il Giornale, 25 febbraio 2023
Quattro milioni di giovani non arrivano al diploma
Che il mondo della scuola sia da migliorare lo sappiamo da anni. Così come sappiamo che l’accesso al mondo del lavoro sia sempre più difficile e «casuale». Ma gli ultimi dati sull’Italia che studia sono da pelle d’oca. Li presenterà l’istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche Inapp la prossima settimana, ma basta un’anticipazione del rapporto per capire che le cose non vanno.
Ben 11,7 milioni di italiani non si sono mai iscritti alla scuola secondaria superiore, quasi 4 milioni l’hanno abbandonata senza arrivare al diploma. Tra quelli che invece si sono iscritti all’università, 5 milioni hanno mollato prima della laurea, con un dispendio di tempo e di risorse assai significativo. Ancora oggi il 41% della popolazione tra 18 e 74 anni ha al massimo la licenza media (17,7 milioni di persone) rilevano i ricercatori Inapp – i diplomati sono la maggioranza: 42%, pari a 17,9 milioni di persone. La porzione di popolazione con titolo di studio più elevato è composta da 6,1 milioni di laureati (14%) e 1,3 milioni di persone con master e dottorati di ricerca (il 3%) e le donne continuano ad avere livelli d’istruzione più elevati. Dati che non stanno al passo con la media europea. «Sono dati che fotografano in modo abbastanza netto il nostro sistema di istruzione spiega Sebastiano Fadda, presidente Inapp che deve essere migliorato per garantire una migliore aderenza dei percorsi formativi ai bisogni di competenze emergenti dall’evoluzione della società e per garantire anche un adeguato sistema di orientamento e di supporto capace di rompere la frequente dipendenza dei percorsi formativi dal retroterra culturale e reddituale dei genitori. Orientamento, investimenti nella scuola, sostegno ai più fragili sono attività da sostenere per garantirsi nuove generazioni integrate e adeguate ai tempi, sia come cittadini sia come lavoratori».
Dall’indagine emerge inoltre che gli over 50 occupati sono 3 volte gli under 30. L’accesso al mondo del lavoro per i giovani è ancora troppo macchinoso – tra impieghi discontinui e precari – e largamente informale, contribuendo a lente transizioni verso l’occupazione stabile. La colpa è da distribuire in parti eguali: da un lato ci sono contratti traballanti e sotto pagati che fanno passare la voglia di darsi da fare, dall’altro c’è una sorta di pigrizia diffusa in una generazione che forse ha meno «fame» rispetto al passato. Politiche come il reddito di cittadinanza (spesso più alto degli stipendi e delle borse da tirocinanti) non incentivano all’impegno. Un giovane tra il 19 e i 24 anni su quattro è un cosiddetto neet, cioè non studia e non lavora. Quello che manca è anche una progettualità del futuro: rispetto a qualche anno fa si vive più a breve termine, senza programmare (anche perchè i contratti a termine e senza contributi non permettono di costruire grandi castelli in aria). Nel Rapporto Plus si analizza anche la partecipazione ad attività formative che coinvolge circa il 19% del totale delle persone tra i 18 e i 74 anni. Nel dettaglio, la formazione interessa meno chi non ha un lavoro rispetto agli occupati, in controtendenza con il resto d’Europa.
Meno di 12 persone in cerca su 100 hanno seguito uno o più corsi di formazione e solo il 4,5% degli inattivi. Sempre con riferimento a chi non ha un lavoro, per gli uomini si osservano livelli di partecipazione a corsi di formazione quasi doppi rispetto alle donne.