il Giornale, 25 febbraio 2023
Tutta la verità sul film Shining
No, Stanley Kubrick non ha maltrattato Shelley Duvall tanto da farle venire un esaurimento nervoso. No, Jack Nicholson non fu costretto a mangiare solo panini al formaggio per toccare le vette di follia richieste dal ruolo di Jack Torrance. No, Shelley Duvall non ha fatto 127 ciak per l’animosa discussione col marito nella Sala Colorado dell’Overlook Hotel (furono 43). Queste sono solo alcune delle leggende che girano attorno a Shining di Stanley Kubrick che vengono finalmente smentite nel libro di prossima pubblicazione per Taschen, realizzato in collaborazione con gli eredi di Kubrick. Altre sono invece confermate, come le trenta porte di legno bello robusto preparate per la scena dell’assalto nel bagno perché Nicholson era troppo bravo con l’ascia da distruggere quelle finte giusto in un paio di colpi. Il volume, intitolato Stanley Kubrick’s The Shining è, come da tradizione Taschen, un gadget da esplorare: dentro una scatola dal peso di 20 chilogrammi si annidano due libri – uno di 900 pagine contenente un dettagliatissimo resoconto della lavorazione e uno di oltre 400 con bellissime fotografie mai viste prima – più una serie di riproduzioni facsimile di documenti d’epoca, tra cui spicca il copione annotato dalla segretaria di edizione su cui furono incollate varie foto polaroid scattate sul set. Il totale delle pagine è di 2200. Il libro è chiaramente il prodotto di un’ossessione. Quella dell’autore innanzitutto, il regista premio Oscar della Pixar Lee Unkrich che lavora al libro da dieci anni, e indirettamente quella di Kubrick, che ne impiegò quattro per portare sullo schermo il romanzo di Stephen King e la cui proverbiale indefessa attenzione ai dettagli è documentata tra le pagine di questo libro come mai prima d’ora. Sia chiaro che con Kubrick di mezzo dare dell’ossessionato a qualcuno è fargli un complimento: solo a essere così maniaci si ottiene qualcosa di grande. L’elemento ossessivo di Kubrick nacque dal desiderio di realizzare il film più spaventoso di tutti i tempi e si sviluppò imbastendo nell’opera suggestioni psicanalitiche e sociologiche che trasformarono la semplice trama horror soprannaturale di King in un trattato sul male che si annida dentro la psiche umana. Come nacque invece l’ossessione di Lee Unkrich? «Mia madre mi portò a vedere Shining quando avevo 12 anni, una scelta forse un po’ avventata visto che ero un ragazzino piuttosto impressionabile. E infatti il film si infilò nel mio cervello come null’altro. Fu un’esperienza inebriante. Mi immedesimai nel piccolo Danny: anche io come lui ero figlio di un matrimonio problematico e anche io come lui passavo un sacco di tempo a casa da solo, in preda alle sinistre fantasie di bambino». Lee non riuscì più a togliersi Shining dalla testa. Tracce della sua ossessione si ritrovano in effetti nei film che ha realizzato per la Pixar: certe inquadrature di Toy Story ricordano la nitida composizione simmetrica di Kubrick, come le musiche dei momenti drammatici si ispirano dichiaratamente ai ticchettii degli archi di Penderecki che Kubrick scelse per sottolineare le escandescenze di Jack Torrance. Soprattutto, tutte e quattro le avventure di Woody e compari sono piene zeppe di citazioni da Shining, dalla moquette della casa che ricalca quella dell’Overlook Hotel al numero 237, quello della stanza maledetta, infilato un po’ ovunque. Nel corso degli anni Unkrich ha collezionato qualsiasi cimelio su cui riuscisse a metter mano: fotografie di scena rintracciate nelle botteghe di memorabilia cinematografici, documenti di produzione e costumi di scena. Ad esempio sono entrati in suo possesso una delle giacchette di velluto bordeaux indossate da Nicholson e l’unico esemplare del maglioncino di lana di Danny con la sagoma dell’Apollo 11, fatto fare a maglia appositamente per il film da Milena Canonero. Una decina d’anni fa decise di condividere parte della sua collezione in un sito internet. Con sua sorpresa, il blog diventò un canale per rintracciare e mettersi in contatto con membri della troupe di Kubrick. Scenografi dopo operatori di macchina, elettricisti dopo attrezzisti, attori dopo fotografi di scena, Unkrich raccolse così un formidabile racconto corale della realizzazione di Shining. Una visita allo Stanley Kubrick Archive di Londra, il sancta sanctorum degli studiosi del regista, lo convinse a cimentarsi nella creazione di un libro. Essendo un regista e non uno scrittore, ha affidato la stesura a J.W. Rinzler, rinomato autore di making-of cinematografici. «Era stato già scritto tanto su Shining, ma nessuno aveva ancora raccontato come il film era stato realizzato, il processo creativo che si nasconde dietro all’opera finita». Il libro abbraccia l’intera fatica kubrickiana, dalla lettura del romanzo in una copia spedita dall’ufficio della Warner prima che uscisse nelle librerie, su cui Kubrick scrisse freneticamente a penna le sue reazioni emotive perché gli fossero di guida durante la lavorazione, al controllo sulle versioni doppiate per i mercati stranieri, distribuite dopo l’uscita americana. «Quello che mi ha sorpreso è stato vedere quanto aperto al cambiamento e in effetti indeciso fosse Kubrick. La gente ha questa idea di lui come un demiurgo che mette al mondo un film fatto e finito, quando in realtà ogni sua decisione era soppesata di fronte a tantissime alternative e spesso arrivava dopo numerosi e travagliati ripensamenti». La cronistoria è punteggiata di aneddoti gustosissimi. Jack Nicholson che dorme sui sedili della limousine che lo porta ogni mattina allo studio dopo nottate di bagordi nei club londinesi. La colonna sonora dello Squalo fatta suonare a tutto volume per mettere il piccolo Danny dell’umore giusto durante le scene in cui scappa rincorso da Nicholson. Shelley Duvall che ciak dopo ciak non la regge più, corre in una toilette del set dei bagni rossi e poi s’accorge che lo sciacquone non funziona: «Era tutto vero tranne quello, e nessuno me l’aveva detto! Che momento imbarazzante!». Il mio aneddoto preferito riguarda Kubrick che si lamenta perché il labirinto è troppo lineare e dice allo scenografo di rifarlo più intricato; quello lo prende per mano, lo porta al centro e scappa via. Dovettero andare a riprenderlo mezz’ora dopo. Non s’azzardò più a entrarci senza prima aver legato all’entrata il capo d’un lunghissimo rotolo di corda. Ho chiesto a Lee quali sono i momenti che più gli sono rimasti impressi in questa sua personale impresa. Sono tre. Quando il padre di Danny Lloyd gli ha fatto sfogliare l’album di famiglia, rivelando che Kubrick gli aveva permesso di fotografare tutto quello che gli pareva a condizione che non vendesse gli scatti a nessuna rivista. Le 450 foto costituiscono l’ossatura del libro e sono indubbiamente uno dei suoi punti di forza, specialmente quelle con Jack Nicholson, il più formidabile guascone che Hollywood abbia mai prodotto. Quando in una scatola del Kubrick Archive del tutto estranea a Shining ha trovato per caso un raccoglitore ad anelli contenente fotogrammi stampati di ogni punto macchina di ogni scena girata. Visto che Kubrick bruciava i negativi del girato che non aveva usato in fase di montaggio, queste immagini sono le reliquie di scene ormai entrate nel mito, come il finale perduto in cui il direttore dell’albergo va a trovare Wendy in ospedale e lancia a Danny la palla da tennis che avevamo visto rotolare inspiegabilmente per i corridoi, facendo così ripartire da capo le macchinazioni perverse dell’Overlook Hotel. «Lì mi è proprio preso un colpo». Il terzo momento è molto più tenero. In una delle visite a casa di Danny Lloyd, ora professore di biologia al college, il cellulare di Lee inizia a suonare. Era Shelley Duvall. «Shelley, indovina con chi sono proprio in questo istante?». «Ciao, Shelley...». I due non si sentivano dall’aprile del 1978, quando avevano girato l’ultima loro scena assieme. È possibile ordinare Stanley Kubrick’s The Shining dal sito internet della Taschen. Lo shock stavolta arriva dal prezzo: 1500 euro. È un’edizione limitata da collezione, con una tiratura di sole 1000 copie numerate. Lee si è tenuto per sé la numero 237. * Curatore dell’«Archivio Kubrick», il più completo database sulla vita e l’opera di Stanley Kubrick di Filippo Ulivieri *