ItaliaOggi, 25 febbraio 2023
L’Anabasi di Stenio Solinas
Che girare il mondo, Moleskin alla mano, scrivendo reportage per i giornali sia un mestiere d’altri secoli e millenni non è un’iperbole ma un fatto. Voli low cost, National Geographic tv, turismo di massa e Google Maps lo hanno reso superfluo e anche un po’ ridicolo, come il monocolo o l’hula-hoop. Ma ogni regola ha la sua eccezione, nel nostro caso i reportage di Stenio Solinas, uno degli ultimi giornalisti culturali, come si chiamavano un tempo, prima che la cultura si facesse a Sanremo, e a vegliare su di essa fosse il ministro Gennaro Sangiuliano.
Supervagamondo, qui alla sua seconda edizione, raccoglie una vita intera di viaggi, pellegrinaggi e avventure prima intellettuali che geografiche. È il diario di bordo e per così dire l’Anabasi di Stenio Solinas attraverso sterminate biblioteche e regioni del mondo. Raccolti insieme, riletti, riviste, tagliati-e-incollati, rifiniti, limati, questi saggi e articoli di giornale si configurano come una sorta di corsa a scapicollo attraverso quel che rimane del mondo di ieri (dopo le devastazioni operate da totalitarismi, tabloid, scuola di massa, web) prima che se ne perda ogni contezza. E manca poco, a giudicare dai segnali: i serial Netflix, i talk show. Non resta che puntare sull’inattualità, e seminare briciole di pane nel bosco.
Solinas, quando viaggia, non è un semplice viaggiatore né un qualunque inviato speciale, ma è piuttosto un esploratore di luoghi risaputi – Shanghai, Dublino, L’Avana, Famagosta – nei quali fa brillare l’ignoto, l’inaspettato. «Ciò che è noto non è conosciuto», diceva Hegel, e Solinas lo prova con le sue corrispondenze, le sue recensioni, le sue interviste. Viaggiare, da come la vede lui, non è un diporto. È una scelta, uno stile di vita, in qualche modo persino una missione. Solinas è un esploratore anche quando recensisce un libro, o quando racconta la vita di Beau Brummel, che inventò il frac e finì pazzo. C’è un esploratore all’opera anche dove Solinas racconta di quando Greta Garbo, algida com’era, si lasciò convincere da Ernst Lubitsch a ridere in Ninotchka, film del 1939, dove recitava nel ruolo d’una funzionaria sovietica in trasferta a Manhattan, e la sua risata risuonò così alta, così bella e sincera, da «rovinare un quarto di secolo di propaganda marxista-leninista».
Solinas esplora un girone dell’inferno italiano quando porta una ragazza ad ascoltare un’orchestrina jazz e appare Romano Mussolini, rampollo di Mascellone ma anche, dice Solinas alla ragazza, «il più grande jazzista italiano»: la ragazza s’eclissa, Mussolini jr suona, l’anatema si trasmette attraverso le generazioni. C’è un mix di fastidio e insieme d’ammirazione per Evelyn Waugh, anche un lui un esploratore, negli anni Trenta, di giungle non più vergini e deserti con oasi troppo popolate, ma che a differenza di Solinas, sempre attento e incuriosito da ogni dettaglio, non fa che annoiarsi, e proprio questa noia è la straordinaria, irritante sostanza letteraria dei suoi viaggi. C’è il peana per Lawrence d’Arabia, per i suoi libri, per la sua condizione d’eterno adolescente.
Sfogliando libri, compulsando memoir, Solinas visita la dimensione parallela dell’Impresa fiumana. Orbo Veggente al comando, l’Impresa è una festa rivoluzionaria e nazionalista che Solinas rubrica alla voce «Ur-insorgenza giovanile»: stampo e modello d’ogni futura Marcia su Roma, Maggio Francese, Summer of Love, Sex Revolution, Centri Sociali, Famiglie Manson, «movimenti no global», Campi Hobbit, a destra i «Fasci» e a manca i «Goscisti», tra loro indistinguibili. Quanto ai romanzi del Vate, che francamente vien voglia «di scagliare dal finestrino del treno», Solinas ne registra nel suo diario di bordo la totale «illeggibilità, che non è tanto dovuta a povertà di trame, vecchiezza e anacronismo della prosa, debolezza dei caratteri, come accade per molti scrittori a lui coevi, quanto all’impossibilità di star dietro a questo sterminato campo minato di calchi, citazioni e vertigini oratorie, deliri narcisistici». Questo per dire che i viaggi non sono sempre felici, e che molte delle letture obbligate sono letture doverose ma uggiose e allocche. Eppure incalzano. Non so più chi l’ha detto, ma chiunque sia stato dategli torto: son tutti buoni a leggere solo libri belli.
Nei libri, belli e brutti, si trovano le storie che funzionano da chiavi d’accesso alla natura e dunque ai misteri del mondo. Solinas scivola tra queste ombre con una torcia accesa. Ecco Leni Riefenstahl, regista hitleriana, che mette in scena, nel 1935, le gelide iconografie del terrore (demagoghi sbraitanti, colonne di luce, «Sieg Heil» da tirare già il cielo) nel suo Il trionfo della volontà, un capolavoro del cinema, che inaugura un nuovo genere cinematografico, e che insieme lo conclude: l’horror film involontario. Ci sono Yanez de Gomera, Dashiell Hammett, Jean Gabin, Clark Gable in Via col vento. C’è Je t’aime, moi non plus scandalosamente cantata da Jane Birkin e Serge Gainsbourg.C’è la celebrazione di Playboy, la rivista che con i suoi nudi femminili, con le sue novelle dei più celebrati scrittori blockbuster, da Gabriel García Márquez a Ian Fleming da Jack Kerouac a Haruki Murakami, da Arthur Miller a Norman Mailer, da Allen Ginsberg aGeorges Simenon, spalancò nuovi e insperati orizzonti agli adolescenti maschi nell’Italia dei sixties, un attimo prima delle occupazioni universitarie e dell’«aritanga» filototalitario. In Supervagamondo ci sono fascisti, surrealisti, comunisti, collabò, résistant e dadaisti francesi.
Un’intera sezione del libro, intitolata Casa Russia come il grande romanzo di John Le Carré, è dedicata agl’interminabili settant’anni di terrore bolscevico e alle disavventure degli artisti e dei russi liberi sotto Lenin, Trotsky, Stalin, Breznev e tovarish. Appaiono, in partecipazione straordinaria, anche Tolstoj e Pukin, ma il libro è sull’Urss, sulla sua guerra agli uomini e alla cultura. Solinas esplora, da provetto saggista, «la generazione che ha dissipato i suoi poeti», come scrive all’epoca Roman Jakobson non potendo dire la verità nuda e cruda sulla mattanza intellettuale che invece c’è stata». Racconta in poche righe minuziose e concise le vite di Anna Achmatova, Victor Serge, Bulgakov, Sergej Ejzentejn. Ci sono Nureyev, Grossman, i clown e gli acrobati del Circo di Mosca.
E c’è Iosif Brodskij, che secondo il suo amico Sergej Dovlatov «non si opponeva al regime. Semplicemente non lo considerava. E non era nemmeno sicuro della sua esistenza. Non conosceva il nome dei membri del Politburò. Quando sulla facciata del suo palazzo avevano montato un ritratto di sei metri di Mavanadze [segretario del Partito comunista georgiano] Brodskij aveva detto: «Chi è? Sembra William Blake…».
Viaggiare, come fa Solinas, è cercare connessioni, imboccare sentieri appena intravisti e indovinare ovunque passaggi dimensionali da videogame che conducono in un lampo da un continente all’altro. Viaggiare è muoversi con accortezza tra i post-it infilati tra le pagine dei libri. Strade da percorrere e libri letti si somigliano: sono chiavi d’accesso. È questa la trama di Supervagamondo.