Il Messaggero, 24 febbraio 2023
Ritratto di Volodymyr Zelensky
Il politico e l’attore hanno molte cose in comune. Entrambi devono possedere carisma e passione, devono trasmettere ideali e sentimenti, avere memoria e capacità oratoria, devono saper mentire ed essere capaci di far sognare. Da quando è iniziata la guerra molti si domandano se l’Ucraina avrebbe resistito così a lungo, e così bene, se il suo leader non fosse stato anche un attore. Intendiamoci, nessuno accusa Volodymyr Zelensky di recitare quando fa discorsi al suo popolo o parla ai leader stranieri. Sono il modo efficace con il quale fa queste cose e la perfetta strategia comunicativa che ha adottato a incantare tutti. Se così tanti Paesi hanno deciso di aiutarlo è anche perché lo ha chiesto nel modo giusto, con i toni che ha imparato e affinato recitando nella serie tv Servo del popolo, grazie alla quale ha raggiunto la notorietà che l’ha portato nel 2019 alla presidenza.
Gli attori di Hollywood lo hanno adottato e ne sostengono la causa. Uno di loro, Arnold Schwarzenegger, è diventato governatore della California e altri due, Ronald Reagan e Donald Trump, sono arrivati alla Casa Bianca. Non tutti si sono rivelati all’altezza del compito una volta raggiunte posizioni di responsabilità, ma Zelensky si è invece comportato molto bene, mostrando doti di comando non comuni. «Sta mandando in onda se stesso, scattando selfie nel mezzo di una zona di guerra, rassicurando i suoi connazionali che è lì con loro, che condivide il loro pericolo e il loro dolore ha detto Paul Kolbe, ex ufficiale della Cia ora direttore dell’Intelligence Project presso l’Harvard Kennedy School Sta incanalando il loro coraggio e aiutando ad amplificarlo. La sua leadership è a dir poco sbalorditiva».
Zelensky si è calato nel personaggio di Davide contro Golia. Si veste da un anno nello stesso modo, con una maglietta verde di tipo militare, ha spesso le occhiaie scure di chi ha dormito poco, si mescola alla gente, si commuove, non nasconde le difficoltà. Sa adeguarsi a chi ha di fronte: a Westminster fa un discorso che i britannici possono capire, a Washington usa toni più adatti agli americani, con gli europei altri ancora. È bravo, intelligente e molto ben consigliato. Putin ha sbagliato fin da subito a sottovalutarlo, considerandolo poco più che un dilettante della politica, una facile preda che sarebbe caduta in pochi giorni nelle sue mani. Invece, fino a ora, è Putin a essere stato sconfitto, sul campo di battaglia come nelle strategie di comunicazione.
LA DIFFERENZA
Lo zar del Cremlino appare un despota solitario che tiene lontani gli ospiti all’altro capo di un lungo tavolo, che sparisce per giorni e non si mostra in giro, che manda decine di migliaia di ragazzi a morire pensando di partecipare a un’esercitazione. Ha accusato Zelensky di essere a capo di una banda di nazisti, ma neppure i russi ci credono: hanno tutti visto le sue serie televisive e i suoi film, compreso quello in cui impersonava Napoleone sconfitto da un caporale russo. Sanno che è un commediante e che non è malvagio; sanno anche che è ebreo, e che ha avuto membri della sua famiglia uccisi da veri nazisti.
Fortune, la rivista economica fondata nel 1930, ha fatto un paragone tra i due leader come se fossero dirigenti d’azienda. «Putin ha scritto era destinato a perdere la battaglia delle pubbliche relazioni. È un classico manager della vecchia scuola: severo, rigido e remoto. Non mostra alcuna emozione, non condivide dettagli personali. È difficile tifare per qualcuno di cui non sai nulla. Zelensky, al confronto, si presenta come un libro aperto. Vediamo foto della sua famiglia. Sentiamo sua moglie Olena Zelenska pronunciare suppliche appassionate. Guardiamo riprese video della risposta emotiva del presidente al fatto che può stare raramente con i suoi figli». Zelensky fa discorsi brevi, pone domande illustrando le soluzioni e usa frasi a effetto che non si dimenticano. Ha imparato dal “Veni, vidi, vici”, di Giulio Cesare, ma anche da Winston Churchill quando prometteva solo “sangue, sudore e lacrime”, e diceva a Hitler scandendo le parole: «Noi non ci arrenderemo mai». Quando gli Stati Uniti gli hanno offerto una comoda presidenza in esilio, Zelensky ha risposto: «Mi servono munizioni, non un passaggio». Quando ha parlato al Parlamento europeo ha detto: «Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedrete vivo». Frasi che restano impresse e dettano il titolo ai redattori dei giornali.
La politica di oggi è un gioco di performance nel quale vince chi sa che cosa dire, quando e come. Nel 2019 Zelensky è stato eletto perché anche in Ucraina si era provato senza successo con i politici tradizionali, e si voleva vedere che cosa gente nuova avrebbe potuto fare. Sembrava un ragazzo medio, un comico, una specie di buffone di corte. Prima della guerra la sua popolarità era già calata al 20%. Ora si è rivelato un cuor di leone che ha impressionato il mondo. «Gli ucraini ha detto al Washington Post Nataliya Roman, ex reporter della tv di Kiev non lo percepiscono più come un commediante. Ora è diventato un ragazzo serio che difende il suo Paese». E non sta solo recitando.