Corriere della Sera, 23 febbraio 2023
La biblioteca di Umberto Eco
Qualcuno forse ricorderà la discussione che aveva preceduto lo smembramento della biblioteca di Umberto Eco. Sembrava una faccenda destinata all’archivio delle polemiche vane dall’esito scontato, e invece tutto potrebbe ritornare in gioco. Un gioco triste, per la verità, che di certo non avrebbe divertito neanche quel cultore dell’ironia e del paradosso che era il professor Eco. Il dibattito sulla opportunità di dividere la parte antica da quella moderna sembrava ormai avviato verso il classico compromesso, questa volta doppio o triplo: accontentare la famiglia in primis, concedere alla Braidense ciò che desiderava la Braidense e all’Università di Bologna ciò che desiderava l’Alma Mater. Dunque: i 1.200 volumi della biblioteca antica sono stati acquisiti dallo Stato per due milioni e assegnati a Brera, dove già l’anno scorso è stata allestita una sala dedicata al semiologo-scrittore; la biblioteca moderna, con almeno 30 mila volumi, è stata destinata per novant’anni all’Università di Bologna, dove Eco ha insegnato dal 1971. Lo sterminato archivio, con le carte, gli epistolari e i manoscritti dei romanzi, diviso un po’ qua e un po’ là. Questo il risultato dell’accordo tra gli eredi e il ministero dei Beni culturali.
Se la cosiddetta «Bibliotheca Semiologica Curiosa, Lunatica, Magica et Pneumatica», il corpus antico ricco di incunaboli e cinquecentine e frutto della passione del bibliofilo, è stata tempestivamente consegnata a Brera, la raccolta moderna sarebbe rimasta in casa di Eco fino al 2026 sotto la tutela pubblica (e con l’onere delle spese assicurative allo Stato), in attesa che gli spazi bolognesi venissero individuati e approntati. Tutto bene, dunque? Niente affatto.
L’ipotesi di divisione
Destinato alla milanese Braidense il corpus antico, quello moderno all’Università di Bologna
C’è un dettaglio, però, rimasto sospeso nel vuoto. Alla fine del 2018, con il proposito di tutelare un «compendio di interesse storico particolarmente importante» che andava considerato nel suo insieme anche in considerazione di una personalità intellettuale complessa e non sezionabile, la Direzione generale degli Archivi, attraverso la Soprintendenza lombarda, aveva notificato un provvedimento di vincolo. Ciò significa che gli eredi di Umberto Eco non avrebbero potuto realizzare lo smembramento che auspicavano. Contro questa decisione, la famiglia aveva inoltrato un ricorso su cui il Tar avrebbe dovuto pronunciarsi il prossimo 8 marzo. In realtà, dunque, benché le cose con la benedizione del ministero fossero andate avanti secondo i desiderata degli eredi ricorrenti, sul destino della intera biblioteca e delle carte pendeva un’ingiunzione ufficiale non aggirabile ma semplicemente ignorata. Ora la novità è che la famiglia, il 17 febbraio scorso, ha deciso di ritirare il ricorso, rimettendo tutto in discussione.
Il vincolo contestato
Gli eredi si erano rivolti al Tar dopo lo stop della Direzione Archivi. Ora la palla passa al ministero
A questo punto, che succederà? In ottemperanza al vincolo, blocco antico, blocco moderno e archivio personale non si dovrebbero più separare. E Brera? E Bologna? Interpellata al riguardo, Annalisa Rossi, soprintendente della Lombardia, non sembra sorpresa e ribadisce: «La tutela è esercitata in base al dettato costituzionale. Quanto accaduto riconosce pienamente la missione della Soprintendenza: avere individuato il valore culturale della eredità di Umberto Eco e averlo definito quale compendio di natura archivistica, unico e indivisibile». Unico e indivisibile. È dunque possibile che si ritorni all’idea primitiva, inizialmente auspicata dal Mibact e poi contraddetta dallo stesso, di destinare l’insieme del «compendio» all’Archivio di Stato di Milano? Chi può dirlo? Se il ministero ha smentito sé stesso assecondando le richieste della famiglia Eco e paradossalmente ignorando il vincolo ufficiale (emesso da un proprio ufficio), ora è la famiglia Eco a smentire sé stessa ritrattando le proprie condizioni (e convinzioni) ancora prima del pronunciamento del Tar. E soprattutto lasciando come si dice col cerino in mano lo stesso ministero (diventato Mic e passato nel frattempo a un’altra reggenza).
Definirlo un pasticciaccio brutto sarebbe il minimo, se non si rischiasse di scomodare ingiustamente la buon’anima dell’ingegner Gadda, artefice di uno «gnommero» archivistico senza eguali (le sue carte sono disperse ovunque, ma è lui che l’ha voluto). Perché, tornando a Eco, se il tutto deve rimanere unito (come a questo punto non parrebbe sgradito neanche agli eredi), o la Braidense si becca anche la biblioteca moderna lasciando a bocca asciutta Bologna o rinuncia all’antica (che già ospita da oltre un anno). Soluzione improbabile la prima così come sarebbe umiliante la seconda. Ce n’è una terza? La risposta potrebbe pervenire se non proprio dal (nuovo) ministro in persona almeno dalla Direzione generale delle Biblioteche e diritto d’autore, la stessa che ha avuto grande parte nella faccenda. Per il momento tutto tace. Probabilmente più per imbarazzo o per stupore che per disinteresse.