la Repubblica, 26 febbraio 2023
Meloni e il rebus cinese
Con le diplomazie di Italia e Stati Uniti impegnate a preparare logistica ed agenda della visita entro l’estate di Giorgia Meloni alla Casa Bianca c’è un nodo urgente da sciogliere: il “Memorandum di intesa” fra Roma e Pechino che scade a fine anno e fa del nostro Paese l’unico partner del G7 ad aver formalmente aderito alla “Nuova Via della Seta” di Xi Jinping.
Il “Memorandum” venne firmato il 23 marzo 2019 dall’allora premier Conte e dal presidente cinese Xi, rientrava nella politica estera dei Cinquestelle che puntava a consolidare il legame con la Cina Popolare e promuove la cooperazione bilaterale in sei aree: dialogo politico, trasporti e infrastrutture, commercio e investimenti, cooperazione finanziaria, legami nella società civile e sviluppo della collaborazione nell’economia verde. Washington non ha mai gradito quella firma perché segna l’adesione formale dell’Italia alla “Belt and Road Initiative”, il mega-progetto di infrastrutture marittime e terrestri con cui Pechino vuole portare i propri beni e servizi fino all’Europa occidentale ovvero il mercato più ricco del mondo. Tra i pochissimi elementi di continuità fra amministrazione Trump e Biden c’è l’opposizione a questa strategia di penetrazione cinese in Occidente considerata anche una sorta di “cavallo di Troia” per creare una propria sfera di influenza in Occidente, come dimostra il fatto che Grecia e Ungheria da quando hanno firmato simili accordi con Pechino ne difendono assai spesso gli interessi in seno all’Unione Europea. E ancora: la presenza in Italia di informali “uffici di polizia cinese” – formalmente creati per assistere la comunità cinese ma in realtà sospettati di braccare i dissidenti – viene individuata dai nostri alleati come un possibile vulnus sul fronte della sicurezza.
Nel tentativo di andare incontro alle obiezioni Usa, Conte restrinse gli argomenti coperti dall’accordo e Draghi, una volta arrivato a Palazzo Chigi, fece chiaramente capire a Pechino che non gli assegnava eccessivo valore. Tanto Conte che Draghi hanno inoltre fatto ricorso al “Golden Power” per impedire investimenti cinesi in Italia nei semiconduttori e nelle reti di telecomunicazioni “5G”. Ma le obiezioni di Washington sono oggi più forti che mai in ragione dell’aumentata competitività cinese dell’hi-tech e della rivalità globale con Pechino.
Dunque, tocca a Giorgia Meloni, nelle vesti di attuale premier, decidere se rinnovare o meno il “Memorandum di intesa” con Xi entro la fine del 2023.
Per Palazzo Chigi significa trovarsi davanti ad un bivio non semplice: da un lato c’è la forte intesa strategica con la Casa Bianca di Biden, cementata dalla sintonia sulle decisioni adottate a sostegno dell’Ucraina aggredita da Putin, ma dall’altra c’è il valore del mercato cinese per le aziende italiane con un interscambio che nel 2020 ha superato i 45 miliardi di euro, inclusi 16 miliardi di investimenti cinesi nel nostro Paese. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi è venuto nei giorni scorsi a Roma per ribadire l’importanza del rinnovo del memorandum e sempre di questo Xi ha parlato con Meloni in novembre ai margini del summit di Bali del G20, facendole sapere che la aspetta al più presto a Pechino. Poiché l’invito di Xi e quello di Biden quasi si sovrappongono nel tempo, Meloni è chiamata a decidere in tempi stretti se confermare o smentire la scelta che fece Conte sulla partnership privilegiata con Pechino. A conferma che nell’attuale stagione di competizione globale fra grandi potenze – Usa, Russia e Cina – l’Italia non è solo contesa fra Washington e Mosca sul fronte della crisi militare ucraina ma è anche oggetto di un braccio di ferro fra Washington e Pechino nel quadro della sfida mozzafiato che ha in palio la leadership del XXI secolo.
Sulla carta, Meloni potrebbe scegliere come via d’uscita il modello di Parigi e Berlino, perché si tratta di altre capitali del G7 che hanno firmato importanti accordi economici con Pechino senza aderire alla “Nuova Via della Seta”. Ma Xi ha fatto capire che reagirebbe assai male ad un simile declassamento delle attuali relazioni fra i due Paesi. D’altra parte, l’amministrazione Biden, in ragione delle tensioni in crescita con Pechino su palloni volanti nei cieli Nato e possibili armi a Kiev, assegna grande importanza al “passo indietro” con la Cina che Giorgia Meloni potrebbe fare.Se a ciò aggiungiamo che la premier italiana è in partenza per l’India dove, ai “Raisina Dialogue” di New Delhi, le sarà chiesto di illustrare proprio la sua visione globale dei rapporti con Usa, Russia e Cina, non è difficile arrivare alla deduzione che l’Asia si affaccia con prepotenza sulla scrivania di Palazzo Chigi.