Corriere della Sera, 25 febbraio 2023
Intervista a Stefania Rocca
Una madre e una figlia che non vede l’ora di poter essere quello che ha sempre sentito di essere, un ragazzo, Alessandro. Sono al centro della pièce La madre di Eva, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Silvia Ferreri, finalista al premio Strega nel 2018, con cui Stefania Rocca debutta nella regia teatrale. Sarà dal 28 febbraio al 2 marzo al Teatro Lirico di Milano, il 27 e 28 marzo a Roma al Parioli quindi l’11 e 12 aprile all’Auditorium Parco della Musica. «E poi saremo in tournée nella prossima stagione».
Perché proprio questo testo?
«Avevo letto il libro perché mi avevano proposto una lettura in teatro sui temi della diversità. Mi è piaciuto subito, oltre che per la scrittura, per la capacità di affrontare in modo diretto e sensibile, senza giudizi né pregiudizi, un tema attuale, l’identità di genere. È un’occasione di trattare anche la genitorialità. Sono madre di due adolescenti maschi, non è sempre facile rapportarsi. Vorresti insegnargli qualcosa poi ti accorgi che in realtà sei tu che impari da loro».
Come è passata dal romanzo allo spettacolo?
«Ho acquistato i diritti del romanzo e poi ho lavorato da sola a un adattamento multimediale. L’idea era di raccontare attraverso diversi linguaggi: teatro, cinema, narrazione. La diversità ai miei occhi è ricchezza, è creatività, un linguaggio fluido. Mi è servito molto il contatto con associazioni di genitori e figli e figlie che vivono questo percorso di transizione, un viaggio di amore e sensibilità da cui ho appreso molto. E che mi ha dato una forza incredibile, spero la senta anche il pubblico. Per Alessandro la transizione è un percorso che modifica il corpo, non l’identità. È nato uomo: non c’è un prima e un dopo. Per la madre, condizionata da un pregiudizio ancestrale, la transizione è un calvario ingiustificato oltre a essere un insulto al “frutto del suo seno”. Non è una donna bigotta ma ha paura. Paura che sua figlia soffra troppo, paura che venga giudicata, paura che la vita per lei possa essere più difficile. Fa fatica ad accettare la realtà».
In scena con lei i giovanissimi Bryan Ceotto e Simon Sisti Ajmone. Perché due attori per la stessa parte?
«Abbiamo cercato a lungo il ragazzo che potesse interpretare Alessandro. Mi hanno folgorato entrambi, sono esordienti, molto bravi. Essendo in due si alterneranno nel ruolo, già nelle prime repliche e poi nella tournée. Ognuno porta la sua esperienza, le sue sfumature. Sembrano quasi due spettacoli diversi».
Si è parlato molto di identità di genere di recente, il tema è rimbalzato anche dal palco di Sanremo, ha toccato persino una Procura. C’è un clima di transfobia nel nostro paese?
«Credo che nella società ci sia molta paura di perdere le certezze su cui si è fondata per molto tempo. Oggi il tema dell’identità di genere divide ma ricordiamoci che è successo in altri momenti in cui ci si è divisi in tema di diritti civili. Sono figlia di genitori separati, all’epoca un divorzio – che era vietato fino al 1970 – era considerato un fallimento. Oggi è molto cambiato. Ogni generazione ha avuto la sua battaglia, la società è in continua evoluzione. E il tema dell’identità, della ricerca di capire chi siamo, è più universale che mai».
La diversità ai miei occhi è ricchezza,
è creatività, un linguag-gio fluido
Credo che nella società ci sia molta paura di perdere le certezze
Ma accettare il diritto dell’altro di esprimere la propria natura non pare scontato. Di recente il presidente del Senato ha dichiarato che gli dispiacerebbe avere un figlio gay.
«Mi sembra che si ritorni al discorso della paura e la mancanza di strumenti di conoscenze per le famiglie. L’identità è una cosa profonda, non ha nulla a che fare con un capriccio o l’influenza di cattivi esempi. Credo che la cosa più importante per un genitore è dare fiducia a figli e figlie. Credere in loro».
Si è confrontata per lo spettacolo con i suoi figli?
«Ne abbiamo parlato in casa, sì. Come di tante cose. Mi sembra che i ragazzi oggi non hanno pregiudizi, l’importante è ascoltare e dare loro gli strumenti per farsi un’opinione».
«La madre di Eva» potrebbe diventare un film?
«Sì. Ho scritto un soggetto presentato con una coproduzione internazionale che ha ricevuto l’approvazione. Speriamo».
È in sala con «La primavera della mia vita». E il 2 marzo lo sarà con «L’uomo che disegnò Dio» di Franco Nero.
«Con Colapesce e Di Martino sono una manager un po’ pazza che fa cose folli, tipo pescare in ufficio. È il bello del mio lavoro. Cambiare prospettiva aiuta. Credetemi».