La Lettura, 26 febbraio 2023
Biografia di Oreste Del Buono
L’uomo che ha collezionato più dimissioni nel mondo dell’editoria, l’uomo che non dormiva mai, l’uomo che ha sdoganato i fumetti in Italia, l’uomo che ha tradotto circa duecento libri, l’uomo che si definiva una «talpa di città» (dal titolo di un suo romanzo). Non si sa da dove iniziare per raccontare Oreste del Buono, il mitico OdB, uno dei più raffinati e irregolari intellettuali dell’Italia del Dopoguerra. Nato l’8 marzo 1923 all’isola d’Elba, Odb ha svolto attività culturale a tutto campo. Scrittore, giornalista, critico e consulente editoriale, ha esordito nel 1945 con Racconto d’inverno, romanzo in cui racconta la sua esperienza di deportato in un lager nazista. È stato giornalista, commentatore di costume e di sport, romanziere, traduttore (di Marcel Proust, Gustave Flaubert, Robert Louis Stevenson, Oscar Wilde, Georges Bataille, Marguerite Yourcenar, André Gide, Julia Kristeva e altri), consulente editoriale, direttore di collane, curatore instancabile di antologie, critico cinematografico e televisivo. Ha lavorato per Garzanti, Feltrinelli, Mondadori, Rizzoli, Einaudi, Sonzogno, ha scritto per quotidiani e periodici, dal «Corriere della Sera» a «Panorama», ha diretto il mensile «La lettura» di Milano Libri.
Come ha scritto Carlo Alberto Brioschi, OdB «è stato un bastian contrario dell’editoria italiana, dai giornali alle riviste, un editor che non ha mai nascosto la sua passione per la letteratura di genere, dalla detective story al fantasy, e per la cosiddetta “cultura bassa”. È stato lui a dare una svolta ai tascabili Einaudi, puntando a mettere accanto ai grandi classici della narrativa e della saggistica i nuovi comici che si alternavano sulle scene milanesi dell’Elfo e dello Zelig: il pubblico gli ha dato ragione tributando un incredibile successo all’antologia di battute Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano, curato dalla coppia Gino & Michele (e da Matteo Molinari, nel 1991, ndr), che in pochi mesi arrivò al milione di copie».
Nel 1945 aveva tentato di tradurre in fumetti I promessi sposi sul «Politecnico» di Elio Vittorini; vent’anni dopo inaugura la rivista «Linus» con una discussione sul valore culturale delle «strisce» con Umberto Eco e Vittorini. Su quelle pagine poi arrivano tutti: da Charles M. Schulz a Al Capp, da Jules Feiffer a Hugo Pratt, da Tullio Pericoli a Guido Crepax, Alfredo Chiappori, Sergio Staino. Una vita frenetica, la sua, condotta con uno stile affilato e discreto, sempre un po’ di traverso, minimizzando o, appunto, dimettendosi per riapparire (la leggenda metropolitana dice che mandò almeno un centinaio di lettere di dimissioni). Incoraggiato dall’amico Erich Linder, diventerà protagonista dell’editoria italiana del secondo Novecento: nel 1947 esce il romanzo La parte difficile, il primo di una lunga serie, scritto in prima persona. Viene presentato da Vittorini sul «Politecnico» con una chiarezza tanto ruvida quanto profetica: «Grigio, triste, noioso, il libro di Oreste Del Buono. È il primo romanzo di un nuovo scrittore, di un giovane, e viene da pensare “ancora un libro così!”. Ma subito si passa a pensare dell’altro. C’è dell’altro. Il libro ha un valore... Vi si narra di un uomo che non sa credere nemmeno al delitto che pur compie. Che cosa ne dirà la critica degli ipocriti? Che è ora di finirla con questi “atteggiamenti”? Che è ora di risalire la corrente? Che è ora di tapparsi le orecchie e di chiudere gli occhi? Che è ora di rimettersi a dire delle “buone” menzogne? (…) [Il protagonista] ci mostra, nel libro, la miseria di cercare ancora delle mistificazioni. Mentre, attraverso il protagonista, il libro ci mostra, con la chiarezza di una piccola operazione aritmetica, come quello che di buono rimanga da fare alla borghesia sia ormai soltanto: non mentire. Cioè: scrivere dei libri come questo: continuare in questo genere di letteratura».
Nel 1961 pubblica con Feltrinelli Per pura ingratitudine: «Naturalmente persone e circostanze di questo libro sono meramente immaginarie, e se qualcuno vi volesse riconoscere qualcosa di sé, si farebbe soltanto un torto. Ma l’autore confida che nessuno si riconosca in questo ritratto della banalità contemporanea: lui stesso comincia a dare il buon esempio non identificandosi nel protagonista: l’autore, infatti, non fuma». Altri suoi libri Né vivere né morire (1963), Un tocco in più (1966, con Gianni Rivera), I peggiori anni della nostra vita (1971), La nostra età (1974), Tornerai (1976), Un’ombra dietro il cuore (1978), Il comune spettatore (1979), Se mi innamorassi di te (1980), La talpa di città (1984), La nostra classe dirigente (1986), La debolezza di scrivere (1987), La vita sola (1989), Acqua alla gola (1992), Amici, amici degli amici, maestri (1994).
«Alla domanda di quale fosse il film della sua vita – ha scritto Ranieri Polese – rispondeva: un montaggio dei film di Chaplin. “La mia vita si è svolta come in un film di Charlot, un po’ tragica un po’ ridicola”. Ricordando la bandiera rossa di Tempi moderni diceva: “Senz’altro è quella l’immagine che più mi rassomiglia: quella del comunista per caso che si trova collocato tra i nemici di classe per un’ironia del destino”. Negli anni Novanta aveva annunciato a tutti l’intenzione di lasciare Milano per l’Elba... Il tentativo durò poco, in fondo lui era una talpa di città (questo era il titolo della sua bellissima rubrica per il “Corriere”) e così decise di tornare a Milano. Qui aveva ricominciato a fare lavoro editoriale, per la Baldini & Castoldi del nipote Alessandro Dalai. Poi, non volendo che morisse, si accollò pure la direzione di “Linus”. Insonne da sempre, passava le notti scrutando strane cose sui canali tv, sentendosi minacciato da tutti gli strumenti che la tecnologia gli metteva a disposizione».
Nel 1988 il «Corriere» affida la rubrica Diario tv a del Buono. La sua è una fugace apparizione: mantiene il ruolo di recensore per soli due anni. La tv lo incuriosisce molto: tutti i generi televisivi, anche quelli di consumo, trovano dignità di rappresentazione nelle sue recensioni. La sua scrittura camaleontica ben si adegua al blob di immagini e suoni del piccolo schermo, l’osservazione fulminante è mascherata dietro l’umiltà della cronaca: dal flusso della programmazione ritaglia un oggetto, un personaggio, un episodio, che diventano il punto di partenza per un esercizio di narrazione, in cui a primeggiare è il suo punto di vista. Muore a Roma il 30 settembre 2003, assistito dalla compagna Lietta Tornabuoni.