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 2023  febbraio 23 Giovedì calendario

Vasco Rossi parla dei due Lucio, Dalla e Battisti

“Erano due giganti”.
I due Lucio, Dalla e Battisti. Nati ottanta anni fa a un giorno di distanza, il 4 e 5 marzo 1943, per un’irripetibile congiunzione astrale, caro Vasco Rossi.
Così profondamente diversi l’uno dall’altro. Mi affascinano entrambi. Hanno segnato in profondità non solo il percorso della nostra musica, ma anche il mio cuore e la mia anima. Però….
Però?
Io mi sento discepolo… addirittura erede. Anzi, figlio diretto della coppia Mogol-Battisti. Vengo da quel mondo lì.
Parliamone.
Mi riconosco totalmente in quel modo di scrivere e di interpretare. Battisti ha rivoluzionato la musica italiana: un vero genio non solo dal punto di vista compositivo, ma anche degli arrangiamenti. Vent’anni più avanti rispetto a tutti gli altri.
Qualcuno lo considerava stonato.
Aveva un timbro espressivo abbastanza improbabile, ma al tempo stesso era potente ed estremamente comunicativo. Non era affatto stonato. La sua eccezionale capacità di raccontare arrivava direttamente al cuore. Poi, vabbè, magari nei concerti non arrivava a riprodurre virtuosismi come nei dischi, quindi a un certo punto smise di esibirsi dal vivo. Chissà: forse per evitare problemi non avrà trovato la maniera e il tempo per impegnarsi anche su quel fronte.
Lo vide mai sul palco?
Purtroppo no, non ho avuto la fortuna di sentirlo cantare o di conoscerlo personalmente. Mi avrebbe fatto molto piacere, per me era un mito. La prima sua cosa che ascoltai fu Balla Linda: ho 16 anni, resto folgorato. Sembrava una canzoncina, invece era un capolavoro di freschezza e novità.
Se Battisti fosse vivo oggi, gli proporrebbe un duetto?
No, semplicemente lo abbraccerei, senza dirgli nulla. Gli farei sentire così la gratitudine per tutto quello che mi ha dato e fatto per il nostro patrimonio artistico, per la cultura popolare. Io penso che…
Che?
…che con le mie canzoni, quelle scritte da me, lo omaggi costantemente. Ho sempre cercato di essere un po’… un po’… un POC…o me… come è stato lui!
Talmente grande, e così italiano che il mercato anglosassone non seppe come accoglierlo.
Lucio era portatore di una proposta italiana originale e all’avanguardia, così ‘oltre’ rispetto alle nostre canzoni tradizionali che il business internazionale non riuscì a farne un prodotto mondiale. L’industria della musica era ed è dominata dalla cultura angloamericana uscita dalla seconda guerra mondiale. Quindi: o canti in inglese, e lui ci ha provato ma non è andata, o quelli che non capiscono l’italiano ti ignorano. A meno che tu non punti verso il pubblico spagnolo o sudamericano.
Anche qui in patria c’era chi lo snobbava.
Negli anni Settanta ascoltare Battisti era considerato da stupidotti: quelli che si consideravano intelligenti si dedicavano solo ai cantautori. Io invece ascoltavo sia Lucio che gli altri, perché erano universi distanti ma straordinari. E non me ne fregava un cazzo di nasconderlo, come facevano i tanti con la puzza sotto al naso che avevano i loro dischi ma facevano finta di no.
Girava pure la diceria che lui fosse fascista.
Anche per quello prendevano le distanze da Battisti. Una massa di ignoranti. La massa vulgaris. Era l’atteggiamento sprezzante di quei suonati che scendevano in strada a fare la ‘revolucion’!.
Lei, Vasco, ha più volte reinterpretato le perle del suo idolo.
Canzoni che qualcuno giudica minori o meno riuscite, ma erano davvero perle. Io le avrei affrontate tutte! Prendiamo Il tempo di morire (la canta): ‘Motocicletta 10 hp, tutta cromataa, è tua se dici sì’, eh eh eh… È una cosa che sentivo molto vicina a me! E pure Supermarket, così provocatoria. Amo questo modo di raccontare il rapporto con le donne, così divertente, divertito, ironico e anche profondo. Che è il mio! Pezzi meravigliosi, straordinari, ancora oggi.
Affini alla sua sensibilità.
Sono stati quei pezzi a scegliere me, non il contrario! Una quindicina di anni fa coltivai l’idea per un progetto di cover di artisti di cui in quel momento ci si era quasi dimenticati…
Ha tirato fuori I Corvi di Un ragazzo di strada, oltre a Battisti.
Sì. Che Lucio non si sentisse più in giro era qualcosa di inaccettabile, per uno come me cresciuto con i tesori scritti con quell’altra leggenda di Mogol. Per ricantarli serve amore, rispetto, un pizzico di incoscienza. E spontaneità, quello è il primo ingrediente. La poeticità dei testi e la rivoluzionaria avventura della parte musicale. Mi ci rivedo del tutto.
Passiamo a Dalla. Che venne a bussare alla porta di casa Rossi.
Una sera salì a Zocca accompagnato da Morandi. Ma non per cenare da mia mamma Novella, che era fan di Gianni. Andammo a mangiare all’osteria di un amico comune. Più che altro perché il Lucio bolognese aveva ascoltato Vita spericolata e fatta una battuta: ‘Come hanno fatto questi a scrivere una cosa così bella?’. Si riferiva a me e Tullio Ferro. Secondo me voleva conoscermi anche per vedere se avrei fatto parte della sua ‘parrocchia’.
La parrocchia?
Noi la chiamiamo così. La sua ‘factory’, dove coinvolse subito il mio Ferro, che scrisse musiche per Dalla. Io non avevo molte cose da condividere con Lucio, in realtà. Eravamo personalità piuttosto differenti, e aldilà della grande stima reciproca non siamo mai andati vicini a una collaborazione.
Dicono si sentisse solo, e che per questo cercasse legami artistici.
Aveva sempre attorno una vasta comunità di amici, che facevano famiglia con Lucio. Non ce lo vedevo proprio, da solo. Con tutti era molto chiaro, aperto. Ti faceva capire cosa voleva. Non aveva problemi con nessuno.
Le scippò Gaetano Curreri. Anzi, divenne una comproprietà. Come la visse?
Io? Benissimo. Pensavo che per Gaetano fosse una grande opportunità. Dalla a quei tempi era la Serie AAA Oro. Giusto che andasse a suonare con lui.
Ma come andò la vicenda?
Curreri mi aveva aiutato a realizzare il mio primo disco, …ma cosa vuoi che sia una canzone…, lo aveva praticamente arrangiato e prodotto insieme a me. Gaetano aveva un’orchestra con cui cantava e suonava nei locali, aveva già un suo percorso prestabilito. Però era consapevole che le orchestre dal vivo fossero sul viale del tramonto. Stavano arrivando i disk-jockey: i gestori dei club, con una sola paga, due piatti e un giradischi risparmiavano un sacco di soldi. Cominciava una nuova era. Così Curreri venne a Zocca e mi diede spunti per il primo disco e per il secondo, Non siamo mica gli americani!. Poi, mentre stavamo registrando il terzo, Colpa d’Alfredo, Dalla gli propose di unirsi a lui. Sinceramente, per me fu una soddisfazione. Scherzando, ho spesso detto a Gaetano: mi hai abbandonato’. Ma sono andato avanti, eh.
Come negarlo?
Senza il pianoforte di Gaetano Colpa d’Alfredo venne fuori come l’album più rock di tutti. Lui lo sa.
Che dire ancora di Dalla?
Che apprezzo la sua voce. Anche Dalla è un genio assoluto. Mi fulminò al primo ascolto. Avevo 15 anni, ero in collegio, ci facevano vedere Sanremo. Apparve lui sul televisore con 4.3.1943. Fu quella volta lì. Al tempo Lucio faceva parte del giro dei cantanti, era stato quello il recinto degli anni Sessanta, fino a poco prima. La cosa incredibile è che sia riuscito a diventare un cantautore, dapprima facendosi aiutare dal poeta Roberto Roversi, in seguito azzardando da solo la scrittura di testi immensamente belli. Un caso unico, nella storia della musica italiana.
Lei non ha mai valutato un tributo anche a Dalla?
No, non potrei sfidare la sua voce. Omaggerei pure lui con un semplice abbraccio e un grazie, se fosse ancora tra noi. Dalla era un magnifico interprete, con una canna insuperabile. Per ricantare sensatamente le sue cose ci vogliono cantanti che abbiano una solida capacità vocale. Morandi lo ha sempre fatto benissimo, lo ha dimostrato per l’ennesima volta giorni fa a Sanremo. Gianni è un altro grandissimo della scuola anni Sessanta.
Alla fine, restiamo con la congiunzione galattica dei due Lucio.
Evviva loro, sempre.