Avvenire, 24 febbraio 2023
Il Saint-Exupéry di Petri
Nella sua vasta bibliografia di operosissima narratrice, Romana Petri ha sempre inseguito alcune sue ossessioni. Tra queste, c’è senz’altro quella delle vite leggendarie e avventurose, sempre sul punto di travalicare in simbolo, capaci esse stesse di tradursi in araldica della vita. Ne sono testimonianza i romanzi che hanno a che fare col grande scrittore Jack London, Il mio cane del Klondike (2017) e Figlio del Lupo (2020), o col proprio genitore, Mario Petri, il celebre cantante lirico e attore, che suggestionò Herbert von Karajan e Maria Callas, protagonista di Le serenate del Ciclone (2015). Mondadori pubblica ora Rubare la notte dedicato alla figura struggente di Antoine de Saint-Exupéry, l’autore d’un libro celeberrimo, Il piccolo principe, il Tonio di queste pagine, «nato a Lione il 29 giugno 1900» da una famiglia speciale: «una delle più antiche di Francia, che risaliva per nobiltà alle Crociate». Il quale, nella lettera alla madre «carissima» del 27 febbraio 1928, scritta da Cap Juby nel deserto, si definisce così: «Continuo a considerarmi un buono a nulla anche se qui dicono il contrario. Saranno gli insuccessi nelle carriere precedenti?». E poi: «Continuo a ritenermi un uomo viziato e pigro, mi stanco con una certa facilità. E sono convinto che non troverò mai una donna da amare. Questo ve lo confesso come il mio più cocente dolore». Infine: «Sono venuto fuori così, diverso da come avrei potuto. Ma almeno ho voi, voi che sono sicuro mi apprezzerete sempre per quello che sono. E mi mancate molto».
Come già per Jack London Romana Petri controlla invidiabilmente la materia biografica su cui lavora: mentre s’avvale di quelle taumaturgiche doti di filologa dei sentimenti. Non c’è aspetto della movimentatissima vita di Antoine de Saint-Exupéry che non ci venga infatti restituito. Ma nemmeno un sentimento che non sia censito in quello che è anche l’abbecedario delle emozioni d’un esuberante uomo d’azione profondamente malinconico. A cominciare da quello non privo di morbosità per la madre che lo condizionò senza scampo nel rapporto con le donne, consegnato come fu ad amori molteplici e costitutivamente inconclusi: che ha la sua prima e tenacissima radice in quella magnifica infanzia nel castello di Saint-Maurice- de-Rémens della zia materna, ove «quel feroce amore» gli «si sarebbe stretto addosso come un mantello» e «con sempre maggior forza». Solo un’eco ci resta della vita precedente, lui bambino di quattro anni: la morte del padre per infarto, che, insieme a quella precoce dell’unico fratello (tre invece le sorelle), ci consentirà già ora di leggere «tutta la sua vita (…) come un tragico requiem dei legami maschili».
Gli studi a Le Mans, alla scuola dei gesuiti di Villefranche-sur-Saôn, a Friburgo, a Parigi. La tappa in Marocco -ormai aviatore- nella stazione aeropostale tra «i mauri con i loro schiavi» è però solo una di quelle che contraddistinguono l’esistenza inquieta di questo «svitato» molto amato da tutti. Qui ha anche tempo di ammaestrare un camaleonte e una iena. C’è da raccontare, a questo punto, dell’America: «Posso dire soltanto che, per quanto detestai Buenos Aires, cominciai ad amare la Patagonia». E dell’amore per Consuelo Suncin, vedova Gómez Carrillo, forse presentatale – ma è solo una delle versioni – dal critico letterario Benjamin Crémieux. E che dire del «periodo da reporter nella Guerra civile di Spagna»? E poi di New York, dove, partito da Lisbona, arriva come «una celebrità». Come non emozionarsi quando si legge d’un londoniano Klondike bar, in cui si caccia «via la paura della morte cantando e ballando fino a sudare “come maiali”»? O di fronte a quell’articolo che parla di lui apparso sul “Figaro”, mostratogli da un pilota, in cui è sottolineata una frase così: «Consigliamo a tutti i giovani in partenza per il fronte di mettere nel loro zaino una copia di Terra degli uomini del nostro grande scrittore e aviatore Antoine de Saint- Exupéry». Lasciamo al lettore il piacere di inoltrarsi, ipnotizzato dalla voce di Petri, dentro quella vita così folta di tutto. Ricordiamo solo le sue ultime missioni in Sardegna e in Corsica. Poi il libro postumo che voleva intitolare Cittadella. E infine quella morte misteriosa. Saint-Exupéry è continuamente in fuga da un centro («a mille miglia da ogni luogo abitato»), ma per incentrarsi sempre di più in sé stesso. Ancora una volta, come spesso capita nei romanzi di Petri, ci troviamo di fronte a un gioco d’azzardo sul rapporto tra biografia e letteratura, là dove il vero è certificato e insieme fantasticato. Il biografo si prova a restituire almeno qualche evidenza fattuale al grado zero di immaginazione. Chi romanza la vita, invece, reinventa quell’evidenza, pur dovendone dar conto. Inventare il vero in letteratura (secondo il latino invenire) non è altro che la riformulazione di un’antica alleanza: quella tra menzogna e sortilegio, nel momento esatto, però, in cui si immagina ciò che esiste già.