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 2023  febbraio 24 Venerdì calendario

Se Anna Karenina fa la mamma single


«Mi sono sempre domandata come dovesse suonare la voce di molti personaggi incontrati fra le pagine dei libri, e in particolar modo quella delle donne, visto che a dare loro vita sono stati quasi esclusivamente uomini» scrive Alessandra Sarchi nell’introduzione a Vive! (HarperCollins, da oggi in libreria), la trasposizione cartacea di due stagioni di podcast di successo. Grazie a lei e all’attrice Federica Fracassi quelle voci si sono fatte sentire, chiare e forti, nella serie prodotta da Storielibere.fm e Piccolo Teatro di Milano in collaborazione con il «Corriere della Sera».
Adesso, a quelle stesse donne cui sono state prestate le corde vocali, l’autrice presta la penna, affinché possano mettere nero su bianco il loro punto di vista e magari modificare la conclusione della propria storia. E così sia. Dieci memorabili eroine letterarie si ribellano alla tragica sorte assegnata loro dai giganti della letteratura che le hanno messe al mondo fondamentalmente a soffrire ed espiare furti d’amore e amori furtivi: Virgilio, Dante, William Shakespeare, Marcel Proust, Alexandre Dumas, Jean-Jacques Rousseau, Lev Tolstoj, Gustave Flaubert, Luigi Pirandello, Henrik Ibsen.
Se potessero replicare, gli autori sosterrebbero probabilmente di non aver agito per sadismo, ma seguendo logiche e convinzioni morali del loro tempo. Alessandra Sarchi previene l’obiezione: come mai allora Flaubert condanna nel 1856 Emma Bovary, «che non è certo la peggiore dei personaggi mediocri e piccolo borghesi che popolano il suo romanzo, a una morte atroce, a un’agonia autoinflitta», mentre nove anni prima Charlotte Brontë, pur avendo messo la sua Jane Eyre, «nella peggiore condizione possibile, le concede la possibilità di emanciparsi, di conoscere sé stessa e il mondo»?
Più sincero, dunque, Allan Poe quando ammetteva che «non c’è niente di più poetico al mondo della morte di una bella donna», soprattutto se oltraggiosamente libera e libertina. Certo, modificare il finale di un capolavoro della letteratura può apparire un’operazione arbitraria, se non addirittura una profanazione, ma la scrittrice e saggista cita in proposito il personaggio di Ulisse: «Quante reincarnazioni ha subito dopo Omero, passando attraverso Dante, Tennyson e i romantici inglesi, Pascoli e Joyce, per citare solo gli autori più celebri?».
La riscossa contro lo stereotipo è guidata proprio dalla più nota delle adultere, madame Rouault, coniugata Bovary, che dall’oltretomba si rivolge direttamente al suo creatore con una lunga missiva: «Cher Gustave, sono io, Emma. Mi hai lasciata cadavere dalla cui bocca usciva l’inchiostro. Lo so, il veleno era arsenico, ma tu volevi che nell’agonia della morte sentissi salire alla bocca il gusto amaro dell’inchiostro». Non si sente nemmeno un po’ in colpa, monsieur Flaubert, per averla data in pasto ad amanti ipocriti, corrotti e indifferenti? «Non sarò più l’inchiostro di cui ti nutrirai, ma io stessa la penna che scrive», lo avverte lei. «Attraverso la scrittura dilaterò finalmente la mia vita».
E mentre Emma se ne va, finalmente libera, a Parigi, ecco sopraggiungere la regina Didone, rea di essersi concessa a una passione extraconiugale con Enea, tradendo la memoria del marito defunto e guadagnandosi un poco appetibile posto tra i lussuriosi nell’Inferno di Dante. Virgilio ha risolto la faccenda inducendola a trafiggersi il petto con la spada dell’amato, quando lui salpa per altri lidi. Ma la Didone di Alessandra Sarchi non ci sta. Perché avrebbe dovuto resistere all’attrazione per quel navigatore «bello come un dio e dolce come il vino»? Per evitare le chiacchiere della gente? Che sciocchezza! Era stata una storia intensa, degna di essere vissuta, finché era durata…
Risorgono in Vive! anche Francesca Da Rimini, Ofelia; e, vivaddio, ha rinunciato a gettarsi sotto un treno Anna Karenina che, in questo caso, non scrive a Tolstoj, ma alla cognata Dolly raccontandole la sua nuova esistenza da single assieme ai due figli, Serjoza (del marito) e Anna (dell’amante Vronskij), «perché io ora mi accetto per quella che sono: una donna che ha sbagliato in una società piena di sbagli, una donna che, ciononostante, non ha perso l’amore dentro di sé».
Non ha bisogno di un uomo per essere felice nemmeno Ersilia Drei che Pirandello ha indotto ad avvelenarsi in Vestire gli ignudi e che invece ora pareggia i conti con quanti le hanno avvelenato la vita. Trova (im)possibili reincarnazioni la cortigiana di alto bordo Marguerite Gautier, e forse lo stesso Dumas sarebbe compiaciuto da un finale alternativo al solito attacco di tisi per La signora delle camelie. Anche se non sarebbe mai riuscito a immaginarla nei panni di Holly Golightly o di Pretty Woman.
Alessandra Sarchi non trasforma le sue protette in femministe ante litteram, non cambia il loro linguaggio, non fa di Hedda Gabler (generata da Ibsen) un modello di virtù. Gioca con l’Albertine di Proust: non è vero che è morta cadendo da cavallo, come aveva appreso Marcel da un telegramma. È viva e vegeta, nella sua spensierata fluidità sessuale. Perché Vive! non significa sopravvissute, ma artefici del proprio destino.