La Stampa, 24 febbraio 2023
La casa, la fortuna e il libro di Ian McEvan
Ian McEwan ha trascorso la pandemia nella sua villa di campagna, una tipica magione in pietra calcarea nascosta nelle dolci colline dei Costwolds, luogo iconico ai primi posti nei sogni di ogni inglese di successo di mezza età. O meglio, entrato nella terza età. La magione del settantaquattrenne McEwan – come racconta chi c’è stato – ha giardini e terrazze ben curati. D’estate è un tripudio di colori, grappoli di rose, delphinium e papaveri e in fondo a un prato erboso delimitato da un bosco che si apre su una valle incontaminata c’è un grande stagno con un molo e una barca a remi. Nove ettari di puro idillio campestre britannico, con un tocco da nouveau riche – una piscina a sfioro – non ostentata però, anzi coperta da una fitta siepe di bosso, come a voler mascherare questa piccola vergognosa concessione alla inaspettata ricchezza, lui nato da una famiglia della classe operaia. Suo padre era garzone di macelleria, sua madre cameriera. Ian è stato il primo della famiglia a proseguire gli studi secondari dopo i 16 anni.
Perché parlare della casa e della fortuna di McEwan per parlare del suo ultimo romanzo Lezioni, scritto in questo paradiso durante il lockdown? Perché le 575 pagine (tradotte per Einaudi da Susanna Basso) della diciassettesima fatica dello scrittore inglese, la più corposa finora, sono il ritratto e il racconto di cosa è successo alla generazione dei baby boomer, quella a cui lui appartiene, che hanno avuto tutto senza fatica e si ritrovano a sorseggiare un tè sul bordo di una piscina a sfioro, sentendosi moralmente colpevoli e senza rendersi realmente conto di come sia successo. Questo romanzo arriva dopo una sorta di trilogia più legata alla stringente attualità e dopo uno sfogo antibrexit (Lo Scarafaggio) dove ribaltando la metamorfosi kafkiana uno scarafaggio si sveglia nel corpo del primo ministro a Downing Street.
Qui invece è un McEwan inaspettato, che si addentra in una sorta di memoir (o anti-memoir) tradizionale. I bambini del dopoguerra, scrive McEwan, «si sono adagiati sul grembiule della storia, rannicchiati in una piccola piega del tempo, mangiando tutta la panna». Così è Roland, il protagonista di Lezioni. Lui è il prototipo di baby boomer. Un inetto trascinato dagli eventi, un Uomo Qualunque del dopoguerra, nel suo piccolo una nullità, che ha avuto l’unica fortuna di nascere al posto giusto nel momento giusto. A parte aver contrabbandato i dischi di Bob Dylan nella Berlino Est quando aveva vent’anni, Roland Baines non ha mai scelto, mai fatto qualcosa di memorabile. Si è lasciato vivere e il modo in cui Ian McEwan racconta il trascorre di questa esistenza passiva e consenziente ricorda molto le non scelte di Stoner nel meraviglioso romanzo di John Williams. Roland è tutti gli Stoner della sua generazione.
Roland sa che la sua vita è stata fortunata e ne prende coscienza in un punto preciso, quando in viaggio a Berlino, guardando le celle bianche del seminterrato che fu la sede del quartier generale della Gestapo pensa alla casualità della propria esistenza. «La fortuna accidentale era al di là di ogni calcolo: essere nato nel 1948 nel placido Hampshire, non in Ucraina o in Polonia nel 1928, non essere stato trascinato dai gradini della sinagoga nel 1941 e portato qui. La sua cella dalle pareti bianche – una lezione di pianoforte, una storia d’amore prematura, un’istruzione mancata, una moglie scomparsa – era in confronto una suite di lusso. Se la sua vita fino a quel momento è stata un fallimento, come spesso pensava, è stato di fronte alla generosità della storia». Lezioni misura la distanza tra una cella della Gestapo e la casa disordinata di Roland a Clapham. Anche McEwan ha vissuto in una casa a Clapham per cinque anni ed è uno dei molti riferimenti autobiografici che troviamo in Lezioni, a partire dall’infanzia di Roland, cresciuto in una base militare il Libia e poi mandato in Inghilterra in collegio nel Suffolk dal padre militare violento. Ian come Roland è nato nel 1948. Nel collegio statale a cui viene iscritto, il quattordicenne Roland incappa nelle lezioni di pianoforte di Miss Miriam Cornell (altro elemento di sovrapposizione biografica, ma Ian le abbandona: «Se avessi continuato, forse non sarei mai diventato uno scrittore. Ero così timido che sarei sprofondato nel pianoforte»). Che sono anche lezioni di sesso (e qui l’elemento biografico diverge), con una sorta di stupro da parte della “anziana” donna verso il ragazzetto. Un danno che secondo Mc Ewan segnerà tutta la vita di Roland, il quale si sforzerà per sempre di dare una forma morale al suo incontro con Miss Cornell, di definire «la natura del danno». «Passerai il resto della tua vita a cercare quello che hai avuto qui», lo avverte la signorina Cornell. «Questa è una previsione, non una maledizione». In verità sarà sia una previsione che una maledizione.
Le vite parallele di Ian a Roland da questo episodio in poi divergono e quella di Roland deraglia e sembra che McEwan la racconti per come avrebbe potuto essere la sua, senza trovare una risposta alla fortuna che invece l’ha portato al successo. Nel 1988 Mc Ewan ha vinto Booker Prize per Amsterdam; un paio di anni dopo, la Regina lo ha nominato Comandante dell’Ordine dell’Impero britannico. Ha vinto altri innumerevole premi, Chesil Beach e La ballata di Adam Henry sono stati adattati per lo schermo, e – ciliegina sulla torta – nel 2014 l’Harry Ransom Center dell’Università del Texas ha sborsato 2 milioni di dollari per assicurarsi il suo archivio (che consta di 71 scatole di documenti, 12 dischi di computer e un disco rigido).
È il caso che muove le vite? Quale lezione dobbiamo imparare? Quali insegnamenti la vita impartisce – o meglio infligge – a ciascuno?
Roland «andrà alla deriva in una vita non scelta». Al di là del contrabbando di dischi di Bob Dylan a Berlino Est a vent’anni, Roland non è mai spinto a fare qualcosa; è complice della sua compiacenza. Dopotutto, ha votato nel modo giusto: la sua coscienza è pulita. Andrà alla deriva nel matrimonio e nella paternità: la moglie Alissa lo molla con il figlioletto neonato Lawrence di appena sette mesi per seguire la sua vocazione letteraria e quando Roland, poeta fallito, si ritrova tra le mani il manoscritto del romanzo prodotto dalla ex moglie ha un colpo al cuore perché è maledettamente buono e sarà un successo mondiale. Se almeno Alissa avesse fallito, ci sarebbe stato lo spazio per una sorta di espiazione (e il riferimento a Espiazione di McEwan non è casuale). L’insegnamento sulla «natura del danno» passa attraverso le tre figure femminili: la timida madre, la moglie Alissa, e l’insegnante di piano Miriam. Roland prende schiaffi da tutte e impara lezioni che comunque non gli serviranno. Roland cambierà lavori senza passioni e attraverserà apaticamente la Gran Bretagna del dopoguerra. Il romanzo rifrange la Storia attraverso la sua vita seguita per otto decadi. Ci sono la riunificazione dell’Europa, la Glasnost e la Perestrojka, il Thatcherismo e la crisi dell’Aids, l’11 Settembre, Blair e il New Labour e l’invasione dell’Iraq, la Brexit e la pandemia: l’inetto Roland andrà alla deriva attraverso tutto questo. «In base a quale logica, motivazione o impotente resa, tutti noi, ora per ora, ci siamo trasportati nell’arco di una generazione dal brivido di ottimismo per la caduta del muro di Berlino all’assalto al Campidoglio americano?».
Questa è la domanda. Roland è la risposta di McEwan: un uomo che scambia sempre la sua indecisione per impotenza e le sue comodità per fortuna. Fino alla fortuna – o forse alla maledizione – di una piscina a sfioro nei Costwolds. Quanti baby boomers si sentono immeritamente possessori di una metaforica piscina a sfioro e di una famiglia, che nonostante tutto, reca qualche bagliore di felicità? Se lo chiede Ian ma anche il settantenne Roland, in una delle scene finali, mentre cena con il figlio e la nuora e i nipoti sono a letto e le finestre sono aperte sull’aria calda della notte. —