il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2023
Intervista a Jessica Bruder e Dale Maharidge, i due giornalisti che scatenarono il caso Snowden
L’etichetta riportava solo: “Progetti architetto”. Quando la giornalista Jessica Bruder se lo ritrova sul pianerottolo, quarto piano senza ascensore a Brooklyn, quel pacco – spedito con posta prioritaria, francobollo da 5 dollari e 80 – aveva già fatto ottomila chilometri, dalle Hawaii attraverso l’America. Il mittente, sconosciuto. Ma era stato il suo migliore amico, Dale Maharidge, Premio Pulitzer, a chiederle di ricevere e conservare il pacco. A sua volta, Dale aveva detto di sì alla richiesta di un’altra persona cara, Laura Poitras, giornalista e documentarista, che grazie a questa storia vincerà poi l’Oscar col suo Citizenfour. Tutti accettarono senza sapere cosa quel pacco contenesse davvero. Viaggerà così, col servizio postale e passando di mano in mano, la miniera di documenti segreti dell’Nsa, l’agenzia di intelligence federale americana, al centro del più grande scandalo dopo il Watergate. Era la primavera del 2013. Pochi mesi dopo, il mondo conoscerà la “talpa” che aveva svelato, grazie alle inchieste del Guardian e del Washington Post, come il governo degli Stati Uniti avesse costruito un enorme apparato di sorveglianza con cui spiava il suo stesso popolo, e non solo. La “talpa” era Edward Snowden e quella fuga di notizie passerà alla storia come “Datagate”. Snowden si era fidato di Laura che si fidava di Dale che si fidava di Jess. Quel filo è stato abbastanza forte da tenere legati, tra loro, sconosciuti. La scatola di cartone ha messo poi in moto il resto della storia: “Per noi raccontarlo oggi è un po’ come scrivere il sequel di tutto”.
Maharidge e Bruder, la più grande sorveglianza di massa messa in atto da un Paese democratico è stata “bucata” dal sistema più antico con cui viaggiano le informazioni: la posta.
B: Perfino i sistemi di sorveglianza più elaborati hanno dei punti ciechi! Condividere informazioni usando “mezzi analogici” – con una lettera o incontrando qualcuno di persona – avrà un fascino antico, ma può rivelarsi una strategia intelligente: è più difficile da intercettare.
Voi siete entrambi giornalisti, ma non sapevate cosa contenesse il pacco. Siete entrati in questa storia perché ve lo hanno chiesto persone care, sulla fiducia. Sorprendente, no?
M: È quello che ho detto a Laura (Poitras, ndr)…
B: Dale mi domandò se sarei stata disposta ad aiutare un progetto di giornalismo investigativo. Se avessi accettato, mi disse, non avrei potuto fare domande. Ovviamente da giornalista volevo saperne di più. Ma Dale è il mio migliore amico, e questo vale più di qualsiasi scoop.
Quando avete compreso cosa contenesse il pacco?
B: Un mese dopo averlo ricevuto lessi le prime notizie sul Datagate, Snowden non si conosceva ancora. Ricordo di aver chiesto a Dale: “Parliamo di questo?”, e lui: “Sì”. “E questo è tutto?” e lui: “No”. Mi aspettavo qualcosa di grande, questo era molto di più.
M: In quel momento Jess non aveva idea dei documenti nel pacco. Mentre per me non furono una sorpresa. Laura era rientrata da Berlino per recuperare il pacco. Poco dopo, mi chiese via Tails, un sistema di messaggistica blindato, di raggiungerla in hotel per studiare cosa contenesse. Una volta arrivato, mise il mio cellulare nel freezer per sicurezza e indicò lo schermo del pc: la ‘talpa’ si era rivelata, era Edward Snowden. Laura voleva che andassi con lei a Hong Kong per incontrarlo e scriverne. Ma era la sua storia. E io avevo fatto la mia parte.
Meccanismi di sorveglianza, paura di essere spiati… Come avete gestito la paranoia?
B: Impossibile farlo.
M: Mi sono occupato negli anni di progetti “pericolosi”, della paranoia non ti liberi. Il caso Snowden, però, ha portato tutto a un livello superiore.
Il piano per muovere l’archivio di segreti di Stato, a posteriori, sembra folle. Chi lo ideò?
M: Laura, naturalmente. Io e Jess la chiamiamo “Chef”. Era il suo lavoro prima di diventare giornalista e regista. E chef è rimasta, in tutti i sensi.
I protagonisti del Datagate (da Snowden a Laura Poitras al giornalista-blogger Glenn Greenwald del Guardian) erano consapevoli di rischiare il carcere. Voi siete stati “complici” a vostra insaputa. Avreste rischiato?
M: Se a Laura servisse di nuovo una mano con un progetto come quello di Snowden, ci sarei. E credo che Jess la pensi uguale.
B: Confermo.
Snowden dal 2013 vive in Russia, negli Usa – ha denunciato più volte – non avrebbe mai un processo equo. Putin ha garantito a lui e ad altri whistleblower la cittadinanza russa.
B: Obama avrebbe dovuto concedere l’indulto a Snowden. Lui ha sacrificato moltissimo della sua vita per svelare gli abusi del governo americano e ha sempre detto che gli piacerebbe tornare a casa, con la moglie e i due figli. Ma dal momento che gli Usa non hanno intenzione di lasciarlo vivere in pace, non credo dovremmo giudicare la sua decisione di diventare cittadino russo.
Le rivelazioni di Snowden hanno diviso il mondo e squarciato il velo su come governi e aziende di hi-tech sorveglino e controllino i cittadini. A distanza di anni, è cambiato qualcosa?
M: Sfortunatamente la maggior parte degli americani non sembra preoccuparsene. Eppure lo “spionaggio” di massa attraverso cui molte aziende ci profilano è sempre più inquietante…
B: Non dovremmo accettare l’erosione della nostra privacy e della democrazia a opera di una sorveglianza onnipresente. Alla fine questo spaventa tutti.
Oggi molti americani non sanno chi sia Snowden. È una sconfitta?
M: Snowden è stato uno spartiacque. Ma è stato un momento. Ogni anno nascono in media 3,8 milioni di americani. Se moltiplichi e sommi questo dato a quanti erano bambini ai tempi del Datagate, hai che 70 milioni di persone non hanno idea di chi possa essere Snowden. Mettici poi la memoria corta… Ma dobbiamo respingere questa marea, e fare la nostra parte.
B: E, poi, che ci si ricordi o meno il nome di Snowden, oggi siamo tutti più consapevoli delle questioni di sorveglianza e privacy che quello scandalo ha sollevato. Questa resta una vittoria.
Rassegnati al Panopticon?
M: Noi non lo accettiamo e non lo accetteremo. E spero che, come noi, molti altri. Esistere significa non fregarsene. Di fronte a regimi autoritari ci sono tante piccole cose che possiamo fare per resistere.
Il Guardian, su ordine del governo inglese, ha distrutto i server che contenevano l’archivio di Snowden. Ma soltanto una piccola parte dei file trafugati è stata pubblicata. Voi la famosa scatola la custodite ancora?
M: A questa domanda non possiamo rispondere.