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 2023  febbraio 25 Sabato calendario

ORSI&TORI


Cosa sarebbe Lvmh senza la manualità, il gusto artigianale, l’implicita eleganza nelle mani oltre che negli occhi, delle factory italiane?
Anche per restaurare le carrozze salotto del mitico Orient Express, che Bernard Arnault ha comprato con la sicurezza che comprare i miti rende sempre, Lvmh si è rivolto alle Officine toscane Ma Group Ferroviaria di Collesalvetti, vicino a Livorno. Quindi in Italia non più solo tessuti, atelier di confezione, brand come Loro Piana, per citare solo quello che sta facendo salire il livello del gruppo con la sua straordinaria eleganza creativa e classica a un tempo, ma anche appunto il ricorso alle mitiche officine Ma group che oltre a costruire carrozze ex novo hanno uno straordinario reparto di restauro.
Venice Simplon Orient Express evoca i miti del passato, in particolare degli anni ’20 e 30 del 1900. E il famoso

romanzo di Agatha Christie, Assassinio sull’Orient Express.
Arnault ne ha compreso subito l’enorme valore evocativo e lo ha acquistato con la possibilità di organizzare un servizio di treni privati che viaggino tra Parigi, Londra, Venezia, Vienna, Praga, Istanbul. E per la destinazione Venezia ha l’esclusiva assoluta.
Grande e intelligente colpo per rievocare l’eleganza, il comfort e l’esclusività, che sono le prerogative di tutto il gruppo francese. Ma per restaurare le 18 carrozze ha appunto scelto il savoir faire toscano, che alloggia anche nelle officine di Collesalvetti di Ma Group. Un grande successo per lo stile e le capacità tecniche dell’Italia e in particolare della Toscana. Per riportare a luccicare le carrozze storiche che tanto ispirarono Agatha Christie.

Nei 70 marchi posseduti da Arnault, a parte Louis Vuitton e Dior, a spiccare sono quelli italiani: Bulgari, Fendi, Emilio Pucci, Acqua di Parma, e Loro Piana, l’ultimo conquistato ma anche quello che è diventato il più prestigioso grazie alla bravura che aveva animato il lavoro di Sergio e Pigi Loro Piana. Sergio aveva avuto l’idea di far fare all’amico Diego della Valle un prototipo di scarpe fra il mocassino e la pantofola, ma di grande eleganza, con la suola piatta di gomma bianca. Su questo modello, Arnault ha costruito una fortuna: 900 mila paia all’anno a quasi mille euro quelle in camoscio e 2 mila quelle in cervo.
Anche gli uomini chiave della sua struttura sono italiani: Antonio (Toni) Belloni, direttore generale di tutto il gruppo Lvmh e Pietro Beccari, che dopo essere stato amministratore delegato di Dior è da pochi giorni presidente e ceo di Louis Vuitton, che è il marchio storico da dove è decollata, con le valigie, l’ascesa di colui che aveva fatto abbastanza fortuna nel real estate in Usa e che ebbe l’opportunità, grazie alla Banque Lazard guidata da Antoine Bernheim, di acquisire il gruppo Boussac Saint-Frères, in pieno tracollo dell’industria tessile. E Boussac possedeva Christian Dior…

Molti anni fa Arnault tentò di comprare Giorgio Armani. Era il momento in cui un altro imprenditore intrepido come Patrizio Bertelli aveva comprato un buon 10% di Gucci. Armani non accettò l’offerta di Arnault, che era arrivato da Parigi per vedere la sua sfilata, che allora si svolgeva nella casa di Armani in via Borgonuovo; e Bertelli, dopo poco tempo, fu costretto di rinunciare alla scalata di Gucci, sentenziando con spirito aretino: «È stata una simpatica plusvalenza».
Probabilmente quelle due operazioni fallite hanno segnato il destino del fashion italiano: creativo, straordinario, elegante, ma con marchi, pur sempre prestigiosissimi, che non sono mai riusciti a superare la barriera dei 4-5 miliardi di giro d’affari. Anche un imprenditore di grande respiro e sensibilità creativa come Sergio Loro Piana, impegnato a competere con Hermès, era arrivato al miliardo ma aveva capito, prima di morire, che non avrebbe mai potuto avvicinare lo stesso Hermès. E così decise di vendere, rendendo certo ricchissima la sua famiglia e quella del fratello Pigi, ma riconfermando la supremazia finanziaria della moda francese, mentre appunto nessuno batte le aziende italiane sul piano dell’eleganza e naturalmente nel saper fare, nel saper produrre tessuti, scarpe, capi eleganti.

È significativo anche il caso di Gucci, che oggi è grandissimo (circa 10 miliardi di fatturato), ma lo è diventato quando la proprietà è passata alla famiglia Pinault che era partita con un’esperienza in comune a quella di Arnault: gestiva i grandi magazzini di Parigi, Printemps, così come il più grande imprenditore mondiale della moda al momento di acquistare indirettamente Dior prese anche il grande magazzino Le Bon Marché.
Soltanto Remo Ruffini, paradosso dei paradossi, con un marchio francese come Moncler, è riuscito a superare i 2 miliardi di giro d’affari e soprattutto a ottenere una capitalizzazione di borsa di ben 16 miliardi, contro i 70 miliardi di Kering-Gucci, per non parlare dei 410 miliardi di Lvmh.
Mentre si celebra una gran bella settimana della moda femminile a Milano, tutto ciò che caratterizza il fashion italiano deve imporre una ulteriore riflessione sulla necessità di proteggere la filiera produttiva italiana della moda, che non ha eguali nel mondo. I buyer, i giornalisti, gli acquirenti diretti che sono tornati da martedì 21 a popolare Milano con un indotto per il sistema-accoglienza di quasi 100 milioni di euro, sanno che il meglio che si vede nella moda internazionale è prodotto in Italia: un primato che non deve essere assolutamente perso e che per questo in primo luogo passa dallo sviluppo delle scuole. Non è un caso che l’unico quotidiano della moda in Europa sia MF Fashion e che ugualmente l’unico canale televisivo della moda e della filiera sia, in Europa, Class TV Moda, che proprio nell’ultimo anno ha accentuato il taglio per informare contemporaneamente il settore, grazie a stretti legami con le migliori scuole del paese, ma anche i consumatori più attenti all’evoluzione degli stili.

In partnership con Camera italiana della moda presieduta da Carlo Capasa, Class Editori e i suoi media specializzati hanno consentito ai prodotti italiani di avere grande visibilità anche durante il Covid. Le partnership di Class Editori con i due maggiori gruppi media della Cina hanno aiutato allora la Camera ad avere 70 milioni di utenti on line per le sfilate di Milano.
È indispensabile che il governo italiano tenga conto di questa straordinaria realtà, di questo primato italiano nella manifattura, che ora si esalta anche grazie alla scelta inevitabile di Arnault di far restaurare le carrozze di Orient Express, dei suoi arredi nel suo stile originario, alla Ma group di Collesalvetti.
Del resto, il mondo parallelo alla moda, dove vige ugualmente il primato della manifattura italiana, è quello del mobile. Moda e mobile hanno la stessa iniziale, una M che può anche voler dire Massimo della qualità. E Massimo della qualità sostenibile. Area nella quale Class Editori è impegnata, in sintonia con la Camera della moda e il suo Green Carpet. Infatti Class Ethics è la nuova società che promuove e sviluppa l’attività di Standard Ethics, la prima agenzia al mondo di rating della sostenibilità, di cui Class Editori è il singolo maggior azionista.

Sostenendo il lavoro di Camera della Moda nel progetto di un made in Italy completamente sostenibile e sviluppando Standard Ethics, che ha già rilasciato numerosi rating a società quotate in Italia e nel mondo, Class editori può far ottenere alla moda prodotta in Italia l’irrinunciabile qualifica di moda non solo di massima qualità ma anche di massima sostenibilità.
Come in nessun altro paese del mondo, in Italia ci sono aziende, come per esempio Ermenegildo Zegna, quotata a Wall Street, che hanno la sostenibilità nel sangue, avendo realizzato fin da quasi l’inizio del secolo scorso l’Oasi Zegna e da anni la messa a punto della tecnica per rendere «possibile il sogno di un futuro a zero sprechi».
Occorre che il governo abbia ben chiara la vocazione e il primato dell’Italia nella produzione della moda e di una moda sostenibile. E che il ministro Adolfo Urso, avendo scelto di ribattezzare il suo ministero delle Aziende e del Made in Italy, prenda spunto dal successo della prima settimana della moda femminile di Milano da quando è arrivato al governo, per lanciare un grande piano di sviluppo della filiera produttiva. Un progetto che, partendo da scuole già esistenti, abbia la capacità di trasferire nelle mani e nella creatività delle giovani generazioni la maestria degli artigiani produttori che stanno facendo sempre più grande e redditizia la grande filiera produttiva nazionale. Nei primi nove mesi dell’anno scorso il sistema moda Italia è arrivato a fatturare 90 miliardi di euro, con una crescita a due cifre. I numeri di tutto il 2022 accentueranno sicuramente il record. La crescita sta continuando con un vantaggio rispetto ad altri settori industriali: per la filiera, certo anch’essa influenzata, la tecnologia non basta; serve un savoir faire che solo la storia culturale e artistica italiana, l’avventura degli artigiani potevano portare a questi livelli. E questi livelli vanno fatti crescere ancora, non dispersi. Ci sono migliaia di aziende italiane della filiera che diventeranno insuperabili se solo potranno abbinare alla loro sapienza un continuo rafforzamento finanziario e culturale attraverso le scuole. La via da seguire porta inevitabilmente alla Borsa: Euronext growth Milano deve diventare la fonte di finanziamento e sviluppo di un settore assolutamente strategico per l’Italia. E quindi è richiesto un impegno del governo, forte e determinato, per fare di Milano il mercato n.1 in Europa le aziende della filiera della moda.
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Ogni tanto conviene premiare con la lode anche imprenditori o banchieri che nell’ultimo anno sono riusciti a fare o impostare progetti di grande efficacia.
Secondo questo giornale, un primo 10 e lode va dato all’amministratore delegato di Mps, Luigi Lovaglio, che ha saputo valorizzare alcuni manager chiave come Maurizio Bai, che non ha mai mollato. Arrivato a Siena dopo una serie di altri manager, pur bravi, ma che non erano riusciti a impostare un programma vincente per il salvataggio della più antica banca italiana, Lovaglio, sicuramente mettendo a frutto l’esperienza fatta in Polonia a capo della banca Pekao del gruppo Unicredit, in silenzio è riuscito a portare Mps in territorio sicuro.
Non si può non dare menzione di merito in un altro campo a Francesco Milleri, designato al vertice di EssilorLuxottica da Leonardo Del Vecchio. Partito con una borsa di studio intitolata a Donato Menichella, consulente aziendale anche nel campo informatico, per esempio per il Cardiologico Monzino, superando anche alcune malignità quando è approdato accanto a Del Vecchio, è riuscito a far chiudere l’esercizio, il primo senza più il fondatore, alla società di montature e lenti per occhiali a livelli record con un fatturato di 25 miliardi, tre in più dell’anno prima, e una capitalizzazione di 80 miliardi. Purtroppo, alla borsa di Parigi. Non sarebbe il caso, Dottor Milleri, di mantenere la promessa fatta a suo tempo da Del Vecchio di riportare la società anche sul listino di Milano?
Terzo encomio a Dario Scannapieco, che Mario Draghi ha fatto rientrare in Italia dal Lussemburgo dove era vicepresidente della Bei (Banca europea per gli investimenti) per dare slancio a Cdp. L’ad della finanziaria dello stato si è deciso a partire per un secondo road show in Usa. Obiettivo una consistente raccolta di capitali, anche attraverso un prestito obbligazionario, per rafforzare investimenti strategici per l’Italia. (riproduzione riservata)