La Stampa, 26 febbraio 2023
Le due candidature del Pd
La lente deformante – sottolineato: deformante – delle primarie ha restituito alla fine della lunga corsa congressuale due candidature opposte, non soltanto avversarie, che si sfideranno oggi nei gazebo, coinvolgendo non uno, ma due diversi popoli e due idee alternative di sinistra. La prima candidatura ha una proiezione soprattutto istituzionale, e non solo perché si tratta del governatore di una regione chiave come l’Emilia-Romagna. La seconda proviene dalla società civile, nasce non a caso nel movimento “Occupy Pd”, vive un po’ dentro e un po’ fuori il partito, in cui rientra, riprendendo la tessera per poter correre per la segreteria.Non sono neppure le due metà di una mela, ma come una mezza mela che dev’essere assemblata con una mezza arancia. Quando Bonaccini ricorda che Schlein è stata la sua numero due in Regione, non lo fa certo per mostrarle affinità. E altrettanto Schlein, quando dice che l’epoca delle donne vice è finita. Così che il risultato di oggi, il vincitore o la vincitrice delle primarie rischieranno, o di dare la sensazione della vittoria dell’apparato, o di quella delle diverse aree movimentiste che mai erano riuscite a conquistare la tolda di comando. Restando così fino all’ultimo come due mondi inconciliabili e confermando i presupposti di tutte le divisioni interne, che difficilmente potranno ricomporsi.Sarà uno strano destino per il Pd, nato dalle eredità dei due ex grandi partiti di massa novecenteschi. Se c’era una caratteristica, infatti, di Dc e Pci, era che erano avversari, avevano due diversi sistemi di valori, due differenti reti di collateralismo fortemente radicate nella società civile; predicavano l’interclassismo contrapposto alla lotta di classe, e viceversa. Ma poi sapevano sempre trovare un punto di incontro in Parlamento e nelle istituzioni, fino al “compromesso storico”, che pure li introdusse nella fase critica avviandoli verso la scomparsa.La crisi della sinistra, oggi, sta in questa difficoltà di far politica al di fuori della contrapposizione, non solo con la destra, ma con se stessa. Nell’illusione di poter crescere sempre ed esclusivamente uno contro l’altro. Senza assumersi la responsabilità di capirsi, di tendersi la mano, di trovare una ragione seria per poter stare insieme.