La Stampa, 26 febbraio 2023
Curcio dica chi era l’altro terrorista
Il 4 giugno 1975 un nucleo della colonna torinese br sequestra l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia: il giorno successivo una pattuglia di carabinieri giunge nel cortile della cascina Spiotta D’Arzello, vicino ad Acqui Terme, senza sapere che è il luogo dove l’imprenditore è tenuto prigioniero.I due terroristi che fanno da guardiani, Margherita Cagol, e un uomo rimasto sconosciuto, sentendosi scoperti tentano una sortita sparando e lanciando una bomba a mano: i carabinieri rispondono al fuoco in uno scambio concitato durante il quale muoiono l’appuntato Giovanni D’Alfonso e la brigatista Cagol, mentre il capo pattuglia tenente Umberto Rocca perde un occhio e un braccio. Il secondo terrorista riesce invece a dileguarsi.Qui finisce la versione ufficiale e iniziano i dubbi. Chi era il secondo terrorista? Lo stesso Renato Curcio, che della Cagol era marito e che con lei aveva fondato le br? Oppure qualche esponente di quelle «seconde file» del terrorismo che di lì a poco, dopo l’arresto dei capi storici, avrebbero assunto la direzione del movimento «alzando il livello dello scontro» e passando dai sequestri alle uccisioni? E la Cagol è morta nello scontro oppure è stata freddata quando era a terra ferita o addirittura arresa con le mani alzate?Non è questa la sede per rispondere a interrogativi che potranno essere sciolti dalle nuove indagini e magari da una confessione tardiva di Curcio (che forse non era il secondo terrorista presente, ma che non è verosimile non sappia il nome di chi partecipò all’azione). La riapertura delle indagini e la lunga memoria dello stesso Curcio sono però la spia di un passato archiviato con troppa fretta e che, drammaticamente, sta tornando di attualità tutto insieme. Le turbolenze violente degli anarchici resuscitati all’attivismo dal caso Cospito; l’aggressione squadristica agli studenti di Firenze; ora la vicenda della cascina Spiotta. Gli Anni Settanta del piombo rosso e del tritolo nero sembrano riemergere da un silenzio che era assai più rimozione che superamento. Mi auguro davvero che gli anarchici siano solo sparuti gruppi di sbandati e che gli squadristi di Firenze non siano più di qualche picchiatore irresponsabile; mi auguro che il linguaggio militante della memoria di Curcio sia solo una reminiscenza linguistica. Ma non sottovalutiamo, perché le derive della storia procedono sempre da segnali non percepiti. Gli squadristi vanno chiamati con il loro nome e condannati, allo stesso modo degli anarchici e delle loro violenze. E Renato Curcio può legittimamente chiedere ragione di quanto accaduto alla cascina Spiotta: ma se vuole essere credibile non finga di ignorare chi era l’altro terrorista e ne faccia il nome.