Hollywood devota all’inclusività. Secondo ilTelegraph , invece, Netflix ha contato poco o nulla. Il nuovo corso sarebbe stato deciso dalla silenziosissima famiglia, in particolare dalla quarta figlia Ophelia e dal nipote Luke Kelly, che per fare soldi avrebbero deciso di restaurare la reputazione di Dahl, infangata soprattutto dal suo antisemitismo, vedi un’aberrante intervista rilasciata alNew Statesman nel 1983, in cui arrivò a dire che «Hitler non scelse gli ebrei senza ragione».
Già, come ha sottolineato Rushdie, Dahl non era certo un santo. Neanche in famiglia: se nel Grande Gigante Gentile scriveva «non reprimere il tuo amore», alla seconda e problematica (alcol e droga) figlia Tessa (di 5) dice per la prima volta «ti voglio bene» un giorno prima di morire. E poi il testamento senza posto per i figli: lascerà tutto alla sua seconda moglie “Liccy” Crosland. Certo anche Dahl ha sofferto in vita: la prima figlia Olivia morta per morbillo, il terzo Theo investito da un taxi da neonato a New York con conseguenze cerebrali irreversibili (oggi fa il commesso a Los Angeles), i guai di Tessa, la prima moglie Patricia Neal falcidiata da un ictus mentre partoriva la quinta figlia Lucy (1965).
Forse l’unico vero amore di Dahl sono stati i libri e il loro mondo parallelo, come lo specchio di Alice. Dunque, attenti all’Enorme Coccodrillo.