il Fatto Quotidiano, 26 febbraio 2023
Sechi, il portavoce che divide i Fratelli d’Italia
Mario Sechi ha una storia da film. Il capitolo che ci riguarda è ancora da scrivere: il famoso decreto con la sua nomina non riesce a vedere la luce. Sechi resta il “quasi” capo ufficio stampa di Giorgia Meloni: tutti sanno dell’investitura, manca l’atto formale. Tanto è bastato per aprire una faida che rischia di far male soprattutto alla datrice di lavoro: Sechi non è amato da molti, in Fratelli d’Italia. E non solo nello staff che ora vede ai vertici della comunicazione Giovanna Ianniello, storico braccio destro della premier, e Fabrizio Alfano, vice capo ufficio stampa a Palazzo Chigi e, per un curioso incrocio del destino, ex capo della redazione politica dell’Agi, di cui Sechi è tuttora direttore (con un piede e mezzo in aspettativa). Ostile alla nomina anche la segretaria-ombra Patrizia Scurti. E, secondo il Foglio, anche il più meloniano dei ministri, Francesco Lollobrigida. Di Matteo Salvini poi non parliamo nemmeno: per il vicepremier leghista, è solo l’ultima prova di rapporti di forza irrimediabilmente sbilanciati.
Una vita da film, si diceva. Mario Sechi non è figlio di un pastore, come ha scritto maliziosamente Vittorio Feltri, ma di un elettrotecnico e di una casalinga. Nato a Cabras, nove chilometri da Oristano, primo di quattro fratelli. Origini umili, ma una casa piena di libri e giornali: “Suo padre comprava ogni giorno L’Unione Sarda e il Corriere della Sera e ogni settimana L’Espresso e Panorama”, secondo Franco Recanatesi, che l’ha intervistato su Prima comunicazione nel 2011. Agiografia di una gioventù sudata: terzino nel San Marco Cabras (fino alla Serie D), studente di Scienze Politiche a Cagliari, ragioniere impiegato in una ditta di vini a 1 milione (di lire) al mese. Il ritratto che gli ha dedicato Feltri è ben più velenoso, ma ha alcuni passaggi eccezionali: “Quando si presentò davanti a me – parliamo dei primi anni 90, Vittorio era direttore dell’Indipendente a Milano – aveva l’aria di un profugo, indossava abiti raccapriccianti, ma il suo aspetto, benché poco rassicurante, mi lasciò indifferente. Lo interrogai per una dozzina di minuti, non mi parve stupido e lo assunsi come abusivo, cioè in prova illegale”. Quindi Feltri racconta che quel ragazzo arruffato e squattrinato la notte dormiva “nei treni fermi” alla Stazione centrale, perciò lo prese a cuore e lo fece assumere. Per ringraziarlo, quando poi Sechi divenne vicedirettore a Libero (2009), “la prima dichiarazione pubblica che fece fu questa: finalmente riusciremo a mandare Feltri in pensione”.
Non è dato sapere quanto siano puntuali i ricordi di Feltri, narratore non sempre affidabile, di certo Sechi ha mostrato lungo la sua fortunata carriera almeno due caratteristiche: intelligenza e spregiudicatezza. Gli hanno permesso di frequentare da protagonista quasi l’intera galassia della stampa di destra: oltre a Libero, è stato vicedirettore di Panorama, caporedattore del Giornale, direttore dell’Unione Sarda e del Tempo, infine di Agi, l’agenzia di stampa di Eni (eccellenti i rapporti con Claudio Descalzi). In mezzo, una miriade di incarichi in board e cda di fondazioni legate all’industria. E una familiarità ininterrotta con i salotti tv.
Un solo grosso inciampo, forse due: era caporedattore del Giornale a Roma quando scoppiò “lo scandalo” Telekom Serbia, un dossier clamorosamente falso su presunte tangenti intascate dai vertici del centrosinistra (Prodi, Dini e Fassino; “Mortadella”, “Ranocchia” e “Cicogna”) cavalcato dal quotidiano di casa Berlusconi. L’altra macchia è la candidatura con Scelta Civica di Mario Monti: non fu eletto e faticò un pochino prima di rientrare nel giro dei giornali. Sechi si definisce un liberal-conservatore di stampo anglosassone. Molto lontano, insomma, dalla fiamma, di Giorgia e i suoi. In verità Sechi è stato un po’ tutto: timidamente berlusconiano negli anni di B., convintamente montiano in quelli di Monti, s’inventò una newsletter – List, ancora attiva – in cui riversava una certa fascinazione sovranista nei (pochi) anni d’oro di Salvini. E quando governava Matteo Renzi? Scriveva sul Foglio ritratti come questo: “Gli occhi la precedono, un bagliore intermittente, un taglio felino, l’annuncio di un gioco d’inganni (…). Gli incauti pensano sia la bellezza al potere, in realtà è la bellezza nel potere. Maria Elena Boschi è la fortuna”. È stato molte cose, Mario Sechi, ma mai nessuna contro il potere.