Corriere della Sera, 24 febbraio 2023
Intervista ad Ale e Franz
Una sera di alcuni anni fa, alla fine di un loro spettacolo, una ragazza è entrata nel camerino di Alessandro Besentini e Francesco Villa – per tutti, più semplicemente Ale e Franz – e li ha guardati dritto negli occhi. «Ci ha detto: “Comunque io l’ho capito eh”. “Capito cosa?”, le abbiamo risposto. E lei: “L’ho capito che siete una coppia, insomma che state insieme... davvero si nota tanto”. “Beh, se lo hai capito tu allora regalaci qualcosa per la casa”».
Se non è amore, quello che da 28 anni lega questi due comici milanesi, poco ci va lontano.
Ale: «Di certo tra noi traspare un certo affetto, ma ci si ferma anche lì eh. Però di gente convinta che stessimo insieme, negli anni, e che ce lo ha detto con una sicurezza invidiabile ce n’è stata parecchia».
Franz: «Si diceva anche di Stanlio e Ollio, infondo. L’affiatamento è una base su cui costruire tutto il resto».
Amici, quasi fratelli nella vita, legati come fossero un unico nome in scena, Ale e Franz hanno conosciuto il successo più clamoroso, diventando dei pilastri di una trasmissione come «Zelig», dove li abbiamo visti – nei panni di due gangster o seduti su una panchina – segnare la storia della comicità milanese, ma non solo.
Se dovessimo raccontare l’inizio della vostra storia?
Ale: «Ci siamo conosciuti al Centro Teatro Attivo, a Milano, quando eravamo molto giovani: io avevo 21 anni, lui 25. Andavamo d’accordo, ridevamo per le stesse battute... ci hanno suggerito di provare a lavorare assieme e ci siamo detti: se va bene va bene, se va male pazienza».
È andata bene.
Franz: «Molto. Anche se abbiamo la consapevolezza di aver vissuto un momento davvero bello della comicità, che non c’è più. Non c’è rimpianto, ma il mondo si evolve e si avverte anche nel nostro lavoro. Venivamo dall’idea che nella comicità servisse lo studio, adesso si ride su TikTok per uno che si tuffa sul ghiaccio piuttosto che per chi fa una battuta. Va bene, solo abbiamo sperimentato quarlcosa di differente».
Ad esempio?
Ale: «Al Cta passavano un sacco di comici che stimavamo un sacco, li vedevamo lavorare. Natalino Balasso teneva un laboratorio domenicale, lo frequentavamo con grande impegno e dopo un po’ abbiamo deciso di provare a scrivere il nostro spettacolo, ci abbiamo messo mesi».
Franz: «Il nostro mito, quello forse fra tutti a noi più vicino, era Paolo Rossi, un vero riferimento. Eravamo appena arrivati a Zelig, al locale, e io e Ale stavamo appunto scrivendo quello che poi avremmo portato in scena. Nel vuoto, a un certo punto passa lui, Paolo Rossi. Aveva un appuntamento di lavoro e vedendo le luci accese era entrato nel teatro. Non so se si riesce a immaginare come siamo rimasti noi vedendolo».
Lo avete fermato?
Franz: «Subito. Gli abbiamo anche detto che stavamo scrivendo questa cosa e se poteva dirci cosa ne pensava. Lui ci ha ascoltati e alla fine ci ha detto: mi piace quello che volete raccontare».
Meglio di un diploma, insomma.
Ale: «Sì. Da lì a poco cambiarono molte cose. Zelig era un luogo dove se funzionavi bene, se avevi anche un po’ di costanza, allora potevi crescere davvero tanto. Era un palco che ti restituiva moltissimo, non solo a noi, ma a tutti i comici che sono passati di lì: era uno scambio di opportunità».
Grazie a quello scambio, avete conosciuto il grande successo.
Franz: «Sì, è così. Anche se ci sono degli episodi che ho nella mente a cui penso sempre quando si parla di successo. Ad esempio, non dimenticherò mai una serata, agli inizi, quando le cose andavano proprio bene. Dovevamo fare uno spettacolo con diversi altri comici, tra cui Aldo, Giovanni e Giacomo: erano al top della loro esplosione. Eravamo in un palazzetto dello sport e ricorderò per sempre il fragore delle risate del pubblico quando loro erano sul palco: si avvertiva proprio lo spostamento d’aria per via dei boati delle risate... non credo lo dimenticherò mai. Qualche anno prima, una regista ci aveva portati a vederli al locale dello Zelig e non eravamo riusciti a entrare per tutta gente che si accalcava. Lei allora ci ha fatto fare un giro per farci affacciare da una finestra, dall’esterno, e vederli da lì. “Imparerete qualcosa in ogni caso”, ci disse».
E così è stato.
Colpo di fulmine
Ci siamo incontrati ventenni, la prova che andavamo d’accordo era che ridevamo alle stesse battute. E così ci suggerirono di provare a lavorare insieme
Ale: «Nella nostra prima edizione televisiva di Zelig facevamo i due gangster andando in onda dopo mezzanotte, eppure la prima avvisaglia che le cose stavano cambiando l’abbiamo avuta poco dopo, quando in un tour in collettivo, davanti a una platea di più di 20mila persone, ci acclamavano tipo curva dell’Olimpico».
Cosa funziona nel rapporto tra voi?
Ale: «Franz è già di suo un personaggio, con tutte le sue manie, le sue metodicità... è molto preciso, al contrario di me. Di solito si va d’accordo quando il difetto di uno è compensato dalle qualità dell’altro e direi che tra noi va così».
Franz: «Una nostra grande qualità è che ci stimoliamo sicuramente a vicenda e poi che finita una cosa si gira pagina per entrambi e ci si rimette in gioco. Con mille dubbi e anche con le incertezze che avevamo quando facevamo le prime serate nelle birrerie e ci davano un solo microfono anche se eravamo in due... quella che si dice la gavetta... però ti premetteva di fare esperienza. Oggi vedo invece un sacco di gente inesperta proposti davanti a pubblici immensi, anche di milioni di persone e lì si provano emozioni che, invece, solo l’esperienza ti insegna a gestire».
Siete mai stati in disaccordo su alcune scelte artistiche?
Ale: «Non è mai successo, forse perché abbiamo creduto sempre che quello che presentiamo al grande pubblico va prima ponderato bene e valutato poi messo in scena con la convinzione di entrambi: se non ne ridiamo noi è difficile trasmettere qualcosa».
Franz: «Al tempo stesso, però, abbiamo fatto anche uno show sull’improvvisazione, “Buona la prima!”. La prima volta però è stato tutto involontario: stavamo registrando delle puntate di Zelig, facevamo il nostro noir ed eravamo proprio cotti per via dei ritmi. A un certo punto, non ci siamo più ricordati niente, ma proprio niente. E abbiamo iniziato a improvvisare. Siamo andati avanti per dodici minuti, si trova ancora il video sul web».
Cosa rappresenta il cinema per voi? La sensazione è che ci sia ancora dell’inespresso: è così?
Franz: «C’è dell’inespresso, c’è il desiderio di raccontare cose che con la maturità stanno affiorando. Certo, anche il cinema sta radicalmente cambiando la propria funzione comunicativa, in tutto il mondo, non solo da noi. Ma ci piacerebbe tornare a fare film, la sentiamo come una cosa molto vicina a noi».
Ale: «Abbiamo avuto delle bellissime esperienze, anche con grandi registi come Salvatores, in Comedians, ma non siamo ancora usciti dall’ottica di progettare un film nostro. Sono anni che abbiamo in mente qualcosa e anche se forse oggi sarebbe forse un po’ imprudente, perché non abbiamo un grosso posizionamento al cinema, comunque non è una cosa che abbiamo abbandonato. Assolutamente. Ci stiamo anzi pensando seriamente adesso, in questo periodo».
Passiamo al lato umano: siete uno per l’altro la prima persona che si chiama quando succede qualcosa che non va?
Ale: «Certo. Dopo tanti anni insieme in questo lavoro, ognuno di noi ha confidato e portato anche nel nostro rapporto quello che gli succedeva nella vita, nel bene e nel male. Abbiamo condiviso tutto come due fratelli, più che due colleghi: passando così tanto tempo assieme, anche fuori casa, in tournée lunghissime, si arriva a una completa confidenza. Sentimentalmente ho fatto più danni io della grandine e lui mi dava i consigli... da che pulpito poi...».
Franz: «Sì, in effetti non è che su quel fronte io sia molto meglio di lui. Siamo diversi ma anche molto simili. Ale è una persona che mi fa sempre molto ridere, anche fuori dal palco. Il comico vero è quello che sa cogliere la comicità che c’è attorno a noi, trova battute nelle situazioni più impensabili, non perché deve far ridere, ma perché deve dirle. Una volta eravamo in aereo e stava passando la hostess con il carrellino del cibo. “Hai fame”, gli ho chiesto. E lui: “Mi viene fame in montagna figurati se non mi viene a 16mila metri di altezza”. Ecco, essere un comico è un modo di vivere e lui lo è».
Mai pensato di vivere assieme?
Ale: «Ma noooo, ci ammazzeremmo. Con tutto il tempo che passiamo assieme ci manca solo rientrare in casa e ritrovarci anche lì. Sarebbe difficoltoso».
Franz: «Il nostro matrimonio è riuscito perché non è stato consumato. Forse il segreto per far funzionare i matrimoni è proprio non consumarli».
Dei giovani comici hanno mai detto a voi quello che voi avevate detto a Paolo Rossi?
Ale: «Succede, sì. Così come avverto che anche io non ho più quell’incoscienza che avevo all’inizio, che aiuta tanto a buttarsi, a provare, a non aver paura di fallire. Ma compenso con l’esperienza, che all’inizio non c’era».
Franz: «Arrivano tanti ragazzi a dirci: “Grazie, siamo cresciuti con voi”. È successo a una generazione di loro. Del resto, per Sanremo con 12milioni di spettatori si è parlato di ascolti record, ma ogni puntata di Zelig arrivava a farne almeno dieci... un altro segno che il tempo è cambiato. Oggi la parola d’ordine è la trasgressione ma con un significato così ridimensionato... vedo solo un gran bisogno di apparire che svuota il termine stesso del suo valore. Ancora una volta mi torna in mente Paolo Rossi, un uomo che ha vissuto qualsiasi esperienza, e che dice: oggi la vera trasgressione è rimanere lucidi».