il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2023
Mario Vargas Llosa: “Scrivere è il mio modo di lottare contro l’infelicità”
“Non mi piace l’idea di uno scrittore isolato sotto una campana di vetro. La letteratura che si preoccupa della realtà sporca è una letteratura che vive” afferma Mario Vargas Llosa in Davanti allo specchio, fresco di stampa per Mimesis, che raccoglie una selezione di sue interviste concesse allo spagnolo Juan Cruz Ruiz. Quando, nel 2010, i giurati di Stoccolma gli assegnano il Nobel per la letteratura, Vargas Llosa stenta a crederci, sorpreso che abbiano scelto un autore sudamericano lontano dalle chimere del terzomondismo. Lui che, liberale indefesso, ripudiati tutti i caudilli in odore di socialismo, ora tiene i libri di Karl Popper aperti sulla scrivania. Alla soglia degli 87 anni è sempre più un monumento da riverire. Con uno scranno nella prestigiosa Académie, proprio di recente si è cucito addosso anche la reputazione di “immortale” di Francia.
Peruviano, nato nel 1936 ad Arequipa, Vargas Llosa vanta una formazione cosmopolita tra Madrid e Parigi. È nella capitale francese, tra il culto per Flaubert e i bistrot del Quartiere Latino, che vive negli anni 50 la sua educazione sentimentale. Se ne rintraccia una eco nel suo Avventure della ragazza cattiva, che mescola affari di cuore e utopie rivoluzionarie. Già nel fortunato La zia Julia e lo scribacchino – storia di una passione proibita a Lima tra un ragazzino che lavora in una radio e una zia acquisita – aveva trasfigurato la sua stessa biografia, sposato in prime nozze con una zia di dieci anni più grande. In tarda età gli capiterà l’esatto contrario. Nel 2015 – dopo mezzo secolo di matrimonio con la cugina Patricia dalla quale ha avuto tre figli – intrattiene una relazione con una donna più giovane, ex compagna del cantante Julio Iglesias. Segno di un temperamento impetuoso che lo ha reso protagonista anche di aneddoti leggendari. Alla fine degli anni 70, a Città del Messico, interrompe la sua storica amicizia con García Marquez sferrandogli un pugno. Ignote le ragioni del gesto. Il futuro Nobel colombiano è costretto a raccattare da un ristorante una bistecca congelata per tamponarsi il viso. Da allora le due penne più celebri dell’America latina non si sono mai più rivolti la parola. Un gancio, sia pure metaforico, ha tentato di menarlo anche contro Fujimori alle elezioni presidenziali peruviane del 1990. Sconfitto al secondo turno, lo scrittore dirà in seguito che i suoi connazionali lo hanno “restituito alla letteratura”. Quella stessa letteratura che la motivazione del Nobel ha sublimato in “cartografia delle strutture del potere”. A cominciare da La città e i cani, romanzo del 1963 addirittura bruciato in piazza. Pagine che raccontano l’educazione del protagonista in mano a militari con il culto della disciplina e ispirate a una sua esperienza personale, confinato in un collegio per volontà del padre nel tentativo di reprimere la sua vocazione. Ne Il pesce nell’acqua Vargas Llosa racconta che la contrarietà della famiglia fu un incentivo a coltivarla: “Dentro all’accademia la letteratura divenne il mio modo di resistere a quell’autorità che mi schiacciava”.
Ecco il seme di una bibliografia che si dipana come tributo alla Verità delle menzogne: “La letteratura racconta la storia che la storia scritta dagli storici non sa, né può raccontare”. La guerra della fine del mondo ha al centro uno degli eventi più sanguinari del Brasile di fine Ottocento. Migliaia di disperati, raccolti come proseliti da un mistico nella rivoluzionaria comunità di Canudos, vengono infine trucidati per ordine del regime. Conversazione nella Cattedrale (la Catedral è un bar popolare) parte dalla domanda “In che momento il Perù si era fottuto?” e racconta dodici anni di storia del Paese sotto il generale Odría (1948-1956). La festa del Caprone racconta Santo Domingo sotto la dittatura di Trujillo, Il sogno del Celta svela lo sfruttamento coloniale tra Congo e Amazzonia, Tempi duri, l’ultimo romanzo pubblicato nel 2019, prende avvio dal golpe in Guatemala orchestrato dalla Cia.
Tra realtà e finzione – celebrato da noi con due Meridiani – Vargas Llosa non può smettere di partorire storie perché, come da sua stessa ammissione: “Scrivere è la mia maniera di lottare contro l’infelicità”.