Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  febbraio 23 Giovedì calendario

Si fa prima ad andare da Roma a New York che da Trapani a Catania

Nelle lounge Frecciarossa, nelle carrozze silenzio dei treni ad alta velocità che vanno da Roma a Milano senza neppure più fermarsi nel «nodo ferroviario» di Bologna non li vedi e neppure riesci a immaginarli. Battono altre piste, hanno diverse insegne, sono prigionieri di più ristretti confini e soprattutto seguono tempi loro. L’Italia è una, ma quando si sposta su rotaia conosce due fusi orari: quello dei convogli aerodinamici di Trenitalia e Italo che più o meno rispettano i tabelloni delle promesse e quello dei treni regionali, che sovverte ogni aspettativa mettendo in dubbio non soltanto il «quando» (arriva), ma anche il «se».
Quasi mai condividono la stessa stazione. Se accade, come a Bologna, l’alta velocità si fa la sua tana, sotterranea e invisibile. Sono mondi opposti ancor prima di partire. Sopra c’è un atrio piccolo, dove stare ammassati, multietnici e affannati, davanti a binari paralleli di cui non si vede l’ultimo. Sotto c’è uno spazio enorme, un deserto in cui vagare, ma i binari sono soltanto quattro. Il richiamo degli arrivi e partenze è tuttavia costante, la fretta dei passeggeri ripagata. Sopra regna una flemma imposta dai rinvii. In altre città, come Roma, i treni più lenti, se non in altre stazioni, sono dirottati a centinaia di metri dall’ingresso, dove chi non li prende non li può vedere, ci si arriva già stanchi e il binario ha una numerazione che richiama Harry Potter. Che ci si sia anche la carrozza è un incantesimo: ogni volta stupisce.
Nell’Italia a gironi chi vive in quello dell’alta velocità non conosce le tratte dei pendolari. Non sa per dove non parte questo treno allegro. Se deve andare da Napoli a Sorrento prenota un’auto. Quel che resta della Circumvesuviana lo considera come Pompei, o Ercolano: rovine che si mantengono per la disponibile meraviglia del turista, specialmente straniero. Anche per il 2023 è stata eletta la linea ferroviaria peggiore d’Italia e la notizia è stata accolta con ironia nella pagina Facebook Circumvesuviana, guida alle soppressioni e ai misteri irrisolti: «Battute le due squadre romane (Roma Nord-Viterbo e Roma-Ostia Lido), Milano schiantata. Quest’anno Napoli è inarrestabile». Quando le cose non funzionano si protesta, quando non c’è più speranza subentra una specie di orgoglio da record, frammisto a una disperata ironia che ha portato alla creazione di «Roma fa schifo» e «Vesuviana state of mind». Quali i misteri senza soluzione delle linee regionali? Facile: esistono davvero i controllori? Sì, ma per tranquillità non si aggirano. Come si comportano il tempo e lo spazio in questo universo? Come pare a loro, a giorni alterni e fermate a richiesta. Può capitare di salire sul Torino-Ivrea (una delle linee relativamente migliori) all’ora di rientro da scuola, essere sospinti in avanti dalla calca alla ricerca di un posto, fino a trovarsi incastrati tra due vagoni, proprio davanti alla scritta: «Vietato sostare tra due vagoni». E da lì proseguire in apnea fino alla destinazione finale.
Le ferrovie siciliane sono un multiverso, una dilatazione cosmica che copre la tappa Trapani-Catania (300 km) nello stesso tempo (9 ore) di un volo Roma-New York (6.889 km). I binari, come i cieli, sono gli stessi di un secolo fa. Sanne Derks, fotografo olandese, un anno fa aveva deciso di viaggiare su tre di queste linee: la Circumetnea, la Siracusa-Gela e la Piraineto-Trapani. Si era aspettato lo charme delle piccole cose e quella miseria così nobile adornata dalla resa. Aveva programmato due giorni e mezzo di viaggio, immaginando di saltare da un treno all’altro, con l’odore di zagare che lo seguiva dai finestrini abbassati. Tra cancellazioni, ritardi e deviazioni ne impiegò il doppio, trovandosi per lo più a bordo di autobus sostitutivi che non restituivano la poesia della locomotiva. Tuttavia lo straniero è incline a trovare in questo quotidiano sfacelo un carattere del Paese, una delle ragioni per cui attraversarlo con andamento lento. Il suo entusiasmo non contagiò Giuseppe Mandolfo, pendolare che saliva su quel treno incerto cinque giorni alla settimana per andare a studiare all’accademia di polizia, ma spesso arrivava in ritardo e talvolta non arrivava proprio. Da Trapani a Palermo impiegò sette ore anche Matteo Salvini, in campagna elettorale, nel 2017. Promise «nuove infrastrutture». Ora che ne è ministro lo ripete, ma premette «anche». Prima, mette il Ponte sullo Stretto.
Intanto i convogli regionali invecchiano, ma proseguono stantuffando. Sulla Roma Lido quelli della Cotral hanno 33 anni di media contro i 12 di Trenitalia. Ne passa uno ogni mezz’ora invece che ogni quarto d’ora. Si firmano petizioni contro i «pollai» (banchine e convogli) e si ottiene una “sottiletta” (un aggiuntivo ogni ora e mezza). I bagni si rompono. I vandali lanciano sassi contro i finestrini. Ogni tanto, come per gli autobus di Roma, capita un incendio. Così si conviene ai giorni infernali. —