La Stampa, 25 febbraio 2023
Zelensky e Xi
Nel giorno dell’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina si torna a parlare di diplomazia, tra la proposta di pace cinese e la telefonata tra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, mentre il ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassis fa sapere in un’intervista che a Ginevra sono in corso – con la «massima prudenza» e «non ad altissimo livello» – contatti tra ucraini e russi. Nulla che possa far sperare in una svolta negoziale all’orizzonte. Volodymyr Zelensky ha continuato a parlare di una vittoria militare sulla Russia, e il suo consigliere Mikhail Podolyak ha sostenuto che l’unico modo di cambiare il regime russo è quello di «infliggere una sconfitta militare». Da Mosca invece, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha ribadito che un negoziato è possibile soltanto «per raggiungere per via pacifica gli obiettivi russi». Che vengono dichiarati gli stessi di un anno fa – “denazificazione e demilitarizzazione”, e la neutralità ucraina rispetto alle alleanze occidentali – con in più «il riconoscimento delle nuove realtà territoriali», cioè dei territori occupati dall’esercito russo.
Curiosamente, tutte le parti accolgono con favore alcuni passaggi della proposta cinese: agli ucraini piace l’invocazione del rispetto dell’integrità territoriale degli Stati, ai russi l’abolizione delle sanzioni e la tregua immediata che li lascia a tempo indeterminato sui territori occupati, l’Occidente si sente tranquillizzato dal monito di Pechino sulla «inamissibilità» di ricorrere alla minaccia atomica. Il documento che gli emissari di Pechino hanno portato alla conferenza sulla sicurezza a Monaco e poi a Mosca «non è un vero piano», nota giustamente Zelensky, che però invita subito Xi Jinping a Kyiv e mostra soddisfazione per l’entrata in gioco della Cina. Una presa di posizione di Pechino era stata esortata più volte anche dagli Stati Uniti, e nel momento in cui Xi si scolla di dosso la tradizionale “neutralità” cinese la partita si fa delicata.
Putin ha intanto buttato nel cestino la sua dottrina diplomatica, e voci moscovite sostengono che ne vuole produrre un’altra, dichiaratamente incentrata sulla contrapposizione all’Occidente e la ridiscussione delle sfere d’influenza, un discorso quasi anticoloniale caro a Pechino, ma che potrebbe far presa anche sull’India e su altri Paesi soprattutto dell’Asia. Il voto alle Nazioni Unite sul sostegno all’Ucraina ha chiaramente mostrato che se a sostenere esplicitamente Mosca sono soltanto sei Stati (tra cui i paria internazionali come la Corea del Nord e la Siria), ad astenersi sono stati una trentina di nazioni tra le più popolose al mondo che, se non appoggiano Putin, comunque segnalano di essere come minimo indifferenti alla guerra per la libertà dell’Ucraina filo occidentale.
In base alla posizione cinese, il mondo potrebbe spaccarsi di nuovo in due campi, in una contrapposizione Est-Ovest che diventa la partita delle autocrazie contro le democrazie. Forse è per questo che la proposta di Pechino è volontariamente vaga, o forse tiene soltanto conto dei molteplici movimenti sotterranei della diplomazia, di cui il fiume di aiuti e di visite di solidarietà a Kyiv sono soltanto la parte più visibile. Negli ultimi giorni, Putin è stato messo al corrente del fatto che il sostegno occidentale all’Ucraina invece di ridursi aumenterà, e sarà probabilmente sempre oltre la portata del suo esercito e delle sue fabbriche. Intanto, gli economisti stanno rivedendo al ribasso le stime che le riserve russe gli permetteranno di andare avanti per altri due anni: già adesso, un rublo su tre viene speso per la guerra, e il deficit di febbraio vede le uscite del Cremlino superare di quattro volte le spese. I negoziati di solito iniziano soltanto quando almeno una delle parti non ha più le forze per andare avanti. Il grande gioco della caccia a una exit strategy potrebbe iniziare prima del previsto, e chiunque voglia contare nel mondo del futuro non può mancare. —