La Stampa, 25 febbraio 2023
Donne sotto le bombe
Come ci si sente a venire svegliati da una guerra? Come ci si sente a trovarsi sotto le bombe, a cercare un rifugio, a decidere se e verso dove scappare, o rimanere a resistere? Cosa portarsi dietro, cosa indossare, dove procurarsi cibo e benzina, come sopravvivere? E soprattutto, come non impazzire mentre cerchi di sopravvivere, insieme a milioni di altre persone sull’orlo della follia, mentre sopra di te stanno volando missili e il mondo, tutto il mondo, sta andando in frantumi sotto un attacco che pensavi di poter vedere soltanto nei film?
Il 24 febbraio 2022 Monica Perosino si trovava in Ucraina come inviata de La Stampa. Dopo una giornata intera di guida era approdata a Dnipro, in transito verso Mariupol, dove voleva fare un servizio assistita da una volontaria che le aveva dato appuntamento in un «caffè carino nella piazza del teatro» per il giorno dopo. Non ci sarebbe mai arrivata. Quella notte è stata svegliata dalle bombe, insieme a 45 milioni di ucraini. È stato il giorno in cui è finita un’epoca, il momento che ha diviso il prima e il dopo, e una generazione ha imparato a dire, per il resto della vita, «prima della guerra», senza specificare quale guerra.
Era semplicemente la guerra, che andava a distruggere con una violenza brutale e primordiale un Paese, e a mettere il resto del mondo, l’Occidente, l’Europa, davanti a una crisi profonda di tutto quello su cui avevano basato la loro esistenza nei decenni precedenti.
Esattamente un anno dopo, quel momento tragico – e quello che l’ha preceduto ed è successo dopo – viene raccontato da Perosino in un libro, La neve di Mariupol (Paesi Edizioni).
È il diario di un il viaggio attraverso l’Ucraina sotto attacco russo che si svolge su due piani: racconta un Paese colpito dalla guerra più violenta e totale che il mondo avesse vissuto dopo il 1945, e descrive la discesa nell’inferno di una donna che questa guerra la carica sulle sue spalle, la vive spalmata sulla sua pelle, la assorbe, la respira, la mangia, la fuma. Che la vive a fianco degli ucraini, nascondendosi insieme a loro nei rifugi, andando nelle trincee, viaggiando in un fiume umano di profughi che si aiutano e si dividono l’ultima barretta di cioccolato e l’ultima tanica di benzina. Che scrive messaggini alla sua amica di Mariupol, e cerca di rintracciarla nelle chat della disperazione dove si contano i morti civili e si segnalano ai vicini i luoghi delle sepolture provvisorie nelle aiuole condominiali, sotto l’interminabile pioggia degli attacchi russi.
È anche una guerra che ha il volto di donna, per parafrasare il titolo di un celebre libro della premio Nobel bielorussa Svetlana Aleksievich. Intorno all’autrice si muove un mondo in prevalenza femminile: volontarie, profughe, fotografe, le commuoventi e determinate babushke, le contadine che offrono rifugio e ristoro, e le raffinate intellettuali che sotto le bombe vivono anche la lacerazione della cultura nella quale si erano formate.
Ci sono le vittime degli stupri dei soldati russi, raccontate con infinito dolore e delicatezza, e le appassionate attiviste che imparano a fare le bottiglie molotov mentre riscoprono con fierezza l’identità della loro nazione. Del resto, anche l’Ucraina è donna, la “nen’ka Ucraina”, la mammina Ucraina, come viene chiamata nelle canzoni e nei post sui social, e mentre gli uomini sono al fronte, a scrivere alle loro amate lettere che potevano essere state composte in una trincea del 1914 o del 1941, sono le donne a prendere in mano le redini del Paese, come è sempre stato nelle guerre dalla notte dei tempi. Che vive lo stesso sgomento, la paura, il rifiuto, la rabbia, di un popolo che fino al giorno prima era incredulo quanto lei sulla possibilità di una guerra, tanto più di una guerra così insensata e violenta.
La giornalista de La Stampa attraversa l’Ucraina nel momento più tragico della sua storia, e lo scopre insieme a un popolo che sta costruendo la sua identità e il suo futuro sotto le bombe. Studia e racconta il modo in cui gli ucraini cambiano sotto i colpi della guerra, la rinascita di una nazione sulle rovine di un impero naufragato, e la decostruzione dei miti dei “russofoni” e dei “russofili” è uno dei leit motiv più interessanti e complessi di questo viaggio di scoperta. Ma è anche una esplorazione che cambierà la cartografia culturale anche dell’autrice, una torinese laureata in filosofia e innamorata della letteratura russa, che vede mettere a dura prova la sua formazione e i suoi valori, che è costretta a imparare a indovinare a orecchio la direzione e il calibro delle armi, e vede gradualmente sparire sotto i colpi dell’artiglieria l’abitudine ai compromessi e alle sfumature.
È una storia vera che racconta la Storia, ed è vera anche nella storia interiore che si sviluppa nella testa e nel cuore della donna che racconta questa storia.
È un risveglio doloroso, quello per colpa di una guerra, ma è anche la scoperta di una terra e di un popolo, che un inviato occidentale in un’altra circostanza meno drammatica non avrebbe potuto mai comprendere in profondità. —