Tuttolibri, 25 febbraio 2023
Storia dei bombardamenti aerei
«Ho deciso di tentare oggi di lanciare delle bombe dall’aeroplano. È la prima volta che si tenta una cosa di questo genere e se riesco sarò contento di essere il primo». A scrivere queste parole in una lettera al padre, l’11 novembre 1911 era il tenente Giulio Gavotti, aviatore impegnato nella guerra di Libia. Fu il primo bombardamento aereo della storia dell’aeronautica militare mondiale. Fino ad allora, infatti, gli aerei erano stati usati per voli di ricognizione a supporto delle forze di terra e si discuteva tra gli strateghi militari sulla loro concreta utilità negli scenari di guerra. D’altronde il primo volo di un aereo risaliva a pochi anni prima, il 17 novembre 1903, quando i fratelli Wright riuscirono a far volare per poche decine di metri un velivolo da loro stessi progettato. Sarebbe stata, invece, la prima attraversata aerea della Manica, il 25 luglio 1909, da parte del francese Louis Blériot, a sconvolgere le strategie militari del Regno Unito, allora forza imperiale egemone. Un evento che per di più toglieva all’opinione pubblica anglosassone la rassicurante percezione di totale sicurezza derivante dall’essere priva di confini terrestri.Contrariamente a quanto siamo abituati a pensare, l’entrata nelle dinamiche belliche dell’aeronautica fu vissuta da molti come l’inizio di una stagione che avrebbe potuto portare alla pace mondiale. Con gli aerei si passava sopra le frontiere che dividevano gli stati nazionali e si poteva pensare a una sorta di polizia planetaria capace di intervenire per sopire i bollenti spiriti nazionalisti a tutte le latitudini. Il sogno di una «pace perpetua» passava proprio da una aviazione militare su scala globale. Le immagini dei bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale, rimaste come poche nella memoria collettiva, testimoniano, invece, che la storia prese ben altra piega.In verità, i primi utilizzi degli aerei in attività di police bombing risalgono all’epoca coloniale, quando gli eserciti europei non si fecero grandi scrupoli per colpire le popolazioni native e non solo obiettivi militari, con una dimostrazione di superiorità tecnologica, fattore fondamentale per garantire il predominio «bianco». Nella prima guerra mondiale (1914-1918) l’aviazione militare, in una prima fase, venne prevalentemente utilizzata dagli stati maggiori per attività di ricognizione a totale supporto della fanteria e dell’artiglieria. Soltanto alla fine del conflitto, si passò ad azioni di bombardamento sia di obiettivi militari sia di infrastrutture civili. Gli aviatori uscirono così dalla dimensione di «cavalieri del cielo» impegnati in duelli cavallereschi che esaltarono il mito di figure leggendarie come il «barone rosso».L’autore – lo storico e filosofo Thomas Hippler – si sofferma, anche sulle problematiche etiche, filosofiche e di strategia militare legate proprio agli obiettivi dei bombardamenti aerei che divisero gli esperti tra i sostenitori di un uso tattico e circoscritto delle azioni dal cielo e i fautori, invece, di attacchi a tappeto allo scopo di mettere in difficoltà i governanti nemici sotto la spinta delle proteste popolari. In altri termini, con i bombardamenti aerei indiscriminati sulle città si rompeva definitivamente il confine tra i militari impegnati nella guerra al fronte e nelle retrovie e la popolazione civile, con una strategia simile a quello utilizzata nelle colonie (accompagnato spesso dall’impiego di gas tossico) e mai impiegata in Europa dove questa distinzione era rimasta in vigore per secoli.Per paradosso il bombardamento aereo diventava «democratico» perché – come osserva l’autore – «in una democrazia, la popolazione non soltanto è parte integrante dello sforzo bellico nazionale: è anche responsabile delle azioni del governo. Si spiega così perché siano soprattutto e prima di tutto entità politiche che oggi definiremmo «democratiche», e più in particolare democrazie rappresentative, a praticare il bombardamento strategico».Con la seconda guerra mondiale i bombardamenti dal cielo sarebbero così diventati drammaticamente la regola, perché per vincere la guerra occorreva fiaccare il morale della nazione nemica e non più soltanto indebolire la sua forza militare. I dati parlano meglio di mille parole. I bombardieri alleati sganciarono sulla Germania 1,3 milioni di tonnellate di bombe, distruggendo oltre il 40% dello spazio urbano delle maggiori città tedesche e uccisero tra le 380.000 e le 500.000 persone circa tra i civili. Anche se, nonostante questa carneficina, la Germania capitolerà soltanto quando la capitale cadrà nelle mani della fanteria alleata.In Giappone, invece, nell’ultima fase della guerra, i bombardamenti dal cielo e in ultimo lo sganciamento delle bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945 saranno determinanti per la capitolazione finale, nonostante non vi fosse stata un’invasione rilevante del territorio nipponico. Gli attacchi dal cielo contro il Giappone furono tra i più sanguinari della storia. Nella sola giornata del 9 marzo 1945, un raid incendiario su Tokyo provocò tra gli 84.000 e i 100.000 morti. Il numero totale dei morti dei bombardamenti alleati su sessantasei città giapponesi (stimato in circa 900.000), fu superiore a quello dei soldati caduti in combattimento (780.000).Un uso indiscriminato delle bombe dal cielo caratterizzò anche la strategia americana nella guerra del Vietnam. In soli sei mesi l’aviazione Usa lanciò circa sette milioni di tonnellate di ordigni esplosivi sul Vietnam, oltre cinque volte le bombe sganciate dagli alleati sulla Germania nazista. Eppure gli americani persero quella guerra e oggi il presente e il futuro degli attacchi aerei, come testimonia da ultimo la guerra in corso in Ucraina, stanno prendendo la forma dei droni, oggetti volanti senza guidatore, che possono svolgere sia attività ricognitive sia di sganciamento di bombe in una guerra combattuta in uno scenario tecnologicamente avanzato rispetto a quello del passato. Il risultato finale, però, è quello di sempre: morte, distruzioni e sofferenze infinite.