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 2023  febbraio 24 Venerdì calendario

Putin ha perso


«Una battaglia persa è una battaglia che si è convinti di aver perso», scriveva agli albori del secolo XIX il conte Joseph de Maistre, ambasciatore del Regno di Sardegna presso la corte dello zar a San Pietroburgo. «È l’opinione a far perdere le battaglie, ed è l’opinione a farle vincere». Quello che de Maistre diceva per le battaglie vale anche per le guerre. Secondo tutti i criteri oggettivi, Vladimir Putin ha già perso la guerra criminale scatenata unilateralmente appena un anno fa, il 24 febbraio 2022. Nessuno dei suoi obiettivi iniziali è stato raggiunto, ovvero la rapida conquista di gran parte del Paese, il rovesciamento del governo di Volodymyr Zelensky e l’insediamento al suo posto di un capo di Stato fantoccio che avrebbe ricondotto una volta per tutte l’Ucraina nell’orbita russa. L’esercito russo ha visto decimati nei primi mesi di guerra i suoi reggimenti di punta, i più addestrati e meglio equipaggiati, ha perso più di duecentomila uomini, tra caduti sul campo e feriti, come pure la metà dei suoi mezzi corazzati, ha svuotato le riserve dei suoi missili di precisione e svelato la sua debolezza agli occhi del mondo. Oggi la Russia è in gran parte isolata, tagliata fuori da quasi tutti gli scambi mondiali, la sua economia si indebolisce giorno dopo giorno sotto il peso delle sanzioni più massicce mai imposte finora a nessun Paese, e ha perso definitivamente il suo mercato naturale più redditizio per gas e petrolio. Per di più, la parte migliore della sua élite oggi vive in esilio. La conseguenza a lungo termine più evidente di questa guerra, e la più inoppugnabile, sarà la sudditanza completa del Paese alla Cina. Gli Stati Uniti, con una spesa pari al 5 percento del loro bilancio annuale per la difesa, devoluto a favore delle forze armate ucraine, hanno annientato, o gravemente fiaccato, il 50 percento della capacità militare russa. Eppure, Putin è convinto di non aver perso la guerra. Anzi, prosegue per la sua strada e negli ultimi giorni ha ordinato una nuova massiccia offensiva per assicurarsi il controllo delle province di Lugansk e Donetsk.
Com’è possibile? Molto semplicemente, perché gli facciamo credere che non ha perso; e perché non stiamo facendo tutto ciò che è necessario per obbligare lui – o per lo meno la sua cerchia più stretta, che sicuramente lo abbandonerà in caso di sconfitta – ad accettare di aver perso la sua guerra. E la colpa è da ricercare indubbiamente in quella nostra vena di insicurezza e vigliaccheria, che questo ex agente del Kgb sa fiutare benissimo sotto tutti i nostri interventi, per quanto robusti, a favore dell’Ucraina. Nonostante quanto accaduto da un anno a questa parte, non abbiamo ancora imparato a smetterla di inviargli ripetuti segnali di debolezza, per dirigere invece verso di lui un messaggio univoco, forte e credibile: hai perso, metti fine a questa guerra e siediti al tavolo dei negoziati, se non vuoi che le tue forze in Ucraina vengano travolte e annientate senza pietà, con tutti i mezzi disponibili.
Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, è diventato un maestro sopraffino del giochetto della falsa dimostrazione di forza, che ormai non trae in inganno più nessuno, a tal punto che gli ucraini hanno coniato un nuovo verbo dal suo nome, scholzing, che si traduce con: «Comunicare le proprie buone intenzioni e subito dopo cercare/sfruttare/utilizzare tutte le ragioni possibili e immaginabili per dilazionarle e/o impedire la loro realizzazione».
Emmanuel Macron, dal canto suo, sembra aver finalmente capito che non serve a nulla ripetere in tutte le salse che «non bisogna umiliare la Russia». Oggi il presidente francese dichiara che «la Russia non può vincere e non deve vincere». È già molto meglio, anche se non osa ancora spingersi ad affermare che la Russia deve perdere questa guerra con una sconfitta schiacciante.
Malgrado gli incessanti interventi per accorrere in aiuto dell’Ucraina, le potenze occidentali continuano a ribadire, quasi a malincuore, i propri limiti. La posizione americana iniziale, netta e razionale, bastava eccome: non invieremo soldati della Nato a combattere sul campo e non avanzeremo mai pretese sul territorio legittimo della Federazione russa (a differenza dell’annessione illegale dei territori ucraini da parte della Russia). Ma sin dall’inizio sarebbe stato opportuno aggiungere alle precedenti dichiarazioni: faremo ricorso a tutti i mezzi possibili per respingere le truppe russe fuori dai confini ucraini. E allora, perché mai ci sono capi di Stato che si ostinano a protestare, alzando persino la voce, che non bisogna dare aerei da combattimento, né missili a lunga gittata, né questo, né quello? Abbiamo riflettuto su come Putin interpreterà tali messaggi? «Vladimir, malgrado tutto quello che ci hai dimostrato, noi abbiamo ancora paura di te. Abbiamo paura dei tuoi missili e delle tue bombe nucleari. E per assicurarti la nostra buona volontà, continueremo a combatterti con una mano legata dietro la schiena». Ecco come Putin interpreta la nostra volontà incrollabile di appoggiare l’Ucraina.
Il leader russo non mira soltanto alla conquista dell’Ucraina, bensì
alla disfatta totale dell’ordinamento della nostra società e del nostro stile di vita, della nostra libertà
Lo scorso novembre, un missile è caduto su una fattoria polacca, uccidendo due civili. Vladimir Putin, per un attimo, deve aver tremato di paura: e se la Nato avesse invocato l’articolo 5? Ma niente affatto, è stato prontamente rassicurato. Non si è perso un attimo per confermare che si trattava di un missile della difesa antiaerea ucraina, lanciato per errore in senso opposto. Ancora una volta si pensava, in buona fede, di evitare l’escalation. Poco importa se il missile sia stato ucraino oppure no: i russi, al nostro posto, avrebbero gridato alla provocazione della Nato, e di certo non capiscono come mai non abbiamo saputo sfruttare l’incidente per inviare un messaggio in grado di destabilizzarli, preferendo invece ricorrere a una desolante ammissione di debolezza. Putin ne ha tratto, e a ragione, la conclusione che l’Occidente avrebbe fatto di tutto per evitare il benché minimo inasprimento del conflitto, e che lui, Putin, avrebbe potuto continuare ad agire indisturbato in Ucraina. Di qui, indubbiamente, la decisione di ordinare un nuovo arruolamento in Russia e di rilanciare l’offensiva nel Donbass, del tutto indifferente al numero delle vittime tra i suoi soldati, la cui vita non ha, ai suoi occhi, alcun valore.
E gli ucraini? Loro sono convinti di aver vinto, di aver già vinto, e mordono il freno davanti all’incomprensione con cui sono costretti a scontrarsi tra gli alleati occidentali, che rifiutano ancora di rifornirli dei mezzi per finire il lavoro. La consegna di armi al contagocce rappresenta per loro una vera tortura. I rifornimenti arrivano sempre con eccessiva lentezza, mesi e mesi dopo il momento propizio in cui avrebbero potuto alterare definitivamente gli equilibri strategici. Se l’Ucraina avesse ricevuto a novembre i carri armati che solo oggi sono stati promessi, avrebbe potuto proseguire l’avanzata a Lyman e Kherson e riprendersi gran parte della provincia di Lugansk, tagliando il «ponte terrestre» russo tra la Crimea a il Donbass nella zona di Melitopol. La situazione sarebbe oggi molto diversa e il Cremlino, ritrovandosi in una posizione di drammatica debolezza, si vedrebbe costretto a sedersi al tavolo dei negoziati. E invece la guerra continua a infierire, devastando città e vite ucraine, e infliggendo allo stesso tempo pesanti danni all’economia europea.
Gli ucraini, che subiscono perdite altrettanto tragiche dei russi, possono mettere fine a questa guerra atroce nell’anno in corso. Hanno a loro disposizione quasi tutto il necessario: un milione di volontari ben armati e decisi a battersi, un’ottima struttura di comando e di controllo, padronanza della guerra moderna e delle sue tecniche più sofisticate (integrazione interarmi, utilizzo in tempo reale di ogni tipo di intelligence, visualizzazione informatica evolutiva del campo di battaglia, ecc.), una vera capacità d’innovazione e adattamento, e in più la motivazione incrollabile di difendere il loro Paese contro una minaccia esistenziale. Agli ucraini mancano solo alcune categorie di armamenti, quelle in grado di avvantaggiarli davanti all’unica forza di cui dispone ormai la Russia, ovvero la massa delle truppe e la volontà di servirsene senza freni e senza limiti.
I nostri Paesi, perlomeno quelli dell’Europa occidentale, non sembrano essersi resi conto della minaccia esistenziale che grava sull’intero continente. Vladimir Putin non mira soltanto alla conquista dell’Ucraina, bensì alla disfatta totale dell’ordinamento della nostra società e del nostro stile di vita, con le nostre libertà, la nostra apertura, la nostra democrazia imperfetta, eppure irrinunciabile. È come se nel corso degli ultimi settant’anni di pace abbiamo dimenticato la ragione per cui è stata creata l’Unione europea: per impedire il ripetersi di una guerra tra le nazioni sul continente europeo. Quel sogno, il sogno dei padri fondatori, si è trasformato col tempo, anche dietro le pressioni dell’allargamento dell’Unione, in un’integrazione economica seguita da una colossale macchina burocratica. Strada facendo, la geopolitica si è dissolta tra le mille normative e le infinite procedure decisionali. E oggi, proprio per la nostra debolezza e vigliaccheria di questi ultimi vent’anni davanti a una palese minaccia, è ricomparsa la guerra, volenti o nolenti, con la geopolitica al traino.
Quando qualcuno vi costringe alla guerra, esiste una sola soluzione: vincerla. Gli ucraini hanno ragione, mille volte ragione, di dire che il loro sangue è versato in difesa dell’Europa. E a tutti quelli che tremano, pensando alla possibilità di una «Terza guerra mondiale», è ora che capiscano che la Terza guerra mondiale è già in corso, è stata innescata dalle azioni di Vladimir Putin e tutti vi siamo coinvolti, Europa e Stati Uniti, oltre a Cina e Paesi africani, con questi ultimi che patiscono la fame causata sia dall’invasione russa che dai dittatori puntellati al potere dai mercenari del Cremlino. Quanto a lui, Putin sa di essere coinvolto in una guerra totale, lo ripete a gran voce e si comporta di conseguenza, sapendo benissimo che è in gioco l’esistenza del suo regime, oltre alla sua personale. Pertanto farà di tutto non soltanto per usurpare più territorio possibile in Ucraina, ma anche per attaccarci e nuocerci direttamente. Le ingerenze elettorali, la disinformazione complottista su internet, il sabotaggio dei gasdotti, i droni sopra le infrastrutture strategiche nel mar Baltico e nel mare del Nord, la violazione delle acque e degli spazi aerei europei non sono che l’inizio, un modo per saggiare le nostre reazioni e vedere fin dove potrà spingersi in seguito. Putin rifiuta di ammettere la sconfitta, ma nemmeno noi possiamo permetterci il lusso di perdere, a costo di veder scomparire tutto ciò a cui teniamo maggiormente. Nessuno di noi, qui in Europa, è disposto a vivere in un mondo dove i principi darwiniani sono dettati dalla Russia e dalla Cina, un mondo dove il più forte spadroneggia come vuole e il debole è costretto a chinare la testa, o a morire. Tocca a noi, infine, decidere di vincere. La vittoria dell’Europa, in questa guerra che non abbiamo voluto, passa attraverso la vittoria dell’Ucraina. E dobbiamo cominciare a crederci.