la Repubblica, 23 febbraio 2023
Intervista a Ron Rash
Ron Rash è nel suo studio tra le Smoky Mountains,nella Carolina del Nord, e prepara ibagagli perun viaggio in Italia (sabato sarà al festival Testo, a Firenze). Qui sono stati tradotti tre dei suoi romanzi. A ritroso:Laterra d’ombra,Un piede in paradiso
(La nuovafrontiera) eUna folle passione (Salani) da cui fu tratto un film conJennifer LawrenceeBradley Cooper,maa nominarglielo si copre gliocchi cercando di dimenticare. Le sue sonostorie diamore e ditenebra, diconfine e dicambiamento, dove gli uominie soprattuttole donne cercano di ribellarsi alla sorte e alla natura.
È di questo che verrà a parlare?
«Verròsoprattutto per vedere, ascoltare,conoscere. Èla mia prima volta in Italia. Ed è un sogno che si realizza:più ancora che per me,per mio padre. Lui era un artista: dipingeva, scolpiva, lavorava la ceramica. Desiderava vedere Firenze, gli Uffizi, le opere di Michelangelo.
Cercherò di essere i suoi occhi. E poi, nonso, da sudista miaspetto di trovare più affinità con gli italiani che, per dire, congli americanidel New England».
Lei non ama la visibilità, è uno scrittore appartato. Ha sostenuto che per alcuni autori, come Truman Capote, è stata controproducente.
Pensa di farcela ad affrontarla senza pagarne le conseguenze?
«Ci provo. Èuna cosa stressante,ma hai suoi lati piacevoli: incontrare lettori e altri scrittori. Vede, io da giovanenon ho potutoviaggiare molto,non avevo soldi per farlo.
Questache mi vieneofferta aquasi settant’anni è un’opportunità esono contentodi coglierla. Così come lo sonodi nonavere avuto successo subito. Èuna cosa che ti puòfar deragliare. Ho ricevuto molti rifiuti, mahocontinuato,anche perché riconoscevo di dover migliorare, ora sono soddisfatto. È una delle due cose che ho saputo fare nella vita. L’altra è il padre. Ecomunque, alritorno da questo viaggio me ne starò quindici giorni in assoluta solitudine, fatta eccezionepermiamoglie e neppure sempre».
In quello studio fra le montagne scrive tutti i giorni e per ore?
«Assolutamente. È un esercizio. Direi un allenamento.Da giovane sonostato un buon atleta, correvo gli ottocento metri. Sono andato a un soffio dalla qualificazione per l’olimpiade. Mi ha insegnatola costanza. Perquesto mi siedo alla scrivania ogni giorno, per almeno seiore. Se stoscrivendo un romanzo,dei racconti o poesie, mici immergo.Sennòaspetto che si presentinellamente uno spuntoe di solito arriva».
In quale forma?
«Un’immagine,comincia semprecosì. Unadonna acavalloè diventata Serena, ovvero Una folle passione.Un uomoche suonailflautonelbosco ha avviatoLa terra d’ombra.
Quell’immaginepuò diventareuna poesia, poi trasformarsi in un racconto eda lì, se ne ha laforza, in un romanzo. Èunprocesso che avviene senzache io faccia pressione. Anzi a volte mi spavento:oddio, ecco il romanzo. È un’ossessione, un mondo che miattira eda cui nonposso fuggire.
Praticamente cicado dentro e vivo lì quanto nella realtà, forse di più».
Lei ambienta le sue storie nel passato per raccontare il presente; inpiccoli luoghi per parlarci di ciò che può accedere ovunque. Come raggiunge l’effetto universalità?
«Si forma da sé. Il passatoè un’eco che arriva fino a noi.
Levicende che coinvolgonovalori condivisinonhanno unluogo,un limite territoriale».
C’è una sua frase che mi ha colpito: «Il paesaggio è un destino». Può spiegarmi che cosa intende?
«Potrebbefarlo benissimo la lettura di un autore italiano: Tomasidi Lampedusa.I personaggi delGattopardo hanno lasorte segnata dall’ambientein cui vivono. Quel che intendo è chenascere e vivere in un luogo determinala percezione del mondo.Prendiamoquesti luoghi, in cuiagiscono i miei personaggi, queste montagne.Chivive inmontagna vive in realtà nelle valli, le montagne proteggono,danno sicurezza, ma al tempostessocon laloro maestosità ricordano la finitezza e l’insignificanza dellevite umane. Epoi la mancanzadi sole: induce al fatalismo. Lo vedo nella miafamiglia. Ci si sente preda di un destino inesorabile».
Non si può andare via? Alcuni suoi personaggi lo fanno. Anzi, i veri motori delle storie sono forestieri che arrivano da un altrove,fuggitivi…
«Distinguiamo.Io sonorimasto per scelta. Molti autori del sud hanno sceltodiversamente, ma non ho rimpianti. Quanto aimiei personaggi, sonoliberi. Vannoe vengonocome decidono loro. Scrivo senza scaletta, a voltemi stupisco di quelche accade sotto i miei occhi. Più scrivo e più aumentail mistero.Mi chiedo chi siano maiquesti, perché reagiscano in quel modo. Il libero arbitrio per le persone,non so. Peri personaggi, sicuro. Attraverso le scelte e i conflitti si rivelano».
“La terra d’ombra” contiene un’affermazione che viene ribadita nel finale, come fosse la morale della favola: Mozart richiede sofferenza. È vero che l’arte richiede sofferenza?
Che per scrivere un romanzo autentico bisogna aver sofferto? O è una postura?
«Credocheconsentauna maggiore empatia. Occorre soffrire per capire la vita. Averlo fatto ti consente di vedere il dolore altrui, di rifletterci. Vale per me?Credodi sì. Lamia sofferenza riguarda l’infanzia: mio padre era depresso, ha dovutoessere ricoverato in un istituto. Alcuni personaggi li capiscomeglio per questo».
E tuttavia non li domina, non li guida. Il suo romanzo preferito è “Delitto e castigo”. Nei suoi libri ci sono molti delitti e altrettanti castighi, quasi sempre auto-inflitti.
Questione di coscienza?
«Neppureinquestodecidoio. Lo fannoi personaggi.Non sono il loro avvocato, né il giudice, sono un testimone.ComeFaulkner, semi chiedesse diche cosa scrivo risponderei: della gente».
E della natura…
«Sì,la natura è un personaggio delle mie storia. Il paesaggio, le montagne.
L’acqua, soprattutto. Sono battista: il battesimoche riceviamo è al limite dell’annegamento.Il mio primo ricordodi vita èun piccolo lago. Sono circondato da fiumi pericolosi. Vedo nell’acqua una tremenda forza divita e dimorte. E temola siccità comeun male chepuò distruggere laTerra.