Robinson, 25 febbraio 2023
Entro nel salotto (o biblioteca) di Ian McEwan attraverso lo schermo del mio computer, via Zoom. Le presenze virtuali, come la maggior parte delle cose del nostro mondo attuale, hanno un posto nei romanzi di McEwan, in particolare inMacchine come me
Entro nel salotto (o biblioteca) di Ian McEwan attraverso lo schermo del mio computer, via Zoom. Le presenze virtuali, come la maggior parte delle cose del nostro mondo attuale, hanno un posto nei romanzi di McEwan, in particolare inMacchine come me. Ma il sospetto di un mondo che non è materialmente concreto, un mondo fatto di immagini riflesse, memorie fabbricate, identità proiettate, è onnipresente nel suo lavoro.L’universo di McEwan è il nostro perché descrive l’intuizione del mondo attraverso le ombre irradiate sul muro della caverna. Come i protagonisti di McEwan, vaghiamo per l’universo con l’illusione di un libero arbitrio (illusione perché il libero arbitrio, a dispetto di quello che la Chiesa vuole farci credere, per McEwan non esiste), trascinati dal flusso delle cose per ragioni che riusciamo ad afferrare solo quando è troppo tardi. Se c’è una voce capace di esprimere le nostre angosce collettive e le nostre speranze collettive, è quella di McEwan. È il più eminente artista della lingua inglese in una generazione ricchissima di talento come la sua.La stanza ha un camino con legna e fuoco veri o finti e gli scaffali pieni di libri che sono quasi certamente veri.McEwan è alla sua scrivania, con l’aria di un anziano statista sui settantacinque anni, non più il giovane sbarazzino che incontrai per la prima volta quarantacinque anni fa, dopo che aveva pubblicato la spaesante raccolta di racconti Fra le lenzuola. Il suo ultimo romanzo èLezioni (Einaudi), un tour de force che segue un uomo comune dall’infanzia all’età adulta inoltrata attraverso gli eventi principali che hanno segnato la seconda metà del Ventesimo secolo e i primi decenni del Ventunesimo.In “Lezioni” ho trovato tantissimi echi di quello che avevo letto prima nei tuoi romanzi precedenti, vale a dire la storia di un individuo, o in alcuni casi di più individui, che vedono riflettersi negli eventi della loro vita il caos del nostro mondo. Roland, il protagonista di “Lezioni”, è un testimone di tutto quello che succede nel mondo, e il tumulto del mondo si rispecchia nella sua persona. La prima domanda quindi è: da dove sei partito? Sei partito da Roland o sei partito dal caos del mondo?«Ho cominciato molto prima di sapere qualunque cosa su Roland, nel momento in cui ho pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere un romanzo sul modo in cui queste crisi planetarie, questi momenti politici, penetrano nelle nostre vite. Diventano una sorta di colonna sonora della storia. E così ho buttato giù una piccola lista. Dev’essere stato nel settembre del 2019 che ho cominciato a scrivereLezioni.E la lista andava da Suez alla crisi dei missili a Cuba, e avanti fino ai nostri giorni. Perché tutti noi, sia quelli che seguono la politica con passione e sono drogati di notizie sia quelli che tengono la testa ben lontana da questi eventi, non possono sfuggire al fatto che esercitano una sorta di incantesimo, gettano un’ombra suuna società e come si percepisce, in particolare lungo quella scala che va dall’ottimismo al pessimismo.Nessuno può sfuggire a questo».Come gli eroi delle tragedie greche.«Tranne il fatto che i nostri politici sono loro stessi come degli dei greci. Sono fin troppo umani. È una cosa che sappiamo molto bene, ma loro sono stati calati in questi ruoli, o hanno lottato come pazzi per riuscire a rivestire questi ruoli. E noi li guardiamo impotenti, quasi sempre inermi, perfino in società dove si vota ogni quattro, cinque o sei anni. È stato questo il punto di partenza. E da qui è uscita fuori subito l’idea: se facessi questa lista, scriverei una vita intera. Una cosa che non ho mai fatto prima».Ma è già successo che tracciassi a grandi linee un’intera esistenza, per esempio in “Espiazione”.«Il personaggio è una cosa che mi ha sempre interessato.Ma c’è un’altra dimensione del personaggio, ed è il personaggio attraverso il tempo. La quarta dimensione, per così dire, un universo dove la quarta parete del personaggio è rappresentata dal tempo stesso. Ho deciso di seguire un individuo dall’infanzia fino alla tarda età, i settant’anni. Anche questa è un’ambizione di scrittura che si è formata molto prima di pensare di chi poteva essere questa vita. Eventi globali e vite private».Quando lessi “Cortesie per gli ospiti”, nel 1981, sulla coppia intrappolata a Venezia da quella diabolica coppia di amanti più anziani, ebbi la sensazione che la crudeltà del mondo evidente nel XX secolo comparisse all’improvviso, concentrata in quei due personaggi anziani e malvagi che sfruttano l’ingenuità della giovane coppia. In “Lezioni”, Roland non è ingenuo. È come il personaggio di una fiaba che riceve un dono senza rendersene conto: l’iniziazione sessuale a opera della maestra di pianoforte da adolescente. Roland non sa che uso fare di questo dono avvelenato e se lo porta dietro per tutta la vita, nella sua ricerca di un senso.«È un’interpretazione che non mi era venuta in mente, e nessuno me l’ha mai proposta fino a questo momento. Ma capisco benissimo quello che dici: l’esperienza sessuale è un dono per un adolescente. Durante la crisi dei missili a Cuba Roland ha la sensazione che presto verrà vaporizzato e non vuole scomparire dalla faccia della terra senza aver avuto almeno un’esperienza sessuale. E va a trovare la donna, la maestra di pianoforte, che tre anni prima lo aveva adescato sessualmente. Ci mette parecchio a capire che si era trattato di un abuso, ma non è solo quello, perché come in molti casi di abusi sessuali spesso si innesca una sorta di sindrome di Stoccolma che spinge ad accettare il fatto che il tuo rapitore ti manipola, o a presumere di esserne innamorato. Quindi amare il proprio carnefice, la persona che ha abusato di te, fa parte di questo elemento dell’incapacità di lasciarsi andare, di voler sempre portare avanti tantissime relazioni, un senso di unione impulsiva che è sproporzionato, che esclude ogni altra cosa del mondo e di tutti gli eventi globali».È una sensazione che provi spesso?«Tutti riscriviamo poco a poco il nostro passato nel corso del tempo. Siamo tutti romanzieri che lavorano sulle bozze del racconto che facciamo della nostra infanzia, della nostra adolescenza, della storia della nostra vita. E io qui parto dal presupposto che sia impossibile avere una relazione sessuale consensuale fra un adulto e un quattordicenne. Roland a quattordici anni pensa di essere lui a fare delle scelte. È lui che sale sulla sua bicicletta. È lui che va a bussare alla porta del cottage della sua maestra di pianoforte. Ma è anche lui, poi, quello che corre via. E gli ci vogliono più o meno tre quarti di un’esistenza per capire di essere stato vittima di qualcosa, quando invece pensava di essere lui a decidere.Ma era nelle mani di lei: era lei a condurre il gioco in realtà. Era lei che lo aveva adescato: lei che lo accoglie nel suo cottage e lo porta di sopra, lei che lo seduce».In tutte le cose che scrivi, c’è l’ombra di eventi esterni che ricade sui protagonisti.«È una cosa che mi ha sempre interessato e sì, è vero: anche in altri romanzi parlo dell’ombra lunga di certieventi che si protrae per tutta la vita. E di come uno arriva al ricordo di questi eventi e lo riscrive in una serie di versioni provvisorie. Per questo era importante, per me, che Roland affrontasse la sua maestra di pianoforte a distanza di quarant’anni».Facciamo in tempo a risolvere i nostri problemi?«Non credo che molti riescano a risolvere in tempo uno qualunque dei problemi della propria vita. O ce li dimentichiamo e passiamo ad altri problemi, problemi nuovi, oppure semplicemente diventano parte della nostra identità e del bagaglio che ci portiamo dietro nella vita. Anche quando Roland va dalla sua maestra di pianoforte per cercare quella parola così stupida e odiosa della lingua inglese, una closure, una conclusione, un mettere la parola fine, non la trova. In quel confronto, leigli apre il suo cuore, gli racconta tutto. È molto sincera. E alla fine, lui si sente semplicemente stanco».Uno dei tanti eventi irrisolti nella vita di Roland.«Sono tantissimi i momenti del genere, in cui non riusciamo a risolvere emozioni contraddittorie. Ed è stata una parte del piacere di scrivere Lezioni, questa scoperta.Per esempio, Roland sposa una donna che poi abbandona lui e il bambino piccolo, e non la vede per tre anni. Poi, più tardi, si trova per caso a Berlino nel momento in cui il muro viene giù e la incontra per strada. Hanno una discussione in un vicolo. Lei gli dà il suo libro. Lui non sa che sta scrivendo un libro. Se lo riporta in albergo. Noi lo leggiamo sbirciando sopra la sua spalla, per così dire. E con suo grande sgomento, scopre che la donna con cui è infuriato ha scritto un capolavoro. E per il resto della vita sarà il suo lettore più devoto, anche se la rabbia rimane. E questo sentimento contraddittorio che prova nei confronti di lei è una cosa che non si può conciliare né risolvere in alcun modo
La mia opinione è che i romanzi, i film, le serie televisive ci hanno fatto il lavaggio del cervello, ci hanno spinti a pensare che i problemi si risolvono. Per un romanziere, è meraviglioso risolvere problemi: è appagante sul piano estetico e formale. Ma la vita va avanti anche dopo quella conclusione. E andava avanti anche prima dell’inizio.Cercare di catturare questa cosa in un romanzo è piuttosto difficile, ma era quello che cercavo di fare.Roland cerca (quella parola orribile) una “closure” all’episodio dell’abuso sessuale. Ma “closure”, “abuso sessuale” sono concetti che Roland non poteva avere allora, non erano parte del vocabolario dell’epoca.«No. La parola “abuso” negli anni ’60 veniva usata per situazioni come uno che frusta il suo asino, o che colpisce in testa un’altra persona con un libro. Ma il mondo ci impone stati soggettivi che pensiamo di creare noi. E qui uno diventa un po’ un marxista, determinato dalla storia».Come sai, ogni lettore si costruisce il romanzo che vuole leggere. Così, appena ho letto il nome Roland e ho visto la sua relazione con la signorina Cornell, ho pensato al più classico dei Roland, Orlando. Visto poi che questa intervista è per l’Italia, penso che il lettore italiano troverà dei paralleli con Orlando e Angelica. La vita di Orlando è condizionata da quell’incontro con Angelica, così come la vita di Roland è condizionata dall’incontro con la signorina Cornell.«Non stavo pensando all’Orlando di Ariosto. È sempre complicato scegliere un nome dal vastissimo lessico esistente senza essere limitato da qualche mito, archetipo o roba simile. Perciò cerco sempre un nome che mi trasporti in uno spazio neutro. Ma una cosa del genere semplicemente non esiste. Sepolta nel romanzo c’è una frase brevissima in cui si dice che il padre di Roland era stato aiutato da un contadino francese durante la ritirata di Dunkerque, e quel contadino si chiamava Roland. E questo immagino ci riporti alla storia fiabesca o all’elemento mitico di una sorta di Orlando innamorato».La vita di Roland si riflette, per così dire, nelle donne che incontra nella sua vita, dalla madre alla nipotina.Tutte sembrano mettere in evidenza qualche aspetto storico nella loro epoca e nella vita di lui.«Sì. Un titolo alternativo che avrei potuto usare eraRoland Swimming.Le donne nella vita di Roland sono tante: Daphne, che gli viene tragicamente portata via, e poi si ritrova con la nipotina di nove anni Stephanie, Stephanie che rappresenta il futuro in cui Roland non potrà viaggiare, ma che ciononostante lo conduce fuori dalla pagina nel nostro mondo, per così dire…».La nipote di Roland dice che è impossibile credere nelle lezioni. E Roland, proprio prima che lei dica questa cosa, pensa fra sé e sé che lui non ha mai imparato una sola cosa in tutta la sua vita.«Questa è una delle difficoltà. Quali sono le lezioni della vita? Potremmo dire cose come “l’amore è tutto”, “bisogna essere gentili” o “bisogna essere se stessi”. Non significano assolutamente nulla. L’unica lezione nella vita è il fatto di vivere la vita. E l’unica vita in questo romanzo è il fatto di leggere il romanzo, razionalmente.Per questo uno degli obiettivi che ho perseguito nella mia vita di scrittore è stato quello di iniettare calore, sangue e ricchezza umana nel concetto di razionalità».Che è il motivo per cui dico che è il lettore a fabbricare il suo romanzo. Perché vogliamo scoprire qual è il messaggio, che cosa va interpretato nella nostra lettura. E tu dici, se siamo lettori lucidi, lo leggiamo per quello che è: hai mostrato il dispiegarsi del rotolo della storia e hai fatto correre Roland su questo rotolo.Roland dice una frase che trovo brillante: «Com’era facile scivolare dentro un’esistenza non scelta». E ogni vita, in un certo senso, è una vita non scelta.«Esattamente. Non ho mai visto un’argomentazione filosoficamente convincente sul libero arbitrio. Non abbiamo scelto noi i nostri geni, i nostri genitori, il nostro contesto, i nostri fratelli e sorelle. Eppure l’idea che facciamo scelte ed esercitiamo il nostro volere è un’illusione necessaria. Ed è questo, di nuovo, l’elemento centrale della questione dell’abuso sessuale subito da Roland. Lui pensa di fare una scelta. Ma nella prima pagina del libro ha undici anni e la maestra di pianoforte gli ha infilato le mani nei pantaloncini. La prima moglie di Roland gli dice: “Ti ha riprogrammato il cervello”. È la vita che ti riprogramma il cervello. È un po’ come un serpente che si mangia la coda. Siamo quello che siamo, ma siamo tutti diversi. Non diventiamo uguali anche se viviamo nelle stesse circostanze. Ma al tempo stesso, siamo anche, interamente, un prodotto delle circostanze in cui viviamo».C’è una frase in “Lezioni” che trovo molto illuminante. «Solo lo sguardo retrospettivo, quello della storia più rigorosa, poteva distinguere picchi e avvallamenti dai portali».«Credo che sia una cosa molto difficile, per esempio nel caso di un evento come la caduta del Muro di Berlino. È semplicemente un momento singolo, meraviglioso, o è una porta che si apre su un intero futuro nuovo e meraviglioso? All’epoca pensavamo tutti che fosse una grande porta che si apriva, ma poi abbiamo scoperto che era semplicemente un punto culminante che avevamo raggiunto. E che da allora non abbiamo più raggiunto osuperato. Non pensavo che saremmo dovuti tornare a quello di cui parlavamo all’inizio, il modo in cui gli eventi internazionali influenzano la nostra percezione dell’ottimismo e del pessimismo. Ricordo bene che durante tutti gli anni ’90 c’era una percezione positiva reale. E penetrava in ogni aspetto della nostra vita. E probabilmente penetrava anche nel nostro modo di stare con gli altri e nei nostri rapporti, anche se ne eravamo consapevoli. Ora l’aria che respiriamo è molto più mefitica. Abbiamo una guerra in Europa. Abbiamo un’emergenza climatica. Abbiamo governi populisti e autoritari. E un po’ di Covid qua e là».Le lezioni di piano che prende Roland ci spingono a ragionare sulla musica per tutto il romanzo. Tu pensi alla musica in questi termini, come qualcosa che influenza questo stato ambiguo in cui ci troviamo?«Sono un appassionato di musica classica e jazz. Queste sono le mie passioni, ma ci sono anche altre forme musicali. C’è un verso di Philip Larkin sulla primavera.Dice: “Accenno di un discorso che ancora si ripete, spuntano sugli alberi le foglie…”. Per me questa cosa siapplica anche alla musica. La musica è una forma altamente astratta, che ci procura piacere vibrando nell’aria. E sembra che parli a noi. Di sicuro parla alle nostre emozioni. Ed è sempre sull’orlo di qualcosa. Non concordiamo su cosa sia questo qualcosa. Se alla radio sentiamo l’annuncio che il re è morto, l’informazione è sufficientemente chiara, perché la cosa fantastica del linguaggio è che dà un nome alle cose. Possiamo parlare quanto vogliamo delle ambiguità del linguaggio, ma la verità è che la specificità del linguaggio è di gran lunga superiore. Se uno entrasse nella stanza e sentisse la musica trasmessa dopo l’annuncio potrebbe pensare che è una musica piacevole, serena, o potrebbe fargli ricordare un amore di quand’era adolescente. Uno che ha sentito prima l’annuncio e poi la musica, invece, sa che è un lamento funebre. Anche se odiassimo la musica, non potremmo mai sfuggirvi. E se la amiamo, diventa semplicemente parte della nostra identità. Diventa anche il veicolo della memoria. Probabilmente non hai mai sentito una musica bella come quando avevi diciassette anni, perché i gusti di una persona spesso prendono forma intorno a quell’età. Io invidio i musicisti, in particolare i pianisti. Penso che avrei potuto essere un pianista abbastanza decoroso, ma abbandonai troppo presto, per una serie di ragioni che non avevano a che fare con la musica».Diresti che “Lezioni” è autobiografico?«C’è molto di me in Roland. È più o meno la persona che sarei stata se non avessi fatto lo scrittore. Non volevo fare un lavoro. Ho sempre desiderato farmi trascinare dalla corrente, facendo una cosa o l’altra ai margini. Ma Roland si trova un lavoro. A volte qualcuno mi dice che è un personaggio molto passivo, ma io dico, no, aspetta un attimo: monta in bicicletta e va a vedere la scuola, cresce un figlio da solo, porta libri di nascosto a Berlino Est, si prende cura di una donna che sta morendo. Se Roland è una persona ordinaria, allora lo siamo tutti».Ma Roland è un grande procrastinatore.«Sì. Per esempio ci mette tantissimo tempo a decidere di sposare Daphne, perché è ancora prigioniero di questa idea che arriverà qualcosa di ancora più straordinario. In parte, di nuovo, è il lascito di quei due anni di esperienza sessuale incredibile, e anche, in parte, di quell’esperienza che aveva avuto da bambino, all’epoca della crisi di Suez, quando era in un accampamento militare e sua madre era lontano in Inghilterra. È in Nord Africa ed è il momento più intenso della sua vita. Fino ad allora. Il gusto per l’avventura non lo abbandona mai del tutto. Per il resto della sua vita, pensa sempre che prima o poi si aprirà in qualche modo un varco e lui ci passerà attraverso, entrando nella sua avventura più straordinaria. Queste esperienze formative fanno sì che Roland si fissi su un’idea, un’emozione, un’ambizione. E per me, come romanziere, valeva la pena esplorare questa cosa nel tempo, per vedere come si dissolve alla fine o come continua a tormentarci».Quindi Roland è come Amleto, in attesa del momento giusto?«Secondo me, il dono più grande che ci ha fatto Shakespeare, soprattutto nell’Amleto, ma forse anche con la creazione di un personaggio come Falstaff, è l’invenzione del dubbio, del fatto di dubitare di se stessi.E potremmo quasi dire che sia stata la nascita della coscienza moderna. Non esiste nessuno come Amleto nella letteratura mondiale, no? E un personaggio che dubita di se stesso non è un eroe o un mascalzone, e non è neanche l’incarnazione di un vizio o di una virtù, come molti altri personaggi nel teatro del XVI secolo. È un essere umano moderno che pensa di fare una cosa e poi dubita di se stesso, e poi si arrabbia con se stesso per aver dubitato, o proietta malinconia sulle sue esitazioni.Shakespeare ci ha regalato questo momento. È il momento in cui comincia il mondo psicologico moderno, parallelamente, come minimo, al mondo scientifico moderno».Hai scritto “Lezioni” in un modo tale che il lettore crede completamente a quello che dici. In tutti i tuoi romanzi riesci a convincere il lettore della realtà di quello che hai immaginato, a trascinarlo con te dentro il libro. Io sto sempre lì a chiedermi: ma come diamine ci riesce?«C’è una bellissima conferenza che Vladimir Nabokov tenne ai suoi studenti della Cornell nel 1953. Sono studenti del primo anno e Nabokov dice loro: “Voi non sapete nulla di letteratura. Non siete ancora qualificati a parlare dei temi dei romanzi che state per leggere.Quello che voglio che facciate, quindi, è trovare tutti i dettagli”. Nella vita tutto viene dai dettagli, che individuiamo, che condividiamo e che convalidano la nostra sensazione di essere anche noi dentro il romanzo.Questi dettagli devono essere amati, in qualche modo. E se lo scrittore li ama, penso che i lettori se ne accorgano.E li amano pure loro».Ora parliamo dell’arte dello scrivere. Leggi narrativa mentre scrivi?«So che alcuni dicono che non riescono a leggere altri scrittori, ma per me la scrittura sta in un compartimento stagno e la lettura sta in un altro. Leggere è una cosa che amo, è una cosa che serve a darmi la sensazione che valga la pena scrivere. E nell’intervallo fra un romanzo all’altro a volte mi viene da pensare: come faccio a sopportare il peso di trovarmi ai piedi di un altro romanzo, con l’idea di dover passare i prossimi tre oquattro anni a scalare faticosamente la montagna?Allora tiro giù dalla libreria certi libri e li apro a caso.Quando stavo scrivendo questo libro, e all’inizio cominciavo a dubitare di farcela, come succede spesso quando uno scrive romanzi, sapevo che ci avrei messo un mucchio di tempo a finireLezioni,perciò tirai giù dalla libreria un libro che riprendo spesso,Herzogdi Saul Bellow, e lo aprii a caso. Non del tutto a caso, a dire la verità, perché il libro si aprì su un passaggio che rileggo continuamente. Herzog va dalla sua amante e stanno per mettersi a tavola per la cena, perciò lui va in bagno a lavarsi le mani. E qui c’è un momento bellissimo, tipicamente bellowiano, una digressione bellowiana, con Herzog che guarda nello specchio e si chiede che senso abbia tutto questo. E quello che pensa poi è un vero e proprio manifesto del romanzo. Si chiede com’è essere in un santuario, in una città, nelle condizioni della modernità, nei movimenti di massa e nella politica, con grandi idee che si gonfiano e si diffondono tra l’umanità “come i venti scavano le scogliere”, dice. L’impulso che sento è simile a questo. Sono parte di quel vento. Eleggere quella pagina aveva risvegliato il mio entusiasmo per tutto il progetto, mentre me ne stavo seduto solo con i fantasmi».Parlando di cose pratiche, hai bisogno che la tua scrivania sia in un certo modo? Hai bisogno di avere una certa penna? Scrivi direttamente sul computer? Che cosa fai?«La cosa su cui sono più superstizioso sono i taccuini: devono essere verdi e formato A4. La penna deve essere nera, come anche l’inchiostro. Può essere una di queste penne moderne molto economiche ma eccellenti, che costano meno di una sterlina e sono dieci volte meglio di una Montblanc. E ne compro dieci per volta, perché le perdo continuamente. Lavoro scrivendo a mano, ma lavoro anche al computer. Adoro i programmi divideoscrittura. Sono stato uno dei primi ad adottarli, nel 1983. Un giovane italiano venne in Inghilterra perché dovevamo scrivere un film insieme. All’epoca vivevo a Oxford e lui mi disse: “Ho questa cosa fenomenale: una scatoletta, sette K di memoria. E un dischetto”. Lo attaccammo alla presa dell’antenna del televisore. Mi piacque da morire. Vorrei aver comprato un Apple I, perché ho visto che uno è appena stato messo all’asta ed è stato venduto per 347.000 dollari!».Smetterai mai di scrivere?«Noi scrittori andiamo avanti finché il cervello non molla. Diciamo dei politici che farebbero bene a ritirarsi quando sono ancora in vetta, ma aspettano sempre uno scandalo, un disastro o una decisione clamorosamente sbagliata prima di lasciare. I romanzieri dovrebbero fare la stessa cosa, mollare quando sono in vetta. Non dovremmo aspettare di scrivere quel libro che non convince né la critica né il pubblico. Dovremmo fermarci prima».(Traduzione di Fabio Galimberti)