la Repubblica, 24 febbraio 2023
Chi è Keir Starmer
L’ascesa è così dirompente che a metà comizio, nell’arioso “The Co-Op” di Manchester, ieri a Keir Starmer scappa: «Beh, non è che potremo fare tutto nel primo mandato. Al resto ci penseremo nel secondo…». Ah, the irony!, direbbero gli inglesi. Eppure, solo fino a un anno fa, il Labour era condannato all’ennesima sconfitta alle elezioni del 2024, a 15 anni dall’ultimo governo di Gordon Brown: l’allora primo ministro Boris Johnson sembrava un golem inscalfibile, il neoleader Starmer era destinato a esserne la vittima sacrificale. Poi però, ecco lo scandalo Partygate delle feste in lockdown a Downing Street, i tories iniziano ad autodistruggersi con altre indecenze politiche. E così Starmer, ex algido procuratore capo della Corona, diventa improvvisamente strafavorito (+20 punti nei sondaggi) nella corsa per diventare il prossimo leader britannico.
Certo, l’harakiri dei conservatori è clamoroso e Starmer da mesi risponde con una tattica perfetta: cautela, moderazione e responsabilità. Ma soprattutto, il vero leader conservatore del Paese oggi sembra essere proprio Starmer: patriottismo e Union Jack dopo il defenestrato predecessore Corbyn che parlava di “Nato Frankenstein”, lotta dura al crimine, alienazione delle correnti di sinistra radicale e movimentiste nel Labour, veto ai deputati di partecipare a scioperi o picchetti (pena lasospensione), stretta a immigrazione «a basso costo per far salire i salari». Infine, addirittura lo scalpo del nemico: non solo la Brexit non si tocca, ma Starmer – seppur europeista convinto – si appropria anche dei suoi slogan, come “take back control”. «Sì, il Paese escluso da Londra o dal ricco Sud inglese aveva ragione: bisogna riprendere il controllo. E noi glielo daremo», promette Starmer, «con maggiore devoluzione: il destino dovrà essere nelle loro mani. Perché il mio Regno Unito saràquello delle opportunità e delle ambizioni.
Why not Britain? Perché nonpossiamo farcela?».
Certo, qualcosa di sinistra Starmer la dice: i diritti civili e sociali intoccabili (esclusa la confusione su quelli trans), la promessa di abolirela Camera dei Lord. Ma soprattutto «questo Paese deve essere più eguale. E saremo una superpotenza dell’energia pulita: entro il 2030 produrremo tutta la nostra elettricità a emissioni zero». Ma Starmer, che dal primo giorno ha voluto riconquistare la comunità ebraica dopo lo scandalo antisemitismo di Corbyn ora cacciato dal partito, punta soprattutto a due elettorati: i tory delusi da 13 anni di governi conservatori segnati da austerity, scandali e psicodramma dell’uscita dall’Ue; e poi gli operai di sinistra, i colletti blu brexiter e iforgotten men del centro e del Nord poveri d’Inghilterra che nel 2016 decisero l’addio alla Ue e nel 2019 fecero trionfare Boris Johnson. Perciò il leader Labour, ieri maniche di camicia bianca rivoltate come Tony Blair, non vuole riaprire le ferite della Brexit: «Non torneremo nella Ue e neanche nel mercato unico europeo, siatene certi. Ma avremo un rapporto più costruttivo con Bruxelles, a cominciare dall’Irlanda del Nord».
Eppure Starmer erediterà un Paese in pezzi, un buco da 50 miliardi lasciato da Liz Truss, la gloriosa sanità pubblica diventata una catastrofe, le conseguenze della Brexit che morderanno a lungo. Ma promette “cinque missioni”: sanità, clima, strade sicure, un Paese più giusto e poi «con me saremo la migliore economia del G7». Possibile? In ogni caso, come cantava D:Ream nell’inno blairiano Things can only get better, a questo punto forse le cose non potranno davvero che andare meglio.